Una giovane donna sfida il regime
L’impegno contro la guerra e la violenza per restituire dignità al popolo iraniano

Tratto da Azione Nonviolenta
Narges Mohammadi è un’attivista pacifista iraniana. Ha ricevuto il Premio Langer 2009. E’ una delle tante vittime della repressione del regime di Teheran.
Pubblichiamo questa sua intensa e profonda lettera aperta che ha avuto il coraggio di scrivere a Mahmud Ahmadinejad, il Presidente della Repubblica Islamica dell’Iran. Narges è una testimone e amica della nonviolenza.


Egr. Dott. Ahmadinejad,

sono Narges Mohammadi, giornalista, laureata in fisica, moglie di Taghi Rahmani e madre di due gemelli di soli tre anni. Sono un’attivista del Centro dei Difensori dei Diritti Umani in Iran, che è stato recentemente chiuso illegalmente, nonché del Consiglio Nazionale della Pace. Da quando è stata messa al bando la stampa democratica iraniana, il 22 settembre 2001, fino a 19 novembre 2009, sono stata impiegata, con un contratto regolare, presso la Società per le Ispezioni Ingegneristiche facendo parte del gruppo specialistico per ispezione industriale e mineraria. Il 19 novembre 2009 sono stata licenziata. Questo è un breve curriculum di una donna 36 enne iraniana. E’ bene che lei sappia che il mio ordine di licenziamento, prima di essere notificato a me, ha seguito un iter attraverso le forze di sicurezza. Nel mese di khordad 1387 (maggio-giugno 2008), tornando da una riunione dei difensori dei diritti umani e degli esperti delle Nazioni Unite, tenutasi a Vienna, sono stata convocata e interrogata dagli agenti del Ministero dell’Intelligence del Suo Governo. L’8 maggio 2009, quando stavo per recarmi in Guatemala per partecipare ad un convegno internazionale delle donne, mi è stato illegalmente impedito di lasciare il Paese, e non ero stata accusata di alcun reato, e infatti non sono mai stata chiamata in giudizio come imputata. Il mio passaporto è stato sequestrato all’aeroporto e da allora non ho un passaporto. Per questo motivo ho dovuto un’altra volta presentarmi agli agenti dell’intelligence i quali mi hanno chiesto apertamente di abbandonare le mie attività nel Consiglio Nazionale della Pace e nel Centro dei Difensori dei Diritti Umani; in caso contrario la minaccia era di ricevere restrizioni ancora più severe.

Il 18 giugno scorso, cioè sei giorni dopo le recenti elezioni, sono stata nuovamente minacciata per telefono da un agente dell’intelligence: se avessi proseguito con la minima attività e non avessi lasciato Teheran, sarei stata arrestata insieme ai miei piccoli bambini. Più tardi, in un’altra convocazione gli agenti, come ultimo avvertimento, mi hanno riferito che se non avessi lasciato il Centro dei Difensori dei Diritti Umani e il Consiglio Nazionale della Pace e non avessi interrotto tutti i rapporti con il Premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi, sarei stata licenziata e arrestata.

In Settembre, dopo essere stata accettata per un corso di specializzazione, ho chiesto al Ministero dell’Intelligence di restituirmi il mio passaporto, mi è stato detto che il Ministero aveva un parere negativo su di me e che non avrei potuto partecipare al corso se non avessi cambiato idea sulle loro proposte.

E alla fine, in data del 19.11.2009, l’amministratore delegato dell’azienda dove lavoravo mi ha informata di aver avuto richiesta di licenziarmi; quando ho chiesto una lecita spiegazione, mi sono sentita dire che era una decisione dettata dall’alto. Mi consigliò di approfittare dell’ultima occasione e parlare con gli agenti per non farmi licenziare; anche lui a sua volta mi aveva chiesto di porre fine alle mie attività. Quando ho spiegato i miei punti di vista egli mi confermò che doveva licenziarmi.

Sono stata licenziata lo stesso giorno, in meno di un’ora.

Ora vorrei dirle quello che penso.

Mi ricordo quando, dopo una stagione di riforme, Lei è diventato il Presidente della Repubblica, ha fatto tante promesse di “amore” e di generosità e ha detto che portava al tavolo degli iraniani gli utili del petrolio. Mentre quello che testimoniano questi tempi amari è una espressione opposta, cioè la vendetta, la violenza nella sua forma più nuda e cruda.

