Alternative Information Center
Thursday, 15 September 2011 12:06

Freedom Theatre: intervista al direttore di "Aspettando Godot"
di Marta Fortunato

Il Freedom Theatre resiste e porta in scena “Aspettando Godot”. Il 10 settembre a Ramallah gli studenti di Juliano Mer Khamis, sotto la direzione di Udi Aloni, hanno presentato al pubblico il riadattamento dell'opera teatrale di Samuel Beckett. Uno spettacolo maturo, serio, in cui, rispetto all'azione, si prediligono i monologhi e le riflessioni interiori.

Un progetto difficile, nato dal senso di smarrimento provato dopo l'omicidio di Juliano e scandito dai continui attacchi dell'esercito israeliano contro gli attori e lo staff del Teatro della Libertà.

Il direttore Udi Aloni spiega all'Alternative Information Center il significato di “Aspettando Godot”, le difficoltà incontrate durante la preparazione dello spettacolo e le speranze per il futuro.

Com'è nata l'idea di portare in scena “Aspettando Godot”?

Dopo la morte di Juliano eravamo tutti in lutto, in uno stato di shock e per questo abbiamo deciso di portare in scena un'opera che potesse rappresentare i nostri sentimenti di smarrimento e confusione. Avevamo il diritto di farlo. Secondo me il messaggio principale di “Aspettando Godot” è quello di trovare speranza e significato in situazioni che sembrano non avere significato.

Quest'opera è il progetto di laurea di sette ragazzi che avevano studiato con Juliano e per questo abbiamo deciso di preparare qualcosa di serio e profondo, non una commedia, ma un'opera più riflessiva, ricca di monologhi, che facesse riflettere il pubblico, volevamo assumerci una responsabilità totale per rendere omaggio a tutto il lavoro fatto da Jule. Penso che “Aspettando Godot” abbia raggiunto l'obiettivo: in quest'opera, che oggi abbiamo portato in scena, viene alla luce la relazione che esiste tra noi, il fatto che ci sentiamo così fragili e così soli: qualcuno può anche dire che siamo rivoluzionari, ma nella realtà non siamo per nulla forti, non sappiamo chi ha ucciso Juliano, negli ultimi mesi siamo stati presi di mira dall'esercito israeliano. Abbiamo dato importanza ai piccoli gesti, non abbiamo fatto grandi cose, ma la nostra forza sta proprio nel fatto che possiamo creare qualcosa di potente attraverso la nostra fragilità, capendo la nostra situazione ed accettandola.

E' stato difficile preparare questo spettacolo?

E' stato molto più che difficile, direi che è stato impossibile. Quello che abbiamo portato in scena oggi lo definirei un miracolo. Dopo la morte di Juliano eravamo tutti scioccati, sconvolti, e nello stesso tempo l'esercito israeliano ha iniziato a prenderci di mira: hanno arrestato Rami (che nello spettacolo interpreta Pozzo) senza alcun motivo e quando l'esercito si è accorto di aver fatto un errore, l'ha tenuto in carcere per un mese con accuse senza senso. E' stato rilasciato cinque giorni fa, abbiamo avuto pochissimo tempo per la prove.

Ci sentivamo tesi ed impotenti. Oggi, già prima che lo spettacolo iniziasse, ho capito che tutto quello che avevamo ottenuto era già una grande vittoria: il fatto che ci fossimo tutti e che il gruppo fosse unito era la cosa più importante. C'erano sia Rami che la figlia di Jule. La vittoria più grande è che siamo rimasti umani.

Oltre a tutto questo sono davvero contento che gli attori siano stati così professionali: quello che Jule ci ha sempre insegnato è un insieme di arte, teoria ed azione. Non bisogna essere solo attivisti e politici poiché essere attivisti significa solo rispondere allo stato di emergenza che l'oppressore ti impone, ma è anche necessario sapere quello che si vuole, affrontare i problemi esistenziali. Inoltre non posso non essere riconoscente nei confronti delle persone del campo profughi di Jenin che mi hanno accolto ed amato: io sono israeliano e di questi tempi non è per niente facile esserlo, soprattutto in un contesto come quello di Jenin, dove gli israeliani hanno compiuto crimini orribili.

