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11 settembre 2010

Mohammed, A 13 Anni Davanti A Corte Militare
di Flavia Lepre

Roma, 11 settembre 2010, Nena News – Il mondo vive una parentesi di sollievo dopo aver appreso che l’8  settembre la pena capitale per lapidazione a cui era stata condannata  in Iran Sakineh e’ stata sospesa ed il processo da cui era scaturita  sara’ oggetto di riesame. Questo e’ il risultato di una  mobilitazione varia insistente e stereofonica che ha visto  protagonisti i piu’ disparati soggetti internazionali, in un   rilancio e richiamo di molteplici iniziative.

Non uguale impatto sull’opinione pubblica, da anni atona ed afasica,  hanno avuto altre gravissime vicende internazionali di violazioni dei  diritti umani anche sistematiche ed il piu’ delle volte in totale  assenza di un processo o con con processi che non garantiscono gli  imputati. Non uguale zelo dei mezzi di comunicazione ne’ uguale  insistenza. Anche al recente riprendere dei negoziati tra Israeliani e  Palestinesi, il silenzio continua a coprire l’ampia e dolorosissima  piaga dei trattamenti disumani ed umilianti, delle torture riservati  ai prigionieri (politici) palestinesi nelle carceri israeliane.

L’ultimo caso proposto all’attenzione pubblica dall’associazione  palestinese Addameer ,che dal 1992 si occupa della difesa dei loro  diritti, si batte contro la detenzione amministrativa e svolge  un’attivita’ di monitoraggio della tortura perche’ questa cessi, e’  quello di un sedicenne.

Mohammad Halabiyeh, di Abu Dis (Gerusalemme), e’ stato preso il 6  febbraio scorso nella sua citta’. Ha coraggiosamente denunciato,  nonostante le intimidazioni perche’ non lo facesse, di aver subito  torture, tra cui la privazione del sonno, maltrattamenti ed abusi,  anche sessuali, dai soldati israeliani che lo avevano “arrestato”,  descrivendo con precisione gli atti compiuti contro di lui: calci  sulla gamba fratturata, bastonate nella pancia, pugni in faccia …mentre un cerotto gli chiudeva la bocca. La maggior parte di questi  pestaggi, asserisce il ragazzo,  si e’ verificata  nell’ospedale di  Hadassah, nei cinque giorni successivi al suo “arresto”, ma sono  stati ripetuti, con abusi sessuali, anche dopo. Il ragazzo, inoltre,  e’ detenuto da allora nel terribile carcere israeliano di Ofer, dove  e’ tenuto in una sezione di adulti.

Addameer, l’associazione che cerca di tutelare per quanto puo’ i suoi  diritti, e che chiedeva attenzione pubblica sul caso e  sulla seduta  del tribunale militare israeliano dello scorso 6 settembre, affiche’   si possano impedire altre violenze e violazioni di diritti e si ponga  rimedio a quelle tuttora in atto, ha fatto sapere che per un rinvio il ragazzo sara’ ascoltato il 13 settembre.

Questo non e’ un caso unico. Un altro minorenne, Emad Al-Ashhab,  diciassettenne, accuso’ i soldati israeliani che lo avevano preso, il  21 febbraio di quest’anno, di averlo incappucciato con un sacchetto e  poi avergli percosso il capo con un bastone, di avergli bruciato le  mani con sigarette, mentre gli stringevano i polsi con le manette;  tenuto in detenzione amministrativa, cioe’ senza capo d’accusa ne’  processo, vi restera’  fino al 3 novembre (secondo l’ultimo rinnovo della detenzione amministrativa).

Neanche le donne sono risparmiate. Ad esmpio, Nelli Zahi A’sad Sa’id  As-Safadi, presa al posto di blocco tra Nablus ed Hebron  l’11 novembre scorso, sottoposta ad  interrogatori e trasferita senza comunicarle alcunche’ e tanto meno  chiedergliene il consenso, a Petah Tiqva, un centro di detenzione  all’interno di Israele; anche a lei, oltre che ripetute ispezioni  fisiche, sono state imposte privazione del sonno, costrizione  prolungata in posizioni scomode, e’ stata immobilizzata e legata con  le mani dietro la schiena alla sedia ed oltre ad abusi fisici e  verbali, le e’ stato impedito di chiamare il proprio avvocato; per  fare pressioni su di lei, furono “arrestati” cinque membri della sua  famiglia, tra cui la suocera ultrasessantenne. Nelli e’ ancora  detenuta nella prigione di HaSharon in Israele.

