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16/4/2010

Il regista esiliato da Ahmadinejad: i miei gatti persiani malati di libertà
di Giuseppe Bottero

Esce in Italia il film di Baham Ghobadi "Vi racconto l'esplosione di Teheran"

TORINO

Dice che “I gatti persiani” è il suo ultimo sguardo sull’Iran prima dell’esilio. E’ stata una scommessa, spiega. Ha osato, Baham Ghobadi, sapendo che avessero vinto gli integralisti di Ahmadinejad avrebbe dovuto lasciare il Paese. E’ andata così. «Abbiamo girato questo film pochi mesi prima delle elezioni e, durante le riprese, avvertivo chiaramente che l'ambiente dei giovani in Iran era pronto per esplodere- racconta-. Prima di iniziare le riprese avevo paura di realizzare “I gatti persiani”, perchè avrei rischiato di non poter più lavorare in Iran. Ma i protagonisti del film mi hanno dato il coraggio di andare avanti: se loro suonano di nascosto, allora anche io avrei potuto realizzare un buon film senza i permessi, un film per fare in modo che la voce di questi ragazzi potesse arrivare al pubblico». “I gatti persiani”, vincitore del premio speciale della Giuria al 62mo Festival di Cannes, in uscita in Italia venerdì 16 aprile, è stato girato in meno di venti giorni, senza autorizzazioni e con un gruppo di ragazzi che avevano in tasca il passaporto per fuggire alla fine delle riprese. Il lungometraggio racconta la storia di due giovani iraniani appena usciti da galera con tanta voglia di musica, i loro tentativi di esprimersi in un gruppo rock-indie sfidando tutti i possibili divieti e le proibizioni di un governo autoritario e integralista.

«In Iran si colpiscono gli artisti e i giovani perchè il governo sa che solo tappando queste voci può avere il controllo totale della società- prosegue Ghobadi, che ha firmato la pellicola con la compagna Roxana Saberi e Hossein M. Abkenar-. Loro dicono che la musica è contro la religione o la morale, ma loro stessi ascoltano questa musica, i loro figli ascoltano questa musica. Dopo la rivoluzione del '79 chiusero tutti i locali, tutti i disco pub, tutti i luoghi dove i giovani potevano distrarsi e scaricare le loro energie. Adesso un ragazzo e una ragazza non possono vedersi fuori casa, neanche per una passeggiata in un parco. E' tutto proibito. Le uniche alternative che hanno i giovani sono lasciare il Paese o cercare consolazione nella droga o nella musica».

Se Baham è stato costretto all’esilio (ora vive tra Iraq, Berlino e Stati Uniti) al collega Jafar Panahi è andata peggio. Arrestato all’inizio di marzo, è ancora rinchiuso a Teheran. «Alla fine, uccideranno ogni sua creatività: tra circa due mesi, uscirà dal carcere morto, artisticamente morto. Io ho paura, paura di perdere un grande regista per sempre», si lascia andare Ghobadi, quarant’anni compiuti da poco, autore nel 2000 del premiatissimo “Il tempo dei cavalli ubriachi”. «In Iran ci sono più di 3000 band di musica rock, e se 20 o 30 di loro riescono a fuggire e portare la musica rock iraniana in giro per il mondo per me è fonte di grande gioia- dice-. Per questo ho voluto fare un film diverso nel panorama del cinema iraniano, che in questi ultimi anni è stato accusato di essere molto ripetitivo: ho voluto mostrare la grande energia e voglia di vivere che serpeggia per le strade di Teheran, volevo mostrare il grande contrasto tra la ricchezza e la povertà che c'è nel nostro paese. Questa è la situazione dei giovani in Iran: hanno respirato per un attimo l'aria della libertà e adesso, nonostante siano nuovamente oppressi, cercano con forza di riassaporarla di nuovo».

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