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28/12/2010


Gaza e Cisgiordania, Natale di sangue
di Vittorio Arrigoni

 

"Noi i pastori li mettiamo nel presepe, gli israeliani li mettono sotto l'albero. Quattro metri sotto". Così ha sardonicamente commentato su Facebook il mio amico Otaku, la notizia dell’ultimo civile palestinese ammazzato dai soldati israeliani. E in effetti durante il periodo natalizio sia in Cisgiordania che a Gaza si è registrata una escalation di attacchi contro i pastori palestinesi, oltre che contro i contadini e raccoglitori di materiale di riciclo ormai drammaticamente obbiettivi abituali dei tiratori scelti di Tel Aviv.

Il 15 dicembre il Palestinian Center for Human Rights ha denunciato come  Ibrahim Hassan,  28 anni, è stato assalito da un gruppo di coloni israeliani mentre pascolava il suo bestiame a sud di Nablous.  Hassan è riuscito a liberarsi e darsi alla fuga mentre 2 delle sue pecore veniva uccise dai coloni. Sempre nei pressi di Nablus, tre giorni dopo, il 18 dicembre,  un gruppo di israeliani armati provenienti dalle colonie di “Eitamar” hanno attaccato Sameer Mohammed Bani Fadel, mentre stava pascolando le sue pecore a est del villaggio di Aqraba. Il pastore è scappato sotto le minacce degli estremisti israeliani che dopo aver raggruppato le sue pecore vicino a dei cespugli secchi gli hanno dato fuoco. Risultato: dodici pecore arse vive e altre sette gravemente  ustioniate, un atto abominevole e un grave danno economico per il pastore palestinese. Probabilmente il mio amico commenterebbe che i coloni si sono dovuti difendere, visto mai ci fosse stata una pecora kamikaze. Qui a Gaza i pastori non hanno trascorso un Natale migliore. Il 19 dicembre Ejmaian Fareed Abu Hwaishel di 19 anni, stava pascolando le sue bestie a Beit Lahiya, Nord della Striscia, quando cecchini israeliani piazzati sulle torri di osservazione hanno sparato verso di lui ferendolo al piede destro.

L’episodio più grave in questo periodo è certamente l'omicidio a sangue freddo di un altro pastore, avvenuto il 23 dicembre: Salama Abu Hashish. Salama, giovane beduino di vent’anni (nella foto a sinistra), che sin da bambino per tirare a campare faceva pascolare le sue pecore dalle parti di Beit Lahiya, a Nord della Striscia, è stato colpito alle spalle da un cecchino israeliano mentre a detta del padre, si trovava a più di 300 metri dalla linea di confine. Il  proiettile gli ha perforato uno dei reni. Trasportato via prima a spalla, poi sopra un carretto trainato da un asino ed infine sopra ad un ambulanza, è stato operato d’urgenza all'ospedale di Kamal Adwan di Beit Lahiya , ma è morto subito dopo l’uscita dalla sala operatoria. E cosi’ il mio Natale si è tramutato in un funerale: la veglia funebre all’ultima vittima dell’oppressione israeliana su Gaza, la tredicesima dall’inizio di novembre. “Tutto questo è a causa dell'occupazione e della povertà che ha generato a Gaza! Salama  rischiava molto andando nei pressi della buffer zone ma non aveva altre possibilità per dare da mangiare ai suoi animali”, ha riferito ad un compagno dell’International Solidarity Movement lo zio del ragazzo ucciso mentre il padre Khalil domandava a me a quando la fine di quest'onda di omicidi impuniti contro i civili di Gaza. Nel piano superiore dell’abitazione, sopra il tendone nel quale i parenti si alternavano con gli occhi lucidi scambiandosi dignitosissime condoglianze, impercettibile l’urlo soffocato di disgrazia della moglie di Salama con in braccio Ghassan, il figlio appena nato. Il cecchino israeliano con un solo proiettile ha ucciso un uomo, reso vedova una giovane donna di 18 anni e orfano il loro primogenito, venuto al mondo appena poche ore prima dell’omicidio del marito. Salama non ha avuto neanche il tempo di dare il nome a suo figlio. Restiamo Umani

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