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13/09/2011

Israele, nessun dorma
Tra le tende degli indignados israeliani un'artista raccoglie le voci del disagio
di Fiammetta Martegani

Dopo oltre un mese di manifestazioni organizzate dal "popolo delle tende", con picchi di 450mila persone, che su una popolazione di 7 milioni e mezzo di abitanti non sono affatto pochi, qualcuno si domanda ancora dove siano "tutti gli altri". Yossi Atia, cine-documentarista originario di Gerusalemme ma ormai trasferitosi da anni in pianta stabile a Tel Aviv, ha deciso così, a pochi minuti dall'inizio dell'utlimo grande incontro dello scorso 3 settembre, di recarsi di fronte al Cinema Chen, lo storico cinema di Dizengof Square, cuore di Tel Aviv non soltanto dal punto di vista geografico, per domandare ai presunti cinefili quale ragione li facesse preferire la visione del film Horrible Bosses, rispetto ad aderire alla grande protesta che da luglio unisce il popolo Israeliano guidato dal motto: "Il popolo esige giustizia sociale". In risposta alla fatidica domanda: "Perchè non andate alla manifestazione?" Yossi riceve le più svariate motivazioni: "Ci sono già andato settimana scorsa"; "non ho voglia di sudare con tutto questo caldo"; "non mi sembra una cosa abbastanza seria. Se provi a chiedere ai dimostranti per che cosa protestano davvero, in realtà nessuno lo sa". In effetti, come mostra anche Yossi nel trailer del suo documentario Horrible Bosses, le ragioni per protestare sotto il grande ombrello della "giustizia sociale" sono le più svariate: il diritto all'istruzione; l'opposizione alla sempre più massiccia privatizzazione di servizi che una volta erano pubblici; qualcuno addirittura confessa di partecipare solo perchè "è divertente". Cosa accomuna, dunque, il mezzo milione di israeliani che per due mesi, alla fine di ogni Shabbat, sono scesi in massa per le strade non soltanto di Tel Aviv ma dell'intera Israele? Tutto era cominciato col "movimento delle tende", a causa del continuo aumento del costo degli affitti. Il carovita in Israele, infatti, è sicuramente un problema all'ordine del giorno. Tuttavia non soltanto negli ultimi mesi, ma ormai da un decennio, come del resto in altri Paesi anche al di fuori del bacino del Mediterraneo. Anzi, si diceva all'inzio che questa protesta fosse stata portata avanti, paradossalmente, proprio dalla classe medio-borghese dei giovani bohemien di Tel Aviv, disposti a rinunciare all'auto, ma non all'appartamento in centro. Ma come collocare, tuttavia, all'interno di questo movimento i sopravvissuti alla Shoah e i rifugiati politici del Darfur, che, assieme, hanno protestato per le strade di Tel Aviv e sul palco di Kikar Medina, "Piazza di Stato", durnate l'ulitma grande manifestazione del 3 settembre, con cui si è concluso ufficialmente il "movimento delle tende", smantellate il giorno successivo dopo quasi due mesi di "accampamento", nonostante, come ha affermato Daphney Leaff, leader del movimento, al termine della grande manifestazione: "Questa non è la fine del movimento, ma solo l'inzio di una nuova epoca per Israele". Ma in cosa consiste, davvero, questa necessità di cambiamento? Secondo Yossi, che sta cercando di trovare una risposta attarverso un documentario che è ancora un work in progress, il grande cambiamento consiste proprio nel fatto che, finalmente, il popolo israeliano è in cerca di cambiamento, mettendo al primo posto la "giustizia sociale", qualunque cosa essa rappresenti, al posto della "politica della sicurezza", per sessant'anni unico vero motore della politica israeliana. E in effetti di grande cambiamento si tratta. Almeno per ora. Fino a che punto infatti il carovita avrà la meglio rispetto alla questione della sicurezza? E soprattutto, cosa succederà dopo la dichiarazione di Indipendenza dello Stato Palestinese, prevista per il prossimo 20 settembre? Se la sicurezza dovesse avere la meglio sul carovita, il tanto contestato Primo Ministro Bibi Netanyahu potrebbe all'improvviso ritornare popolare? Yossi dichiara che, fin dall'inzio del movimento, il suo stato d'animo ha sempre oscillato tra picchi di estremo ottimismo e pessimismo, a seconda dei giorni, "il che è già un grande successo, considerando che di solito pensando alla politica israeliana sono pessimista al 100 percento. Ma soltanto il fatto di vedere scenedre in piazza centinaia di migliaia di persone, ha improvvisamente risvegliato il mio ottimismo. E, infatti, ciò che più mi ha colpito nel discorso di Daphney Leaff, è stato il momento in cui ci ha chiesto se alla fine Bibi, e le scelte politiche che rappresenta, risucirà a distruggere questo spirito di speranza, che per noi israeliani è qualcosa di talmente nuovo e ‘rivoluzionario', che non mi soprenderei se presto tornassimo sui nostri 'vecchi passi'". Israele infatti, come afferma Yossi, è da troppi anni, decenni, bloccata dall'ombra del suo passato, senza una vera progettualità nei confronti del futuro, che invece rappresenta l'unica ragione per cui varrebbe ancora la pena di essere ottimisti, o, per lo meno, di poter continuare a sognare, "non soltanto come individui , ma soprattutto come popolo'".

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