La detenzione amministrativa continua ad essere una mostruosita’  applicata in larga misura contro i Palestinesi dalle autorita’  israeliane e non e’ una “necessita’” dettata dall’urgenza di fronte all’immediatezza del delitto.  Hana Yahya Shalabi fu presa a casa  sua, in un villaggio presso Jenin il 14 settembre 2009 e portata nel  centro israeliano di detenzione di Kishon, dopo estenuanti  interrogatori, condannata il 29 settembre dello stesso anno dal  Comandante militare israeliano Ilan Malka a sei mesi di detenzione  amministrativa, appellatasi contro tale decisione, ha perso l’appello  e restera’ nel carcere israeliano fino al 13 marzo 2010 senza accusa. Solo pochi casi esemplificativi della gravita’ del problema che  s’impone all’attenzione dei difensori dei diritti umani e del diritto  internazionale, ma anche di coloro che semplicemente davvero vogliono  lavorare per la pace tra Palestinesi ed Israeliani: il perpetrarsi di  simili pratiche non solo e’ inammissibile in una paese che si autodefinisce “democratico”, ma hanno anche l’ovvia conseguenza di rinfocolare  l’odio per i responsabili politici dei trattamenti inumani degradanti  e torture subiti.

Addameer, nata nel 1992 ad opera di un gruppo di attivisti per i  diritti umani, offre sostegno ai prigionieri palestinesi, di cui  difende i diritti, si batte contro la detenzione amministrativa ed  attraverso un’attivita’ di monitoraggio della tortura lavora per  la sua cessazione. Una sentenza dell’Alta Corte di Giustizia  Israeliana il 6 settembre 1999 interdisse ufficialmente la tortura  dagli interrogatori. Tuttavia, furono consentite “moderate pressioni  psicologiche” in casi di “necessità di difesa” e quando il  detenuto è considerato una “bomba innescata”, inoltre   confessioni estorte con queste pratiche sono ammesse dalla corte e  dal tribunale militare. Il caso di Mohammad non appare un’isolata  anomalia.Dal rapporto di febbraio 2009 di Addameer si viene a sapere che i  Palestinesi detenuti vengono sottoposti a tre differenti tipi di  torture. Quelle di routine, tra cui  deprivazione del sonno,  pestaggi, trattamenti umilianti, diversi modi per interrompere la  circolazione del sangue in alcune parti del corpo, come le mani. Metodi speciali, utilizzati con le persone ritenute “bombe  innescate”, tra cui oltre a posizioni di abuso, anche strangolamenti  e soffocamenti. Celle interne: deprivazione del sonno, esposizione a  temperature estreme o a luce artificiale continua a prolungata.Nonostante i rapporti e le denunce, non si sono dati casi in cui  indagini su torture, maltrattamenti ed abusi su Palestinesi da parte  di soldati israeliani siano pervenute a risultati significativi. Per  questo motivo, per l’ultimo caso presentato, Addameer sollecita  l’intervento degli organismi ONU per i diritti umani e delle forze  internazionali presso le autorita’ israeliane, affinche’ siano  fatti cadere i capi d’accusa contro il giovanissimo palestinese e  siano condotte indagini indipendenti ed imparziali sui responsabili  delle torture e dei maltrattamenti da lui subiti. L’associazione per i diritti dei detenuti solleva inoltre riserve  sulla legittimita’ di sottoporre Mohammad Halabiyeh al giudizio  della corte militare, dal momento che questo tipo di corte, a quanto  le consta, opera in aperto disprezzo per gli standard internazionali  del giusto processo e non attiva alcuna apprezzabile protezione per i  minori. Nena News

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