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10/06/2010

Iran, sotto lo sguardo di Neda
di Christian Elia

Sabato 12 giugno, un anno dopo la rivolta verde, gli iraniani si interrogano sul loro futuro

Nessuno le aveva notate, per un mese. Alla fine, però, una soffiata è arrivata alle autorità della provincia di Semnan, nell'Iran settentrionale. All'alba è scattato il blitz e quaranta donne sono state arrestate assieme al proprietario della piccola fabbrica.

Fabbrica di simboli. L'accusa? Le operaie lavoravano a capo scoperto e in promiscuità con uomini, contravvenendo al codice islamico. In realtà, almeno secondo il New York Times che cita l'Aty News, agenzia web vicina al governo, fabbricavano statuette di Neda. Il simbolo stesso della rabbia esplosa per le strade di Teheran e delle altre grandi città dell'Iran il 12 giugno di un anno fa, dopo che vennero resi pubblici i risultati delle elezioni presidenziali. Neda Agha-Soltan, 26 anni, bella come la libertà, scende in piazza come migliaia di persone che denunciavano i brogli elettorali. Per l'Onda Verde, come venne subito chiamato il movimento che riteneva Mir-Hossein Moussavi il vero vincitore delle elezioni e Mahmud Ahmadinejad un usurpatore. I Basiji, milizia volontaria con solide ramificazioni nell'economia iraniana, saltano in sella alle loro motociclette e affrontano i dimostranti. La situazione sfugge di mano a polizia ed esercito, i Basiji rendono le manifestazioni vere e proprie cacce all'uomo. O alla donna. Neda viene colpita, muore davanti all'obiettivo impietoso di una telecamera. Lo sguardo, già assente, che rivolge all'operatore è un monito che è rimasto scolpito nella mente di miliardi di persone nel mondo. Chiede giustizia. Il governo iraniano si rende conto della potenza di quel video, al punto che il ministero degli Interni ha annunciato un documentario che sbugiarderà il video, dimostrando come si tratti di una montatura dei media occidentali.

Guerra dei documentari. Di questo documentario, per ora, nessuna traccia. Il network statunitense Hbo, invece, ha pubblicato un documentario che ricostruisce la vita di Neda e la sua morte. Interviste, video e documenti che mostrano quello che è accaduto quel giorno in piazza. Meglio ancora, forse, il video che accompagna la canzone For Neda, del gruppo Airborne Toxic Event. Una serie di fumetti, molto belli, ricostruiscono quei giorni e i momenti che precedettero l'omicidio della ragazza. Fino a quello sguardo, che inchioda tutti. Un simbolo, suo malgrado. Una ragazza di 26 anni vuole vivere, non diventare una martire. Hanno anche vandalizzato la sua tomba, tempo fa, mentre l'ex fidanzato (o presunto tale) si è recato in Israele per un'improbabile comparsata televisiva. Una speculazione, ben retribuita, sulla pelle della giovane. In questo clima l'Iran si appresta a vivere, di nuovo, il 12 giugno. Il governo ha mobilitato migliaia di agenti per impedire qualsiasi dimostrazione, ma radio Onda Verde annuncia una chiamata alla piazza che potrebbe trasformarsi in un bagno di sangue. Il governo degli ayatollah è sotto pressione da un anno e non ha utilizzato i guanti di velluto.

Un anno d'inferno. Amnesty International, il 9 giugno 2010, ha pubblicato un documento nel quale rende pubblico una sorta di bilancio della situazione dei diritti umani in Iran nell'anno più turbolento della storia della Repubblica islamica dalla rivoluzione del 1979. ''Un anno dopo le contestate elezioni presidenziali in Iran del 2009, Amnesty ha documentato come giornalisti, studenti, uomini politici e religiosi dissidenti siano ancora in carcere'', denuncia il rapporto dell'organizzazione non governativa. ''Avvocati, docenti universitari e prigionieri politici, assieme ai rappresentati delle minoranze etniche e religiose del Paese abbiamo visto aumentare, in questo anno, la repressione nei loro confronti. Molte sono state le esecuzioni extra giudiziarie e le torture delle quali sono stati vittime i prigionieri politici''. Il documento, dal titolo From Protest to Prison - Iran One Year After the Election, è una sorta di annuario della violenza con cui il regime ha reagito ai moti di piazza, a giugno prima e a ottobre poi. ''Il governo iraniano è determinato a ridurre al silenzio ogni voce dissidente'', ha commentato Claudio Cordone, segretario generare ad interim di Amnesty, presentando il rapporto. ''Chiediamo al governo di Teheran di permettere a ispettori internazionali e indipendenti di poter monitorare la situazione nel Paese, dove dall'inizio del 2010 sono state già eseguite 115 sentenze capitali''.

Scarsa coerenza. Detto questo, però, le sanzioni contro l'Iran approvate il 9 giugno scorso dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non fanno altro che rafforzare il regime rispetto alla parte più conservatrice della società iraniana. Il voto contrario di Turchia e Brasile (il Libano si è astenuto) è la denuncia evidente delle contraddizioni dell'Onu rispetto alla materia dell'energia nucleare. Ancora in assenza di prove certe sullo scopo militare del programma nucleare iraniano, siamo già al quarto round di sanzioni contro Teheran. Nonostante il fatto che il presidente brasiliano Lula e il premier turco Erdogan avessero firmato un accordo con l'Iran per arricchire l'uranio iraniano nei loro paesi. Nessun gesto di distensione sembra valere. Allo stesso tempo, incoerenza ancora più grave che il regime di Ahmadinejad si è affrettato a cavalcare, il rifiuto di Israele di aderire alla conferenza sul disarmo nucleare della regione.
Dopo tre settimane di negoziati al Palazzo di Vetro, gli Stati membri del Trattato di Non Proliferazione nucleare (Tnp), il 28 maggio scorso, hanno votato un documento che contiene la proposta di convocare una conferenza regionale nel 2012 sulla creazione di una zona priva di armi nucleari in Medio Oriente. Il governo d'Israele ha detto no, ancora impegnato com'è a tenere vivo il patetico mistero sull'esistenza della bomba ebraica. Qual'è il metro di giudizio, allora? Stesso discorso per l'assalto alla Freedom Flotilla del 31 maggio scorso, quando i commandos israeliani hanno ucciso nove cittadini turchi in acque internazionali, compromettendo forse per sempre i rapporti tra Ankara e Tel Aviv. Una giustizia sovranazionale esiste o meno? Nel dubbio, i ragazzi dell'Onda si preparano a tornare in piazza, traditi in primis da tutta quella comunità internazionale che fa di tutto per non apparire credibile.

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