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18/05/2010

Gaza's First Festival for Video Art 2010
di Laura Aletti

"Vogliamo spostare tutto il mondo a Gaza, visto che noi non possiamo uscire". Intervista all'artista palestinese Shareef Sarhan, tra i promotori e organizzatori dell'iniziativa

"Lo spazio intorno a noi è limitato, le nostre idee sono illimitate". Per ampliare gli orizzonti, non solo artistici, della vita culturale di Gaza, il 19 giugno inizierà il Gaza's First Festival for Video Art 2010. Le iscrizioni si chiuderanno il prossimo 21 maggio.

L'idea è nata da "Finestre da Gaza per l'arte contemporanea", un gruppo che riunisce alcuni artisti palestinesi della Striscia. Il blocco imposto dal governo israeliano ha danneggiato, oltre a tutto il resto, anche la vita culturale e artistica, rimasta vittima di una situazione diventata ormai soffocante per tutta la popolazione locale.
In merito a questa iniziativa, PeaceReporter ha intervistato Shareef Sarhan. Nato a Gaza nel 1976, Shareef è tra i promotori e organizzatori di questa iniziativa. Artista, fotografo professionista e scenografo, Shareef è anche tra i fondatori dell'associazione "Finestre da Gaza".

Come è nata l'idea di organizzare un festival internazionale di arte visiva a Gaza?
E' un'idea a cui lavoriamo da tempo e nasce da moltissime ragioni, tra cui soprattutto la situazione sociale in cui ci troviamo a vivere. Vogliamo entrare in contatto con nuove e diverse espressioni culturali, nuove idee che provengono da società diverse dalla nostra. Poi, certamente, una delle ragioni è il blocco su Gaza: questo festival è una forma di comunicazione che può far conoscere agli altri la nostra realtà, un tentativo per rompere questo assedio. L'idea di organizzare un festival, qui a Gaza, è arrivata dopo che noi di "Finestre da Gaza per l'arte contemporanea" abbiamo fatto diversi esperimenti in esposizioni internazionali. Intanto qui nella nostra terra c'erano moltissimi nuovi lavori, un bagaglio importante per le comunità locali. La nostra idea è un po' quella di spostare tutto il mondo a Gaza visto che noi artisti non possiamo uscire per andare incontro a questo mondo e conoscerlo di persona.

Quanti progetti avete ricevuto?
Fino a questo momento abbiamo ricevuto circa 80 lavori video, ma ci sono ancora quattro giorni prima del termine del bando e siamo sicuri che arriveremo ad ottenere 100 video. Poi però saremo noi a dover lavorare per decidere quali film scegliere e quali rifiutare.

Cosa vi aspettate dall'iniziativa?
Quello che ci aspettiamo, soprattutto, è di provare a rompere questo blocco su Gaza e di far conoscere i lavori, le culture e le nuove forme d'arte di città e stati di cui noi abbiamo solo sentito parlare. Questo credo che avrà un effetto sulla gente di qui e anche sugli artisti locali, sia a Gaza che in tutta la Palestina. Il festival infatti sarà presentato a Gerusalemme, Ramallah, Betlemme e probabilmente anche a Nablus, Rafah e Jabaliia (quest'ultime rispettivamente nel sud e nel nord della Striscia di Gaza). Si tratta di un'occasione nuova per far conoscere allo spettatore palestinese l'arte sia dalla Palestina stessa che del resto del mondo. Questo per noi sarà già un successo.

Cosa significa oggi essere un artista a Gaza, e in Palestina, e quale potrebbe essere secondo lei il ruolo di un artista in questa situazione?

Essere artista a Gaza ha molti significati: l'amore, la guerra, il blocco, la libertà, la speranza, la bellezza. Tu sei l'artista e tu sei colui che difende la sua nazione, ma con armi diverse e in luoghi diversi. Forse, qui a Gaza, l'artista è influenzato da molte più cose: oggi e tutti i giorni siamo la voce della gente, i loro occhi, quelli che possono trasmettere per loro messaggi al mondo intero attraverso la lingua dell'arte. L'artista gioca molti ruoli, soprattutto nell'espressione della vita della persone, della loro situazione e delle loro preoccupazioni utilizzando una forma artistica in modo che tutto ciò arrivi al pubblico. In certi casi l'arte può rompere i confini, vola alto fino in cielo e raggiunge tutte le genti.

Avete ricevuto sostegno dal movimento pacifista israeliano?
No, qui a Gaza la situazione è difficile e non ci sono molti rapporti con il movimento pacifista israeliano. Non abbiamo ricevuto alcun sostegno.

In che modo l'attuale situazione sta influenzando il mondo artistico e culturale?
La situazione rimane difficile anche dentro i confini dell'arte. La maggior parte della gente, qui da noi, cerca libertà per lavorare e mangiare, cerca ordine e regole. Noi invece cerchiamo di rimanere influenzati dalla società per poi trasportare la nostra realtà, attraverso il nostro spirito di artisti contemporanei, e farla arrivare al mondo. Bisogna però tenere presente che un artista qui lavora con grande difficoltà, soprattutto per la mancanza di materiale. Ma andiamo avanti perché la produzione artistica, oltre ad aiutare noi stessi, aiuta le persone a godersi la vita.

Come pensa che reagirà la popolazione di Gaza a questo evento?

Non so in che modo la gente accoglierà questo festival: é il primo da quando è iniziato il blocco. Quello che è certo è che inviteremo moltissime persone a partecipare alla nostra proposta. Questo festival sarà una chiave per aprire i nostri orizzonti e forse potrà essere una luce, piccola o grande, che aiuterà la gente a sviluppare la creatività di ciascuno e a pensare, in futuro diverso e bello dove ci sia libertà, pace e ordine.

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