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10/12/2010

Kosovo alle urne, sempre più diviso
di Christian Elia

I serbi sono spaccati tra boicottaggio e partecipazione, gli albanesi travolti da inchieste e arresti eccellenti

Domenica 12 dicembre 2010 si vota in Kosovo. Elezioni anticipate, dovute alla crisi politica aperta dalle dimissioni del presidente della giovane repubblica, Fatmir Sejdiu, il 27 settembre scorso. La Corte Costituzionale di Pristina ha ritenuto incompatibili con la legge fondamentale dell'ex provincia serba le due cariche occupate da Sejdiu: quella di capo dello stato e quella di leader del suo partito, la Lega Democratica del Kosovo (Ldk).

Una situazione per lo meno poco ortodossa, visto che la Costituzione del Kosovo è entrata in vigore a giugno 2008 e l'incompatibilità è stata censurata solo due anni e mezzo dopo. La Corte è presieduta da un giudice statunitense, Robert Carolan, elemento che ha evitato polemiche di strumentalizzazione politica della sentenza. L'ex presidente ha sempre sostenuto di aver congelato la presidenza del Ldk, ma alla fine si è dimesso, evitando l'impeachment, ma ha segnato forse in modo irreversibile la crisi politica del Ldk, orfana del leader Ibrahim Rugova, morto nel 2006 e per decenni uomo simbolo della lotta indipendentista degli albanesi in Kosovo. Un vantaggio per il Partito Democratico del Kosovo (Pdk) dell'ex premier Hashim Thaci. Il 'serpente', come era chiamato ai tempi della guerriglia anti serba, non è messo meglio, impelagato com'è - assieme a molti dei suoi colonnelli - in inchieste di corruzione e abuso di potere. La crisi del Ldk, però, è un vantaggio per Thaci e i suoi, all'interno di quella che comunque dovrebbe restare una solida alleanza di governo.

Anche perché il vero grande assente è all'Aja. Riceverà un permesso per la nascita del suo terzo figlio, ma non potrà candidarsi. Si tratta di Ramush Haradinaj, leader dell'Alleanza per il Futuro del Kosovo (Aak). Ex comandante della guerriglia alla fine degli anni Novanta, è uscito indenne da un primo processo per crimini di guerra - perdendo la carica di primo ministro all'epoca - ma è stato inquisito di nuovo. Vero outsider della contesa elettorale è Albin Kurti, eterna giovane promessa. Al centro di un'inchiesta internazionale per manifestazioni organizzate dal suo movimento Vetevendosje, divenuto partito, sfociate in violenze e scontri con le forze internazionali si è salvato anche grazie a più di 170mila firme raccolte in pochi mesi. 
Kurti si presenta con un programma di rottura: unione all'Albania del Kosovo, nazionalizzazione delle risorse strategiche, fine della tutela internazionale del Kosovo, rottura dei negoziati con la Serbia per un accordo definitivo tra Pristina e Belgrado. Interessante studiare il suo elettorato che pare nutrito di giovani, ma il suo partito è decisamente inviso alle cancellerie occidentali, che tanto denaro hanno investito in Kosovo.

Rispetto alla comunità serba la situazione, per la prima volta, appare divisa. Almeno il sessanta per cento dei serbi ha lasciato la regione dopo il 1999, ma i circa centoventi mila che sono rimasti appaiono su posizioni lontane. Il nord del Kosovo, dove è presente più o meno la metà dei serbi, è ancora totalmente legato a Belgrado. Hanno istituzioni parallele, non riconoscono le autorità emerse dalla dichiarazione unilaterale d'indipendenza kosovara del febbraio 2008, ricevono fondi da Belgrado. ''I serbi non risolveranno nulla guardando al Parlamento di Pristina'', ha dichiarato Milivoje Mihajlovic, portavoce dell'esecutivo serbo. ''La loro unica speranza è la diplomazia di Belgrado''. Il governo serbo, che ha annunciato un piano di sostengo economico di 500 milioni di euro ai serbi in Kosovo per il 2010, punta al boicottaggio, nell'attesa di risolvere la controversia internazionale. Belgrado è consapevole di non poter tornare indietro, ma punta a uno status di autonomia per i serbi in Kosovo e rifiuta, intanto, ogni normalizzazione.

La comunità serba del Kosovo meridionale, però, non ne può più. Non ha, come i serbi del nord, continuità territoriale con la Serbia e non ha un territorio omogeneo come i serbi della parte settentrionale. Negli ultimi anni si è creato un movimento 'inclusivista'. Nessuno che riconosca come lecita la secessione del Kosovo, ma tanta voglia di guardare avanti. Il simbolo di questo movimento è Rada Trajkovic, ex presidente dell'Executive Board of the Serbian National Council. Espulsa dall'organismo per essersi candidata alle elezioni, ha fondato la Lista Unitaria Serba con un programma collaborativo e integrativo. Sulla stessa linea il Partito Indipendente Liberale, di Slobodan Petrovic di Gracanica, principale centro serbo nel Kosovo centrale. 
La tensione è forte, in particolare Oliver Ivanovic (leader storico dei serbi di Mitrovica e in odore di crimini di guerra) fomenta il boicottaggio, lanciando messaggi minacciosi ai serbi che vogliono partecipare. Saranno ventuno i seggi aperti nelle zone serbe. In una di queste, Leposavic, è avvenuto il primo episodio di cronaca nera della campagna elettorale. E' stato assassinato Shefko Salkovic, consigliere comunale, della minoranza bosniaca. Da sempre ritenuto vicino a Pristina, è stato ucciso da un commando in una zona a maggioranza serba. I rappresentanti di tutti gli organi internazionali invitano alla calma, ma il Kosovo è ancora al centro di forti turbolenze.

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