Qual è il messaggio principale che “Aspettando Godot” vuole trasmettere al pubblico?

Scopo dello spettacolo è quello di trasmettere al pubblico la forza dell'amicizia e della fedeltà in un momento in cui questi valori stanno venendo meno. Assieme a questi temi universali abbiamo volutamente mantenuto l'interesse per il particolare, per la causa palestinese. In questo senso, penso che Juliano fosse una voce nel deserto fino a quando non c'è stata la rivoluzione di piazza Tahrir: improvvisamente non ci siamo più sentiti un'isola ma parte di un movimento rivoluzionario globale che non ha più come punto di riferimento l'occidente ma i paesi arabi, la Tunisia, l'Egitto.

E “Aspettando Godot” ha questo carattere universale poiché porta in scena i problemi esistenziali dell'uomo, in ogni tempo e in ogni luogo, ma nello stesso tempo esprime anche quello che noi, come staff del Freedom Theatre e come palestinesi ed israeliani che lottano per i diritti del popolo palestinese, proviamo nella nostra vita quotidiana: i nostri problemi, le nostre relazioni, le nostre battaglie e lotte. Per questo abbiamo deciso di usare il dialetto palestinese e non l'arabo classico, proprio per sentire quest'opera ancora più vicina al nostro modo di essere.

Un altro elemento molto importante è che cerchiamo di portare in scena altri temi importanti come la lotta per l'emancipazione della donna. Non è la prima volta che i protagonisti dei nostri spettacoli sono donne, e in “Aspettando Godot” abbiamo intenzionalmente costruito i personaggi giocando sulla confusione dei sessi: ad esempio Didi è una donna ma è vestita da uomo.

Da un punto di vista più generale noi crediamo in un unico stato bi-nazionale dove ci siano diritti uguali per tutti, per palestinesi ed israeliani, dove non vi siano discriminazioni. Tuttavia non pensiamo che il dialogo che Israele vuole instaurare con i palestinesi ottenendo finanziamenti dall'Europa sia la via giusta. Noi siamo parte di questa lotta palestinese e chiunque ne può far parte, ma deve partire da una posizione di uguaglianza. E questo è proprio quello che sta avvenendo. Ad esempio io sostengo la campagna BDS e solo facendo questo posso instaurare un dialogo vero e sincero coi palestinesi, solo mostrando una vera solidarietà per la loro causa e individuando chi è l'oppresso e l'oppressore, può avere inizio uno scambio reale. Questo è il primo passo per la costruzione di uno stato bi-nazionale: solo così si può distruggere il concetto di Linea Verde e iniziare a costruire qualcosa di reale assieme.

In Israele ora qualcosa sta cambiando, ci sono proteste e manifestazioni, ma sono molto preoccupato per quello che potrà accadere. Temo che i palestinesi non verranno mai inclusi nelle proteste, che sarà una lotta per i diritti degli israeliani ebrei e basta.

Tra poco andrete negli Stati Uniti per una tournée americana. Quali sono le vostre aspettative?

Faremo una tournée di tre settimane negli Stati Uniti e porteremo in scena “Aspettando Godot”. Forse dovremo cambiare il nome dello spettacolo poiché non abbiamo il diritto ad usare lo stesso titolo, molto probabilmente lo modificheremo in “Nell'attesa”. La nostra speranza è di trovare sostegno e supporto negli Stati Uniti, per poter continuare la nostra attività. Speriamo di potere trovare lavoro come attori di cinema e teatro: questi ragazzi sono le voci della Palestina e scopo principale del Freedom theatre è quello di proporre un altro tipo di resistenza.

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