Haaretz.com
14.08.201

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Lunedì 23 Agosto 2010 12:12

La Pace in Medio Oriente ha Necessità di Profeti,
Non di Uomini Che Dicono Sempre di Sì
di Margaret Atwood

tradotto da Mariano Mingarelli

Se un moderno profeta guardasse al futuro del Medio Oriente potrebbe vedere sette possibili scenari; se i leader fossero saggi sceglierebbero il settimo futuro.

“Dopo che ebbi visitato Israele ed ebbi scritto per Ha’aretz “The Shadow over Israel”, molta gente mi chiese quale fosse la “mia posizione”. “Posizione” è un termine militare e una metafora spaziale, e le posizioni dello spazio e del tempo e le funzioni dell’uno e dell’altro: come modificare lo svolgersi degli eventi ma la “mia posizione” è che io desidero il miglior risultato per tutti. Ma in che cosa consiste questo risultato, e quali sono le alternative?

Immagina un profeta minore. Forse oggi avrebbe lavorato da astrologo. Sta guardando verso Israele e la Palestina,  consultando le sue carte e le stelle per tenere sotto controllo il futuro. Ma di futuro non ce n’è mai uno solo – ci sono troppe variabili – per cui ciò che lui vede è un certo numero di futuri.

Nel primo, non c’è Israele: è stato distrutto in  una guerra e tutti gli israeliani sono stati uccisi. (Improbabile, ma non impossibile). Nel secondo, non c’è la Palestina: è stata fusa con Israele e i palestinesi sono stati massacrati o sono stati spinti oltre i suoi confini. Israele si è trovata completamente isolata: l’opinione pubblica internazionale è stata oltraggiata, le misure di boicottaggio hanno avuto successo, è evaporato il sostegno dagli Stati Uniti – sia quello pubblico che quello privato – e il governo americano, messo in ginocchio dall’enorme debito dovuto alle sue guerre in Iraq e in Afghanistan e tentato dalla promessa di ricchezze minerarie e di petrolio, ha raffreddato i suoi rapporti con Israele e ha oscillato verso un’intesa con il mondo musulmano. Israele è diventato come la Corea del Nord o la Birmania – uno stato militare in conflitto – e i diritti civili ne hanno di conseguenza sofferto. Gli israeliani moderati sono emigrati, e vivono come esuli, in uno stato di amarezza per le occasioni sprecate e i sogni avvizziti.

Nel terzo futuro, c’è uno stato, ma ne è derivata una guerra civile, dato che la popolazione allargata non è stata in grado di trovare un accordo su una bandiera comune, una storia comune, un comune insieme di leggi o un comune insieme di giorni da dedicare alla commemorazione – della “vittoria” per alcuni, della “catastrofe” per gli altri.

Nel quarto, la soluzione a uno-stato ha ottenuto  migliori risultati: è una vera democrazia laica una-persona un-voto, nella quale tutti hanno gli stessi diritti. (Di nuovo, improbabile nell’immediato futuro, ma non impossibile a lungo termine.)

Nel quinto futuro, non esistono né Israele né la Palestina: diverse bombe atomiche hanno ripulito il territorio dagli esseri umani, anche se la fauna selvatica è rigogliosa, come a Chernobyl. Nel sesto, mutamenti climatici hanno trasformato il territorio in un arido deserto.

Ma c’è un altro futuro: il settimo futuro. In questo futuro ci sono due stati, “Israele” e “Palestina”. Entrambi sono fiorenti, ed entrambi sono membri di un Consiglio Regionale che si occupa delle questioni che riguardano l’intera area. Tra i due stati possibili fiorisce armoniosamente il commercio, si stanno costituendo delle imprese comuni di sviluppo, si sta condividendo la conoscenza, e, come nell’Irlanda del Nord, la pace sta pagando i dividendi.

Questo è, sicuramente, un risultato desiderabile, pensa l’astrologo; ma com’è stato possibile realizzarlo? Poiché ha il dono di viaggiare nel tempo virtuale, salta nel settimo futuro e ripercorre  i passi compiuti per arrivare ad esso.

L’impulso era venuto dall’interno di Israele. I leader israeliani avevano visto che il vento era cambiato: ora stava soffiando contro la precedente politica della forza di repressione e dell’appropriazione  dei territori occupati. Che cosa aveva prodotto questo cambiamento? Era dovuto alla reazione internazionale per la distruttiva invasione di Gaza Piombo Fuso? All’uccisione, giudicata errata, degli attivisti della Flottiglia? Alle attività di boicottaggio in crescita sia negli Stati Uniti che in Europa? Alle manovre coordinate di associazioni quali quella di J-Street? Al fatto che il congresso mondiale sionista del 2010 ha votato di sostenere il congelamento delle colonie e di avallare la soluzione a due-stati?

