NO Bavaglio: più ancora che come giornalista, mi sento offesa come cittadina
di Bice Biagi

TOPEra l’autunno scorso: ci siamo trovati in tanti a Roma, piazza del Popolo, a manifestare per la libertà d’informazione. Siamo fortemente preoccupati, dicevamo soltanto qualche mese fa. Era l’inizio di questa strana primavera: ci siamo ritrovati a Milano, davanti al Castello Sforzesco, ancora con lo stesso impegno ma con un diverso stato d’animo. Ho detto, e lo confermo, che la mia preoccupazione era diventata paura. Paura davanti a un governo che si dava da fare soprattutto per rimediare alle faccende e ai guai del premier e poco si occupava della situazione economica, disastrosa, del Paese, dei cassintegrati, dei disoccupati, dei precari e che, con disprezzo, giustificava mancanze e malefatte di alcuni dei suoi componenti prendendosela con la stampa e alcune reti televisive. Comunisti, ovviamente. Oggi non c’è più preoccupazione né paura: solo angoscia. Con la legge bavaglio d’ora in avanti saremo privati di quelle notizie che ci hanno fatto scoprire Tangentopoli, Affittopoli, Vallettopoli, Calciopoli, Bancopoli, le infamie dei mafiosi e dei Casalesi e le ospitate di Villa Certosa. Più ancora che come giornalista, mi sento offesa e colpita come cittadina: la Costituzione afferma che in quanto tale ho il diritto ad essere informata, ma, ormai lo sappiamo, anche la Carta non ferma le leggi ad personam. E questa non è che una delle tante. La speranza, ora, è nella forza degli italiani per pretendere che vengano rispettati i loro diritti, nemmeno nella Spagna franchista si era arrivati a togliere quello fondamentale  dell’informazione, ma lo studio della storia pare diventato un optional: l’importante è salvarsi da situazioni imbarazzanti che, magari, con la diffusione di certe telefonate potrebbero diventare gravi. Qualcuno così probabilmente si salverà, non