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12/07/2005

Mura sempre più alte
di Christian Elia

Saranno 55mila i palestinesi tagliati fuori da Gerusalemme dal muro
entro il 1 settembre

Secondo alcuni la decisione è stata presa adesso per sfruttare l'onda emotiva delle bombe di Londra, visto che da sempre il muro costruito da Israele è stato presentato come una misura anti-terrorismo. Secondo altri invece serviva un segnale forte del governo Sharon per tenere buono lo schieramento sempre più numeroso di quelli che si oppongono al ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza. In ogni caso il risultato è uno solo: il muro attorno alla parte orientale di Gerusalemme sarà completato entro il 1 settembre di quest'anno.

 

Vite stravolte. Il provvedimento riguarderà in modo particolare gli abitanti del campo profughi di Shaufat, alle porte di Gerusalemme, e quelli di Kafr Aqab, Qalandya e Anata. Gerusalemme Est, di fatto, viene separata dalla Cisgiordania e da quello che dovrebbe essere un futuro stato palestinese. Per avere un'idea del dramma che questo significa per le popolazioni arabe della zona, basta pensare che 3600 studenti palestinesi provenienti dalle zone interessate dal provvedimento, ogni giorno, si recano a scuola a Gerusalemme Est. Ehud Olmert, vice-premier del governo Sharon, ha cercato di minimizzare: “Tutte le persone interessate dal provvedimento continueranno a godere dei servizi sociali e municipali di Gerusalemme”.

Ma chi ha visitato almeno una volta quelle terre sofferenti  sa cosa vuol dire avere la cosidetta ID card, cioè il documento d'identità che hanno i residenti a Gerusalemme. Senza quello la vita diventa impossibile, visto che non si può entrare in città. Questo significa spesso restare completamente tagliati fuori dal mondo del lavoro, dall'istruzione e lontani dal nucleo familiare. Ma quante persone riguarda il provvedimento? Secondo le prime stime, su un totale di 230mila palestinesi, saranno 55mila quelli che resteranno chiusi fuori dalla barriera costruita attorno a Gerusalemme. Il governo israeliano ha fatto sapere che, nel percorso del muro altro 8 metri e fortificato come un bunker, saranno lasciati 12 passaggi, ma i controlli e le misure limitative alla libertà di spostamento dei palestinesi che vogliono attraversare il muro sono spesso insormontabili.

 

Legalità calpestata. A nulla è quindi servita la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia, emessa giusto un anno fa su sollecitazione delle Nazioni Unite, che intimava a Israele di porre fine alla costruzione del muro, riferendosi ai tratti in cui questo sconfina dalla linea dell'armistizio del 1967, e di ricompensare chi era stato danneggiato economicamente dall'innalzamento della barriera difensiva. Ma quella era una sentenza non vincolante e, fin dal primo giorno di udienze all'Aja, in Olanda, il governo israeliano aveva preannunciato di non sentirsi vincolato dal parere della Corte. Un parere vincolante è invece quello emesso dalla Corte Suprema d'Israele, che il 30 giugno 2004, rispetto al tracciato del muro nella zona di Modiin in Cisgiordania, aveva stabilito che questo “viola fortemente il diritto della popolazione e la sua libertà di movimento. La vita della gente è severamente pregiudicata”. Un tratto di muro fu modificato, ma la motivazione profonda della sentenza non è stata colta dal governo Sharon, anche se adesso sono attese valanghe di ricorsi presso  l'organo giudiziario più importante d'Israele.

 

Sempre più soli. A nome dei palestinesi ha parlato Saab Erekat, uno dei negoziatori storici dell'Autorità Nazionale Palestinese. “Questa decisione rischia di compromettere l'intero processo di pace”, ha dichiarato Erekat, “Israele ha preso una decisione unilaterale su una delle questioni chiave del conflitto. Ha stabilito, in modo autoreferenziale, un punto chiave nel futuro di Gerusalemme”. Il muro rischia di compromettere la già fragile tregua e il Presidente dell'Anp Abu Mazen ha un problema in più da affrontare nel tentativo di ricondurre i movimenti armati all'interno della politica istituzionale convincendoli ad abbandonare la lotta armata. La situazione è grave e, se fosse necessario, a sottolinearlo ieri sono arrivate le dimissioni di Marwan Kanafani da ogni incarico. Kanafani, già consigliere e portavoce di Arafat, è uno degli elementi più stimati dalla popolazione palestinese all'interno di al-Fatah, il partito di Arafat e Abu Mazen. Kanafani si è detto preoccupato dalla situazione generale e per la sicurezza in Palestina, ma per molti le sue dimissioni vogliono essere un messaggio chiaro per Mazen che ha rinviato le elezioni legislative per il timore che la vittoria di Hamas potesse assumere dimensioni preoccupanti. Mazen contava di recuperare consensi alla causa della diplomazia al posto delle armi, ma la decisione del governo Sharon non lo aiuta di sicuro.





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