Qualsiasi sia il motivo, Israele aveva perso il controllo della sua stessa storia. Non era più Jack di fronte al grosso gigante cattivo: il racconto del piccolo paese che lotta con coraggio contro le forze schiaccianti si era spostato ai palestinesi. Il mantra, “Pianta un albero in Israele,” non era più rispettabile, in quanto evocava le immagini di bulldozer che abbattono oliveti palestinesi. Israele non poteva continuare a lungo il suo attuale percorso senza alterare la sua stessa immagine di se, divenuta irriconoscibile. La classe dirigente ha letto i segnali in modo corretto e ha deciso di intervenire prima che una risoluzione di pace si defilasse per sempre irraggiungibile. I leader dovrebbero guidare i loro popoli verso un futuro migliore e più sicuro, hanno pensato: non oltre l’orlo di un precipizio.

In primo luogo, le Alture del Golan erano state restituite alla Siria al patto che questa vi avesse creato una zona demilitarizzata sotto la supervisione internazionale. Ai pochi abitanti israeliani era stato concesso di restare, se l’avessero voluto, anche se avrebbero dovuto pagare le tasse alla Siria.

Poi, con l’aiuto della Siria, divenuta ora amica, Hamas era stato invitato ai negoziati di pace. I leader illuminati – con un occhio all’Irlanda del Nord – si erano resi conto che non potevano porre come condizione preliminare qualcosa che è rimasto da negoziare, così non avevano preteso il pre-riconoscimento di Israele come stato ebraico. Hamas, con sorpresa di molti, aveva accettato l’invito, perché non aveva nulla da perdere nel farlo. Era stata fatta pace tra Fatah e Hamas, per cui la Palestina era stata in grado di presentare una delegazione comune.

I negoziati erano stati complessi, ma la gente aveva lavorato duramente per non perdere la loro pazienza. Erano stati invitati come consulenti diversi negoziatori nord americani per le nazioni in formazione, in quanto possedevano molta esperienza e pazienza a lungo termine, e – ricordando il Sud Africa – sapevano che il gridare e il denunciare non avrebbero portato a nessun risultato. Appena erano scesi dall’aereo, si erano imbrattati di salvia per ripulire la regione dai suoi cumuli di paura, di rabbia, di odio e di disperazione e con erbe fragranti per attrarre emozioni positive.

L’accordo aveva richiesto meno tempo di quanto previsto, come si verifica quando la gente è seria. Poi l’occupazione – disastrosa per tutti in entrambe le nazioni, sia fisicamente che moralmente – era finita ed era stata dichiarata l’indipendenza della Palestina. Era stato sottoscritto un patto di reciproca difesa insieme a un patto sul commercio e lo sviluppo. Dato che Israele aveva compreso che non poteva basare la sua fondazione sul diritto internazionale mentre lo stava violando, era ritornato ai confini del 1967, con alcuni scambi di terreni  lungo i confini. Gerusalemme era stata dichiarata città internazionale con gli edifici di entrambi i parlamenti, quello israeliano e quello palestinese, e il diritto di accesso per i credenti ai vari luoghi santi.

Gaza era stata collegata alla West Bank da corridoi, come nel passato tra la Germania dell’est e dell’ovest; i porti erano aperti e i pescherecci potevano salpare di nuovo. Lo sviluppo aveva fatto entrare denaro a palate, determinando la piena occupazione. La situazione dell’acqua era stata corretta, con la firma di accordi  per il giusto-accesso, l’inquinamento era stato eliminato, e veniva prodotta una maggior quantità di acqua fresca grazie all’uso di nuovi processi economici di desalinizzazione a energia solare.

Che cosa è successo a proposito della difficile questione delle colonie? I consulenti per le nazioni in formazione avevano fatto riferimento ad alcuni dei loro precedenti: i coloni avevano potuto restare in Palestina se l’avevano desiderato, con contratti d’affitto. Gli affitti e le tasse pagate dai coloni avevano rappresentato una fonte di reddito per lo stato Palestinese e, dato che i loro prodotti non erano stati più boicottati, i coloni si erano dati da fare per migliorare. Nel complesso, regnavano pace e sicurezza. C’era perfino un Memorial Day in comune, durante il quale venivano onorati tutti coloro che erano caduti nel passato.

Il settimo futuro è a portata di mano – le stelle lo favoriscono – ma l’astrologo sa che molti preferiscono lo status quo: da un conflitto ne possono derivare vantaggi come pure profitti. Tuttavia, i mutamenti spesso arrivano all’improvviso, come la caduta del muro di Berlino, la distruzione della Bastiglia o la fine dell’Apartheid. La quantità del sangue versato durante transizioni di questo tipo – da nulla ad una grande quantità – dipende dall’accortezza della classe dirigente.

Come favorire un tale buon senso? E’ un tradizionale compito del profeta mettere a disposizione delle alternative – delle possibilità di futuro buone, ma anche cattive. A differenza di quegli uomini che dicono sempre di sì, i Profeti dicono ai potenti non ciò che loro vogliono sentirsi dire, ma ciò che è necessario che odano. “ Come posso applicarlo?” pensa l’astrologo. “A partire qualcosa con la scritta a mano sul muro*….?” 

[* riferimento biblico. N.d.t.]

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