Sicuramente non sono poche le persone alle quali da anni è stata negata la possibilità di studiare ed io sono una goccia in questo mare tempestato di ingiustizia e oppressione. Parlo di donne e di uomini che per le loro idee diverse da quelle del regime hanno subito privazioni pesanti e le loro famiglie sono state vittime di gravi e illimitate violenze. Allora, forse dovevo tacere e vergognarmi di parlare di cose che erano accadute a me.

Però, dobbiamo parlare e scrivere dei nostri diritti costituzionali e non tacere, fino al giorno in cui nel nostro paese il diritto allo studio e il diritto al lavoro vengano considerati come diritti di persone e non come uno strumento di minaccia nelle mani di un regime.

Quindi, mi sono permessa di chiedere: per quale colpa i miei piccoli bambini devono essere vittime delle vendette del regime.

Il padre di questi bambini è stato 15 anni nelle carceri di questo regime ma continua ad essere un attivista civile, politico e rispettoso delle leggi. Per essere stato incarcerato diverse volte dai primi anni della Repubblica Islamica, egli non ha potuto portare a termine i suoi studi di storia presso l’Università di Tabriz, e a causa dei lunghissimi periodi di detenzione non ha mai potuto avere un impiego. Forse è facile parlarne, ma vivere così ed essere privati di ogni diritto in questo dissestato paese è davvero difficile.

Ed io, che non sono stata riconosciuta colpevole da nessun tribunale e sono soltanto un’attivista di diritti umani e una pacifista, ora devo subire vari generi di privazioni volute dal Ministero dell’Intelligence, che invece dovrebbe salvaguardare la sicurezza dei cittadini.

Essere attivisti di diritti umani e dedicarsi alla pace può essere considerata una tale colpa imperdonabile da privarci del diritto di avere un pezzo di pane?

Se un regime aspira al governo di Imam Ali, sa che Imam Ali non ha mai privato un oppositore dei mezzi di sostentamento. Mentre le mie attività sono nell’ambito dei diritti umani, e il nostro scopo nel Centro per i Diritti Umani è di migliorare la situazione di diritti umani in Iran. E Lei ben sa che in tutte le società i pacifisti sono rispettati e ammirati e non oggetto di umiliazioni e minacce.

Sono le nostre attività per alleviare un po’ il dolore delle famiglie dei detenuti a provocare una tale ira del regime o le nostre attività pacifiche nell’ambito del Consiglio Nazionale della pace, contro ogni forma di violenza, pesano tanto ai signori del potere?

La vera domanda è: il suo “amore” promesso più di quattro anni fa riguarda solo la limitata cerchia di persone che La circondano?

Non crede che questo suo modo di trattare i propri connazionali, appartenenti a qualsiasi gruppo o ideologia, sarà considerata dal popolo iraniano e dalla storia come una grande e imperdonabile ingiustizia? Togliere il pane dalla bocca dei nostri bambini innocenti è una dimostrazione di generosità (“amore”) di questo regime e un segno di governare secondo i principi di Imam Ali?

Io ho lavorato 8 anni in un campo di ispezioni ingegneristiche dell’industria in Iran, anche su progetti nazionali importanti; lettere elogiative conservate nella mia pratica lavorativa testimoniano un ottimo svolgimento del lavoro che mi è stato affidato. Nonostante i responsabili dei progetti per i quali ho lavorato fossero soddisfatti della mia attività lavorativa svolta, sono stata licenziata nel giro di un’ora solo perché non ho accettato le proposte del Ministero dell’Intelligence del Suo Governo.

Non crede che trattare così un connazionale non è soltanto illegale ma è anche vile, immorale e disumano, mentre gli iraniani sono famosi per essere magnanimi e gagliardi?

In conclusione, mentre posso pensare, scrivere ed esprimere il mio pensiero liberamente e lontano dalle torture, che è ciò che conta, sono convinta: che il Centro dei Difensori dei Diritti Umani e il Consiglio Nazionale della Pace sono associazioni sociali e legali in Iran, che hanno avuto l’approvazione del fiero popolo iraniano; che per me è un grande onore collaborarci e servirle; e anche che il Premio Nobel per la Pace Signora Ebadi è una donna molto coraggiosa che ha dedicato la propria vita alle attività per la pace e per i diritti umani; che collaborare con i pacifisti del mondo non è criticabile e condannabile ma, al contrario, è di grande pregio. La pace e la difesa dei diritti umani contro le guerre e le violenze fanno parte dei grandi obiettivi della storia dell’umanità, al raggiungimento dei quali io mi dedicherò sempre di più.

Narges Mohammadi

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