Fonte: New Statesman
6 gennaio 2011

Gaza sull’Orlo del Non Ritorno
di Amira Hass
tradotto dall’ebraico da Jessica Cohen.

“Via dalla finestra! Sei impazzita” ha urlato Kauthar. Era terrorizzata dall’aver trovato sua figlia in piedi sul divano presso la finestra a guardare la strada dal settimo piano. La finestra ha sbarre. Non era preoccupata che la bambina potesse cadere, ma che venisse colpita dal fuoco di un UAV (unmanned aerial vehicle – mezzo aereo senza equipaggio – drone – n.d.t.]. Un vicino di casa era stato ucciso a quel modo uno o due giorni prima: era stato colpito da un missile mentre stava parlando al telefono sul balcone.

Era uno dei primi giorni dell’offensiva israeliana contro la Striscia di Gaza, che era cominciata il 27 dicembre 2008. La gente imparò molto presto nel modo peggiore che le attività della vita quotidiana potevano istigare la morte: stare vicino a una finestra cercando di trovare un punto che avesse ancora un briciolo di campo per la ricezione con il cellulare per poter dire che tutto andava bene a un padre preoccupato nel campo rifugiati di Rafah, guidare una moto, salire sul tetto per tirar giù dal filo il bucato o dar da mangiare ai piccioni, fare una visita di condoglianze, cuocere il pane nel forno in cortile, portar acqua alle capre. I taccuini dei giornalisti e i rapporti delle organizzazioni per i diritti umani straripavano di testimonianze di civili comuni, gente che aveva perso i propri cari o che era rimasta ferita in queste circostanze non di combattimento.

Le informazioni correvano in tempo reale, anche se molte case non avevano elettricità e la gente non era in grado di sapere dai giornali come fossero cancellate intere famiglie. Era un marchio dell’assalto invernale israeliano; lo spaventoso numero di famiglie che aveva dovuto seppellire la maggior parte dei suoi membri, bambini compresi, dopo che le loro case erano state colpite da ancora un’altra bomba lodata dagli israeliani per la sua precisione.

“Anche se non era mia normale abitudine, mi ero fatto un punto di baciare i miei bambini ogni notte” mi ha detto un giovane padre di Gaza. “Non si poteva sapere chi tra noi sarebbe stato vivo il giorno dopo, e volevo salutarli nel modo giusto”.

Samouni, Daya, Ba'alusha, Sultan, A'bsi, Abu Halima, Barbakh, Najjar, Shurrab, Abu A'isheh, Ryan, Azzam, Jbara, Astel, Haddad, Qur'an, 'Alul, Deeb. Queste sono tutte famiglie nelle quali nonni, genitori e figli sono stati uccisi; o un genitore e un gran numero di figli, o cugini, o sorelle maggiori, o solo i bambini piccoli. E ciò senza nemmeno citare i feriti, o le ferite emotive sofferte da tutti, che il tempo non guarisce. Nella stragrande maggioranza dei casi le vittime erano state colpite da missili o bombe guidate via computer, azionate da anonimi operatori che osservavano i loro bersagli su uno schermo di computer come se stessero partecipando a un videogioco.

“Il cielo era nero di droni che giravano in cerchio come stormi di uccelli” mi ha detto un vecchio con una nota di consapevole iperbole di Gaza. Ma un ufficiale dell’esercito israeliano in servizio di scorta che aveva preso parte all’assalto ha confermato questa impressione: “E’ stata una totale guerra di droni. L’unità [UAV] ha operato più intensamente di ogni altra.” Ho conosciuto l’ufficiale dell’IDF [Israel Defence Forces – Forze di Difesa di Israele – esercito israeliano – n.d.t.] attravero ‘Rompere il Silenzio’ (Breaking the Silence), un’organizzazione israeliana che raccoglie testimonianze sulle politiche dell’esercito nei territori occupati da soldati che cominciano ad avvertire qualche dissonanza morale.

Nel dialetto di Gaza, il drone viene chiamato ‘zanana’. “Ci sono tre tipi di zanana” mi ha detto un ufficiale di basso livello di Hamas poco dopo la fine dell’offensiva del 2008-2009. “Uno ci osserva dall’alto e fotografa ogni movimento, ogni persona; il secondo ci lancia missili addosso …” Ha fatto una pausa e poi, con tipico umorismo di Gaza, ha aggiunto: “E il terzo tipo? Il suo unico scopo e di infastidirci, per farci diventare matti.” E ha imitato da esperto il suono ronzante prodotto dall’ultima novità in fatto di guerra postmoderna.

Lo zanana non vi vede o si sente sempre ma si sa che c’è per i disturbi alle trasmissioni televisive. E’ diventato una componente centrale del processo di trasformare Gaza in una prigione trasparente, un vasto campo di detenzione sotto costante supervisione e un controllo sempre più invisibile. Ogni movimento viene fotografato, documentato e trasferito sugli schermi dei computer nelle sale controllo popolati da giovani uomini e donne israeliane che, con pochi tocchi sulla tastiera, trasformano lo zanana da strumento voyeuristico e seccante alla sua versione letale. Le riprese sono accompagnate da informazioni verbali di vecchio stampo raccolte da vari meccanismi dell’occupazione, principalmente dall’Amministrazione Civile Israeliana e dallo Shin Bet, che sono responsabili di ogni documento civile (carte di identità, permessi di viaggio, tessere annonarie) e sono assistiti da una rete di collaboratori.

