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13 maggio 2010

La nuova paura di Teheran
"Così il regime ci spia"
di Vanna Vannuccini

Internet e cellulari, librerie e piazze, uffici e centri commerciali: nulla sfugge ai Pasdaran di Ahmadinejad. Dopo le proteste seguite alle elezioni truffa del 2009, il controllo poliziesco sulla società civile di Teheran è diventato implacabile. La gente teme arresti e torture

TEHERAN - L'autista si affretta a sistemare le valigie nel bagagliaio del pulmino sotto una violenta grandinata, anomala per Teheran in questa stagione. "Dio ci punisce, perché non punisce solo gli oppressori ma anche chi all'oppressione non si ribella" dice al piccolo gruppo di turisti appena arrivati da Francoforte - una rarità di questi tempi in Iran, poco frequentato da visitatori occidentali. I giornali tedeschi organizzano abitualmente viaggi per i loro lettori e un quotidiano berlinese ne ha organizzato uno in Iran, dove accanto al turismo sono previsti "incontri con la società civile". È la prima volta, da quando il governo iraniano rifiuta i visti d'ingresso alla stampa mondiale dopo le elezioni del 12 giugno 2009, che un giornalista europeo può percorrere il Paese, dove ormai salvo rare eccezioni non ci sono più nemmeno i corrispondenti occidentali.

Sono le nove di sera quando si arriva all'Hotel Mashaad. Il traffico sembra meno frenetico di come lo ricordavo, la città meno pulsante. "Forse la vita non ha ancora ripreso il suo ritmo dopo le vacanze di Noruz" dice l'autista. Ma altri parlano della depressione in cui è piombata la città dopo l'ultimo tentativo fallito della popolazione di scendere in piazza nel febbraio scorso, per l'anniversario della rivoluzione. È una dittatura che non dà nell'occhio ma che è estremamente efficace quella che Ahmadinejad ha messo in piedi in questi undici mesi. I picchiatori, gli squadristi senza divisa non affollano più le strade come quando lasciai Teheran alla fine di giugno, ma la paura - il terrore di essere osservati, ascoltati, arrestati - pesa in ogni momento. La repressione brutale mostra i suoi effetti. Ognuno a Teheran ha un conoscente, un amico, un familiare che è stato arrestato, isolato, torturato e infine, nei casi più fortunati, rilasciato con l'avvertenza: ancora un gesto, ancora una parola e torni dentro per i prossimi cinque anni. 

L'Hotel Mashaad è uno dei più vecchi di Teheran, la hall ha una sua dignità vecchio stampo, mobili di legno scuro e due bellissimi vasi di Isfahan. Si trova all'incrocio della via Taleghani, di fronte all'ex ambasciata americana ormai chiusa da trent'anni. La presa degli ostaggi americani segnò una svolta nella storia della Repubblica islamica, l'inizio di un confronto con l'Occidente e di un isolamento internazionale da cui Teheran non è più uscita. E che minaccia di farsi ancora più profondo nell'imminenza di nuove sanzioni.

Con amici e conoscenti si parla solo dai telefoni pubblici. Intorno al movimento verde è stato fatto il vuoto, il regime controlla Internet e i telefoni cellulari, i siti web sono filtrati. In questi giorni è stato oscurato anche il sito di Repubblica, come quello della Bbc e del New York Times. Dopo diversi tentativi di contattarla attraverso terze persone, incontro Faribah in una libreria. L'avevo lasciata in giugno che stava andando, col suo nastrino verde al polso, a una manifestazione. Poi non ne avevo avuto più notizie. Una sua collega era stata arrestata, racconta per spiegarmi l'inabituale silenzio: in carcere per otto settimane aveva subìto ogni sorta di umiliazioni. "Mia madre mi ha preso in giro quando sono uscita per venire a incontrarti: non lasciare impronte digitali in libreria, si è raccomandata. Scherza per farmi coraggio ma io sono terrorizzata. È troppo nero l'inferno dove ti possono far precipitare".

Nella libreria, come ogni martedì, viene discusso un libro. Oggi l'editore, l'autore e due critici presentano un volume dal titolo Cultura, democrazia e sviluppo, curato dal direttore di una rivista letteraria che - miracolosamente - non ha mai interrotto le pubblicazioni da 17 anni. Per democrazia l'autore ha usato la parola tradizionale mardom salari (potere del popolo) invece di quella più corrente democrasi: quest'ultima suonava forse troppo filooccidentale al ministero della Guida islamica? chiede qualcuno dal pubblico. No, non c'è stata censura, risponde l'autore, e comunque meglio cambiare una parola che rinunciare alla pubblicazione, osserva. Un'altra parola è del tutto scomparsa dal lessico iraniano: hokumat - e qanun, quell'invocazione al "governo della legge", allo stato di diritto che era su tutti i giornali e che Khatami pronunciava continuamente. Anche se intorno a lui tutto era arbitrio e palese violazione della legge. La ricerca sempre fallita della democrazia è il filo rosso che percorre la storia dell'Iran moderno, dalla rivoluzione per ottenere una costituzione e un parlamento all'inizio del novecento, alla rivolta contro i Qajar negli anni 30, finita con la presa di potere di Reza Shah, fino all'elezione di Khatami, subito neutralizzato dal regime; e infine, l'anno scorso, il plebiscito per Moussavi bloccato dal colpo di mano di Ahmadinejad che si è attribuito, con il sostegno del Leader Khamenei, la cifra platealmente ridicola del 63 per cento dei voti.

