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28/09/2010 11:54

Le attività delle colonie affrettano la fusione di Israele e Palestina in un unico Stato
di Arieh Cohen

Il “peccato originale” alla radice di quanto vediamo oggi è forse nella “Dichiarazione di principi”, nell’originale “Accordo di Oslo” fra Israele e l’Olp del 13 settembre 1993. Lì si dice che “gli insediamenti” saranno materia per i negoziati di pace nella loro fase conclusiva. Il riferimento è agli insediamenti che erano già in atto quel tempo. Nessuno pensava che la frase potesse essere interpretata ne senso che le colonizzazioni potevano continuare dopo la data del 1993.

In quella data lontana, il 13 settembre 1993, si pensava che il definitivo accordo di pace sarebbe stato concluso entro il 1999, mettendo fine anche all’occupazione. Ciò non è ancora accaduto.

Ma il numero dei coloni e il territorio coperto dalle colonie hanno continuato a crescere in modo esponenziale negli ultimi 17 anni. Tanto che un numero crescente di commentatori – fra i palestinesi, ma anche fra gli israeliani, non solo di sinistra – sono ormai dell’opinione che stabilire uno Stato palestinese nei territori occupati è ormai impossibile. L’unica alternativa, essi dicono, è di fondere Israele e i territori palestinesi occupati in un unico Stato, con arabi ed ebrei come cittadini alla pari. Un simile Stato avrebbe ora 6 milioni di cittadini ebrei e più di 4 o 5 milioni di cittadini palestinesi (compresi gli attuali palestinesi cittadini di Israele, all’interno dei confini israeliani).

A causa dell’alto tasso di natalità fra i palestinesi, una maggioranza palestinese nello Stato unitario sarebbe solo un problema di qualche anno. Per la vasta maggioranza degli ebrei israeliani questo è uno “scenario da incubo”, la fine dello Stato di Israele come essi lo conoscono ed amano, quale specifica casa nazionale del popolo ebraico.

Ogni volta che si costruisce un’altra casa negli insediamenti, ogni volta che un’altra famiglia di coloni si trasferisce nella West Bank, questo scenario si avvicina sempre più, diventando una realtà da cui è impossibile fuggire. Per quegli israeliani e palestinesi che desiderano ancora avere il loro proprio  Stato – nazionale e magari democratico – e che pensa che ciò sia ancora possibile (ma non si sa per quanto tempo ancora), la ripresa delle attività nelle colonie è fonte di profondissima ansietà.

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