Nei giorni che portarono all’offensiva, la gente notò un ronzio più persistente. Divenne più ansiosa, e giustamente. Ora ogni aumento di quel suono risveglia le paure di un altro attacco a pieno campo. Sono passati due anni e ora anche un temporale o una porta sbattuta possono scatenare un senso di paura all’interno di Gaza.

Nel corso dell’Operazione Piombo Fuso nessuno era al sicuro in nessun luogo – a casa, per strada, in edifici dell’ONU, nei campi, al lavoro, nelle scuole americane, o nei rifugi pubblici aperti dall’ONU per la gente che fuggiva dalle case. In passato c’erano state aree isolate attaccate dall’esercito israeliano dove tutti si sentivano bersagli per un paio di ore o giorni, ma durante Piombo Fuso l’intera Striscia di Gaza fu sotto attacco simultaneamente dall’aria, dal mare e da terra per tre settimane senza interruzioni. Gli abitanti di Gaza non avevano dove fuggire (diversamente dai residenti del Libano, ad esempio, che avevano fatto la conoscenza in precedenza con la capillarità pervasiva degli attacchi di Isreale). Questa è un’altra componente dell’ “eredità” che gli abitanti di Gaza hanno sopportato negli scorsi due anni: una sensazione di esposizione totale al pericolo mortale e di mancanza di protezione.

Se c’era stata una qualche illusione che Israele non avrebbe superato certi limiti era stato perché, in un passato non molto lontano, l’esercito israeliano si era posizionato in mezzo ai palestinesi e perché la maggior parte dei più anziani conoscevano gli israeliani e anche parlavano ebraico. Questa familiarità era considerata un mezzo per evitare uccisioni arbitrarie. Tuttavia dozzine di casi in cui soldati avevano ucciso civili a breve distanza, non soltanto in un “video game”, avevano dimostrato che la prossimità geografica non era una rete di protezione.

Mohammed Shurrab, di 65 anni, un residente di Khan Younis a Gaza Sud, approfittò della breve tregua che l’esercito dichiarava ogni giorno per andarsene in auto con i suoi figli nel suo appezzamento di terreno. Il pomeriggio di venerdì 16 gennaio (due giorni prima della fine dell’offensiva) stavano tornando a casa attraverso una borgata orientale i cui residenti erano tutti fuggiti due settimane prima. I soldati israeliani, che avevano fissato una base in una casa abbandonata a circa 20 o 30 metri di distanza, spararono sull’auto.

Non c’erano battaglie in corso in quel momento. I tre uomini furono feriti, il padre solo al braccio. Chiese aiuto. L’ospedale più vicino era solo a uno o due minuti di distanza, ma i soldati non consentirono all’ambulanza di avvicinarsi. La Croce Rossa, la Mezzaluna Rossa, Medici per i Diritti Umani (con sede a Tel Aviv) un terzo figlio che vive negli Stati Uniti e più tardi io stessa, cercammo tutti di raggiungere qualcuno che potesse persuadere i comandanti a ragionare. Ma fu invano. Passarono le ore e i figli si dissanguavano tra le braccia del padre. Poco prima di mezzanotte morì il ventisettenne Kassab. Più tardi, sabato mattina, morì il diciassettenne Ibrahim.

(Un portavoce dell’esercito israeliano mi rispose: “Di norma, durante il cessate il fuoco l’esercito israeliano reagiva al fuoco solo quando venivano lanciati missili su Israele o c’erano spari contro l’esercito. Non siamo in grado di indagare ogni incidente e di confermare o negare qualsiasi informazione. Le ambulanze erano in grado di passare solo dopo che le condizioni operative lo rendevano possibile. Le parti ferite (sic) sono state evacuate in un ospedale a Rafah dal ministro della difesa palestinese.”)

Quello non fu un caso insolito di crudeltà a breve distanza e di bugie sfacciate ai media: anche così il numero dei palestinesi (civili e combattenti) uccisi a vista durante l’attacco del 2008-2009 è trascurabile rispetto al numero degli uccisi mediante vari metodi da “videogioco”, molto lontano da quelli che hanno impartito l’ordine di sparare e da quelli che hanno premuto il grilletto; meno di 100 con il primo metodo, rispetto ai circa 1.300 con il secondo. Questi numeri sono basati su inchieste che ho condotto con l’organizzazione palestinese per i diritti umani al-Mezan. Questo caso particolare di brutalità a breve distanza riflette l’animo del comandante e lo spirito dell’attacco.

