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11 agosto 2’010

Iran, si conclude dopo 16 giorni lo sciopero della fame dei prigionieri politici a Evin
di Marco Curatolo

Nel carcere di Evin (Teheran), sezione 350, lo sciopero della fame è terminato. È durato dal 26 luglio al 10 agosto.

È stata senza dubbio l’azione più eclatante condotta dai dissidenti iraniani in prigione dopo la repressione seguita alle elezioni di un anno fa: la prova, forse, che nella situazione attuale, con in cella alcuni tra i più brillanti esponenti dell’opposizione, il carcere stesso è diventato uno dei principali luoghi di confronto politico con il regime.

Superato il quindicesimo giorno di protesta, i 16 prigionieri politici in lotta hanno deciso di porre termine a un digiuno che li ha condotti allo stremo delle forze. Avevano cominciato in 17, per chiedere rispetto dei loro diritti e migliori condizioni in carcere; ma alcuni giorni fa uno di loro, il fotografo Babak Bordbar, era stato rilasciato.

Dal 4 agosto, tre dei prigionieri, i giornalisti Bahman Ahmadi Amouii e Keyvan Samimi e il leader del movimento studentesco Majid Tavakoli, avevano anche smesso di bere. Ieri, al sesto giorno di sciopero della sete, Tavakoli ha perso conoscenza ed è stato trasferito d’urgenza nel centro medico della prigione. Del resto nel corso di queste due settimane quasi tutti gli scioperanti hanno avuto bisogno di cure.

Riportiamo i loro nomi, ricordando che si tratta di giornalisti, studenti, attivisti per i diritti umani e in alcuni casi semplici cittadini arrestati per strada durante le proteste dei mesi scorsi, tutti senza colpa alcuna se non quella di avere liberamente espresso il proprio dissenso nei confronti del regime: Ali Malihi, Bahman Ahmadi Amouii, Hossein Nouraninejad, Abdollah Momeni, Ali Parviz, Hamid Reza Mohammadi, Jafar Eghdami, Babak Bordbar, Zia Nabavi, Ebrahim Babaie, Kouhyar Goudarzi, Majid Dori, Majid Tavakoli, Keyvan Samimi, Qolamhossein Arashi, Payman Karimi, Mohammad Hossein Sohrabi Rad.

Stamattina Kaleme, sito web vicino al leader dell’opposizione Mir Hossein Mousavi, dà notizia della decisione dei 16 prigionieri di tornare ad assumere cibo. Tutti tranne uno: Keyvan Samimi ricomincia a bere, ma continua a non mangiare finché non saprà che tutti i suoi compagni sono stati tolti dall’isolamento e ricondotti nella sezione generale della prigione. Attraverso Kaleme, i 16 fanno pervenire alla nazione un messaggio: “Continueremo a batterci per il rispetto dei diritti umani e per quello dei diritti fondamentali dei detenuti”. La sospensione dello sciopero arriva dopo le sempre più pressanti richieste in tal senso arrivate nei giorni scorsi da numerosi leader politici riformisti, in primis Mousavi e Karoubi, così come da molti familiari e da altri prigionieri politici, detenuti a Evin o a Rajai Shahr. Tutti chiedevano ai 16 di fermarsi per non mettere a repentaglio la propria salute.

Fuori dal carcere di Evin, per due settimane, le famiglie si sono radunate aspettando inutilmente novità che non arrivavano, dato che le autorità non hanno permesso alcun tipo di contatto formale tra i 16 scioperanti e il mondo esterno. Anzi, molti parenti sono stati a loro volta aggrediti dalle forze dell’ordine e minacciati di arresto nel caso che avessero deciso di rilasciare interviste e diffondere notizie sulle condizioni dei loro cari.

La sospensione dello sciopero era stata nell’aria, ma presto smentita, dopo la liberazione di Babak Bordbar, avvenuta il 7 agosto. Era questa infatti una delle cinque richieste rivolte al regime dai prigionieri in sciopero. La situazione di Bordbar era scandalosa e sconcertante: benché fosse stato ordinato dalla magistratura il suo rilascio, inopinatamente invece di tornare in libertà egli era stato spedito in isolamento. Le altre richieste riguardavano tutte il rispetto dei diritti dei detenuti e dei loro familiari; la possibilità (troppo spesso negata) di ricevere visite dai parenti; di leggere libri e giornali; la sospensione dell’isolamento per molti di loro; una maggiore durata delle telefonate concesse ai prigionieri e più ampi spazi a loro disposizione nelle celle; la fine degli atteggiamenti offensivi e insultanti delle guardie nei confronti dei prigionieri e delle loro famiglie. Riguardo a queste rivendicazioni, i 16 hanno ottenuto promesse dal procuratore di Teheran Dolotabadi e da altre autorità, giudiziarie e carcerarie.

Sta ora anche alla comunità internazionale vigilare sul mantenimento di quelle promesse.

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