All'inaugurazione della mostra di una pittrice molto brava e molto famosa incontro una signora il cui viso comparve su tutti i siti web quando protestò pubblicamente per l'arresto del figlio durante una manifestazione e fu arrestata a sua volta. Un tempo queste inaugurazioni erano un'occasione per far vedere che l'Iran stava al passo col mondo. Ma oggi il clima è depresso, la gente taciturna e avvilita. "Non mi hanno torturato" mi dice la signora, "ma ho subito interrogatori continui, insensati, giorno e notte. S'immagini, volevano sapere perché tante telefonate con Londra, dove vivono mia madre e mia sorella! Sono così indottrinati da credere davvero che la gente che scendeva in piazza non fosse gente normale ma nemici pilotati dall'estero". Di chi la interrogava non riconoscerebbe le facce, dice, ma le voci quelle sì, non le può dimenticare. "Se non dici la verità esci di qui dentro un sacco di plastica", la minacciavano. "Per ore e ore, mi obbligavano a stare in piedi contro la parete, con gli occhi bendati, mentre loro stavano seduti alle mie spalle".

C'è chi ha subìto calvari ancora più duri. I politici riformatori sono quelli che Ahmadinejad vuole espiantare dalle radici, è di loro che ha paura, sono loro che restano in maggioranza in carcere. Incontro un ex membro del governo di Khatami, che è stato rimesso in libertà temporanea contro il pagamento di diverse centinaia di migliaia di dollari a Noruz. È l'ombra di se stesso. "Sto cercando, passo per passo, di riprendere un minimo di vita normale", mi dice smarrito. Ma potrebbe dover tornare in prigione da un momento all'altro.

Ahmadinejad non tollera la minima obiezione, dice Faezeh Hashemi, la figlia di Rafsanjani, un tempo l'uomo più potente dell'Iran. Anche lei è stata arrestata, ma solo per pochi giorni. Il padre ha ancora qualche asso nella manica. "Venga a trovarmi domani mattina a casa mia" mi propone. "Non è controllata?" mi stupisco. "Certo che lo è" risponde con un sorriso di sfida. Preferisco incontrarla nel suo ufficio, dove forse si dà un po' meno nell'occhio. Impossibile prevedere, dice Faezeh, dove andrà a finire questa militarizzazione della Repubblica islamica. Gli sforzi di mediazione del padre, che tentava di salvare il prestigio di Khamenei a condizione che fossero scarcerati tutti i prigionieri politici e riaperto qualche giornale, finora sono andati a vuoto. Khamenei non si fida di nessuno. Anche lui ha paura. Che sia caduto nella trappola preparata da Ahmadinejad e dai suoi pasdaran e non riesca a uscirne; che sappia di non avere più nessuno che lo sostenga e debba perciò restare aggrappato al presidente da lui proclamato; oppure che effettivamente ne condivida le strategie, questo nessuno lo sa.

L'Occidente mente, tutto il mondo mente, l'Iran non è isolato. E la tv iraniana è pronta a dimostrarlo. Ventiquattr'ore su ventiquattro la tv mostra agli iraniani un mondo virtuale, di cui Ahmadinejad è sempre il protagonista, nel ruolo di pioniere del disarmo atomico e di inauguratore di nuove imprese ad alta tecnologia. Così milioni di persone scontente del governo dovrebbero convincersi che il regime vuole davvero solo il nucleare civile e che le nuove sanzioni sono un altro stratagemma del Grande Satana, cheytané bozorg, l'America. Questo show surreale, che rovescia fatti e verità palesi, è certo un'indicazione della debolezza di un regime che non è mai stato come oggi tanto separato perfino dalla gente più pia. Ma riesce anche a far presa. L'antiamericanismo è così radicato nel mondo, soprattutto in quello mediorientale, che Ahmadinejad non solo è diventato un eroe agli occhi delle popolazioni sciite di paesi come il Libano, ma ispira simpatia, in nome del comune odio per l'America, perfino a qualche vecchio comunista iraniano, qualche Tudehi sopravvissuto ai massacri di Khomeini. 

Siamo invitati a una lettura di poesie. Ogni mercoledì, per un anno, si leggono le opere di un poeta. Quest'anno il poeta è Saadi e la lettura di oggi è Golestan, una composizione di storie in prosa e di massime. La storia numero 6 parla di un re che era diventato così tirannico che i sudditi abbandonavano il paese e sceglievano l'esilio pur di non sottostare alla sua violenza. Un giorno a corte si leggeva lo Shahnameh di Ferdosi e il vizir chiese al re: "Com'è che Feridun, che non possiede né tesori né terre, s'impossessa del trono?" "Non hai sentito?" risponde il re. "Perché il popolo con tanto entusiasmo lo sostiene". E il vizir: "Se il sostegno del popolo è la base della sovranità perché tu fai disperdere il tuo? Forse non vuoi più essere re?". Scrive Saadi: Un tiranno non può essere re/ come un lupo non può essere pastore./ Un re che opprime il popolo/distrugge le basi del proprio regno. Applausi in sala. Nove secoli dopo, le massime di Saadi sono ancora vere. 

Così non può durare, dicono tutti. Ma fino a quando durerà, nessuno lo può dire. Forse settimane. Oppure anni.


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