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11 febbraio 2010

Mehdi Khalaji: Khamenei e Ahmadinejad sempre più soli
di Gabriel Bertinetto

Un regime in agonia. È l’impressione che si ricava dal colloquio di Gabriel Bertinetto con Mehdi Khalaji, teologo e politologo iraniano. «La situazione attuale ricorda gli ultimi giorni dello Shah».

Cos’è la crisi iraniana, prof. Khalaji? Un conflitto fra linee politiche (riformisti contro conservatori, duri contro moderati), o fra diverse visioni del sistema politico stesso? In altre parole l’opposizione mette in discussione le basi stesse della Repubblica islamica?
«Il movimento verde, eterogeneo, è unito su alcuni obiettivi di fondo. In primo luogo chiede un nuovo sistema di voto che garantisca elezioni corrette in futuro. La richiesta deriva dalla valutazione che le presidenziali di giugno non siano state manipolate solo al momento dello spoglio, e che l’intero processo elettorale vada perciò cambiato. Altra rivendicazione comune riguarda il rilascio dei detenuti politici e garanzie di piena libertà democratica. L’opposizione esige anche la punizione dei funzionari rei di violenze, torture, stupri ai danni degli arrestati, l’applicazione delle più elementari norme di uno stato di diritto. Ma nel movimento verde ci sono anche opinioni divergenti. Per alcuni la radice dei problemi iraniani sta nella mancata applicazione della Costituzione e delle leggi vigenti. Per altri la Costituzione stessa è parte del problema, perché poggia sul principio dell’autorità assoluta della Guida suprema, e perché giustifica discriminazioni di religione e sesso. In ogni caso però anche i fautori di un cambiamento di regime vogliono perseguire l’obiettivo in modo pacifico. Abbiamo sperimentato la violenza dei gruppi più diversi: islamisti, di sinistra, filo e anti-governativi. Ne abbiamo abbastanza».



Un numero crescente di dirigenti politici e religiosi si aggregano all’opposizione. Ahmadinejad e Khamenei sono isolati?
«È così. Nelle fasi di declino, le ideologie perdono significato e subentra il culto della personalità. Accade oggi in Iran con Khamenei, per il quale l’adesione all’ideologia islamica è ormai cosa secondaria rispetto alla lealtà personale nei suoi confronti. La sua regola di giudizio è: o sei con me o sei contro. Così finiscono sotto attacco anche rivoluzionari della prima ora, che passano all’opposizione perché non possono accettare quella persona come rappresentante autentico dell’ideologia in cui credono. Cresce un fossato fra Khamenei e chiunque osi criticarlo». 



E Ahmadinejad?
Lui verso Khamenei si accredita come colui che, fra tante fazioni, è a capo di quella a lui più fedele. Ecco perché la Guida suprema ritiene che il proprio destino politico sia ormai legato al presidente, lo appoggia in maniera incondizionata, e non tollera obiezioni alle sue scelte. Molti degli stessi conservatori tentano invano di fargli capire che in quel modo danneggia se stesso e la Repubblica islamica. Il cerchio di sostenitori si restringe sempre più intorno a Khamenei, che è sempre più solo. Legandosi strettamente ad Ahmadinejad e facendone quasi l’essenza della Repubblica islamica, la Guida suprema, al di là delle proprie intenzioni sta rimpolpando i ranghi avversari».



È vero che il regime sopravvive soprattutto grazie al sostegno degli apparati militari e di sicurezza?
«Khamenei non è mai stato popolare negli ambienti religiosi, perché non era lui il successore naturale di Khomeini. Quando ha visto che non poteva contare nemmeno su un largo appoggio politico, ha cercato una sponda fra i militari, dando loro molto potere, anche economico. Un terzo dell’economia nazionale è in mano ai Pasdaran. La legittimità di Khamenei è offuscata, il suo potere limitato. La scelta elettorale pro Àhmadinejad è stata un errore pericoloso, ed ora sta perdendo potere. La situazione è simile a quella che ci fu negli ultimi anni dello Shah, che aveva le forze armate più sviluppate di tutto il Medio oriente, ma sbagliò nel puntare unicamente sul loro aiuto. Non bastano truppe e prigioni per governare. Anche le istituzioni religiosi e politiche hanno il loro peso. Khamenei sta vivendo in un castello di illusioni».



