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I pensieri di una ragazza che ha partecipato al convoglio

SEI UNO DI GAZA E in un istante una gioia soddisfatta e piena di emozioni sovrasta , intrisa da quel formicolio dell’immaginazione, che solo la non-vista di un qualcosa che apparentemente conosci ti sa dare. E così entri a Gaza, passi il valico, i controlli, l’ansia sovrasta, piedi cercano terra nuova da percorrere e all’improvviso l’immaginazione si materializza e diventa paesaggio: palazzi, persone, occhi, mani e anime di gente che ha visto tanta e lunga guerra. Urla dentro e fuori; il cielo si apre alla sera e la terra si squarcia in crateri che gli attacchi sionisti hanno lasciato nel tempo. Viene il giorno e con esso un nuovo sole ti accompagna. Sabbia sotto i piedi e occhi puntati su di te. Sono occhi di chi sa cosa il passato gli ha riservato come una ferita che non smette mai di sanguinare. Ed allora ascolti storie di vita miste a sangue, dolore. Affrante quanto dignitose. Case ripiene di gente e di cuori e poi dall’alto fatte esplodere come formiche crudelmente schiacciate. Qualcuno sopravvive ma i segni restano marchiati dentro, sono torride ustioni cicatrizzate dal sole di Gaza. L’odio dall’alto, dal confine e dal mare ti minaccia e ti ricorda che sei uno di Gaza, sei uno che cerca di resistere a Gaza. La terra qui è buona e generosa e anche il mare lo è. Sai che puoi ancora continua re a vivere. Ma c’è qualcuno che brucia i campi e impedisce di raccogliere la pienezza del mare, della vita. E ogni giorno, ora, minuto, secondo capisci che sei uno di Gaza. Da quanti anni stai lottando per la fine di tutto questo? Si, la fine della disumana occupazione. Il numero 63 diventa il marchio a fuoco sul tuo cuore che ogni anno cambia di aspetto e a quel numero di anni se ne aggiungono sempre altri. Scendi in piazza. La folla è piena di solidarietà e di empatia di gente che da lontano e da vicino è lì con te, con te che sei uno di Gaza. Il sole brucia, le urla vorrebbero rompere l’assedio ma lui è più potente di te, loro sono lì. Sono occhi dentro i tank. Non è il tank che ti guarda e che ti spara, sono i loro occhi che ti uccidono. La sabbia si fa rossa. Il puzzle della Palestina e del suo popolo non deve essere ricomposto. Loro dicono così. E dunque te ne vai. Vai al mare a goderti il tramonto. Le urla della morte provi a lasciartele alle spalle. Veli e gonne portati dal vento e inumiditi dalle onde del mare di Gaza si chiedono perché i tuoi fratelli e le tue sorelle, oggi, ora, non ci sono più. La tua naqba è una quotidiana ricorrenza di un martirio fatto di oppressione, delirio e di agghiacciante crudeltà. Ti chiedi il perché. Sei uno di Gaza.

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