Si può dire che Pasdaran e milizie Basiji siano insieme il punto di forza e di estrema debolezza del regime?
«Esatto. Tanto più che non tutti i militari sono pronti ad obbedire a qualunque ordine. Il 27 dicembre, giorno dell’Ashura, molti ufficiali e soldati si sono rifiutati di sparare sulla folla. Li hanno arrestati e processati. Se la crisi si aggrava, non so fino a quando Khamenei e Ahmadinejad potranno contare sui generali per reprimere la protesta. La loro disponiblità non è illimitata, così oggi come ai tempi dello Shah. Tra l’altro a un certo punto i Pasdaran potrebbero valutare se sia più importante quello che Khamenei dice loro di fare, oppure la cura dei loro interessi economici privati».



Inizialmente Ahmadinejad aveva seguaci in parte dei ceti popolari, i poveri delle periferie urbane, gli abitanti delle aree rurali, le persone meno istruite etc. La crisi attuale sta intaccando gli schieramenti sociopolitici tradizionali? 
«Qualcosa sta mutando. Il populismo di Ahmadinejad ha funzionato nei primi anni della sua presidenza. Ora però gli iraniani vedono che le promesse non sono state mantenute. Il prezzo del carburante è salito, certi sussidi sono stati eliminati, crescono inflazione e disoccupazione. La formula populista ha prodotto illusioni e delusioni. Così l’opposizione guadagna terreno ben oltre i confini del ceto medio urbano. Il malcontento si estende». 



La comunità internazionale discute nuove sanzioni economiche contro Teheran a causa del suo programma nucleare. Che effetto potrebbero avere sull’economia iraniana e sugli assetti politici interni?
«Dipenderà dal tipo di sanzioni. Se fossero a tutto campo avrebbero un impatto negativo. Diverso l’effetto se venissero indirizzate su bersagli specifici, in particolare i Pasdaran, per indebolirne la forza economica e militare. I Verdi non sono ostili ai Pasdaran come istituzione, ma al ruolo politico ed economico che sono venuti ad assumere. L’opposizione vuole che le Guardie rivoluzionarie facciano il loro dovere nella difesa del territorio, ma non si impiccino nelle faccende politiche e nella gestione di attività economiche, perché questo aumenta la corruzione e indebolisce l’imprenditoria privata. Se le sanzioni vengono ben mirate, saranno efficaci».


Cosa riserva il prossimo futuro? Una rivolta violenta, un repressione ancor più feroce, l’implosione del regime?
«È poco probabile un compromesso fra Khamenei e i Verdi. Le autorità possono scatenare un attacco indiscriminato all’opposizione. Oppure il regime si sfascia, e in tal caso o emergono i Pasdaran attraverso un colpo di Stato, oppure si impone l’opposizione. In ogni scenario comunque è certo che Khamenei perda potere. Già ora di fatto non è più la Guida suprema, è sempre più un soggetto politico fra tanti altri. Chiunque vinca, lui ha già perso. Ora io penso che l’Occidente abbia un ruolo importante da svolgere nel dare forma al futuro dell’Iran. Se intacchi la forza dei Pasdaran, calano le probabilità che possano prendere il potere. Se le forze armate sono indebolite, avranno spazio i civili, sia quelli vicini al governo che gli avversari».


Khamenei sconfitto in ogni caso. E Ahamdinejad può svolgere un ruolo autonomo?
«No. Sono i Pasdaran a comandare. Per ora hanno bisogno di lui e di Khamenei per trarne rispettivamente legittimità politica e religiosa. Ma nel momento in cui quella doppia legittimità vacilla, i Pasdaran non avranno esitazioni a mettersi in proprio».

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