Una vecchia conoscenza, Salah al-Ghoul, pensava che sarebbe stato protetto da un tipo diverso di prossimità. Figlio di una famiglia impoverita di rifugiati era diventato un ricco mercante e aveva costruito una grande casa sul confine nord-occidentale con Israele. Era ben conosciuto dalle autorità israeliane per le sue richieste di permessi di viaggio e di commercio. Sapevano benissimo che era un oppositore politico di Hamas e della Jihad islamica. Parla correntemente l’ebraico. Durante brevi incursioni militari di routine nella Striscia di Gaza, quando i blindati passavano accanto alla sua casa, egli era solito continuare ad arrostire grano in cortile.

Il 3 gennaio 2009, alla vigilia dell’attacco su terreno, un aereo israeliano ha sganciato una bomba sulla casa dei sogni di al-Ghoul, distruggendola completamente. Suo figlio, che stava studiando per gli esami di ammissione all’università, e suo cugino, un legale che in quel momento stava preparando il caffè, sono rimasti entrambi uccisi. Un portavoce dell’esercito israeliano, alla mia richiesta, ha risposto per iscritto: “Il bersaglio in questione era stato identificato come un punto di osservazione di Hamas che dirigeva gli attacchi contro le forze israeliane …”

E’ un’assoluta bugia, simile a così tante altre bugie che l’esercito israeliano dà in pasto al pubblico di Israele. Tuttavia contiene un fondo di verità: da molti anni Hamas e altre organizzazioni armate palestinesi hanno scelto colpire le comunità israeliane al confine con Gaza utilizzando razzi fatti in casa, (“Qassam”) o missili primitivi. Il loro principale “successo” operativo è essere riusciti a terrorizzare molti israeliani.

Nel 2003 ho chiesto a due comandanti di unità Qassam di Hamas che beneficio derivasse dal lancio dei razzi, visto che Israele si rifaceva con tanta forza sulla popolazione civile palestinese. Mi hanno candidamente risposto: “Vogliamo che le madri e i figli di Israele provino la stessa paura che provano le nostre madri e i nostri figli.”

Durante la Seconda Intifada, iniziata nel settembre 2000, l’uso di armi – per quanto inefficace e controproducente possa essere stato nella lotta contro l’occupazione – servì alle organizzazioni palestinesi nella loro competizione interna per l’egemonia e la popolarità. Come parte dei suoi sforzi propagandistici, Israele esagerò, e continua a farlo, la portata della minaccia posta dai razzi. Ma le esagerazioni di Israele contribuirono anche alla stessa propaganda di Hamas, consentendogli si presentarsi come l’unica organizzazione in grado di indebolire Israele lungo il cammino verso la sconfitta finale. La promessa permanente di una futura vittoria è anche ciò che dà ad Hamas la prerogativa di fermare o ridurre di molto il fuoco dei mortai, nel contempo placando le discussioni pubbliche sulla logica della sua strategia. Da questo punto di vista, la crudeltà dell’attacco totale di Israele ha ottenuto i suoi obiettivi.

Ma Israele ha mancato un altro obiettivo, in altre parole rovesciare il regime di Hamas? Le opinioni sul fatto che questo fosse un obiettivo sono divise. La separazione mentale e sociale tra la Striscia di Gaza e la West Bank è stata, sin dai primi anni ’90, una pietra angolare della politica non dichiarata di Israele. Precisamente a causa del fatto che tutti gli abitanti di Gaza – inclusi gli oppositori di Hamas – sentivano di essere diventati bersagli nel campo di tiro di Israele, non potevano utilizzare l’offensiva per negare il regime di Hamas, anche se continuava a raffinare i suoi metodi di oppressione. Quanto più si radica il governo di Hamas nella Striscia di Gaza, e quanto più deboli si fanno le prospettive di curare la spaccatura politica con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, tanto più tale separazione diventa una realtà dalla quale non c’è via d’uscita.

“In Israele vivevano in una realtà virtuale, credendo che ci fosse in corso una vera guerra a Gaza” hanno detto alcuni dei soldati che hanno preso parte all’offensiva e che ho incontrato tramite Breaking the Silence. Hanno scoperto molto velocemente che, contrariamente a quanto era stato loro dai comandanti, Hamas non stava scatenando una guerra intensa o determinata contro di loro. Un uomo della sicurezza palestinese mi ha detto che c’era stata una consapevole decisione di Hamas di non sacrificare i suoi migliori combattenti in una guerra così asimmetrica. L’organizzazione era ben conscia del fatto che non avrebbe potuto mantenere le promesse fatte per due anni al pubblico palestinese. Cioè “sorprese nella guerra”.

Tuttavia, immediatamente dopo il termine dell’offensiva, Hamas ha proclamato la vittoria. “Nel 1967 Israele ha sconfitto tutti gli eserciti arabi in sei giorni, ma non è stata in grado di prenderci la Striscia di Gaza nemmeno dopo tre settimane” ha detto un suo portavoce. Ma la gente di Gaza preferirebbe citare un vecchio che ha coraggiosamente proclamato alla televisione: “Un’altra vittoria come questa e Gaza sarà spazzata via.”

Un ufficiale che ha rotto il silenzio mi ha detto di aver avuto la sensazione di aver preso parte a un’esercitazione militare in cui si usavano proiettili veri, il cui scopo era di migliorare e di aggiornare le comunicazioni operative tra le forze israeliane di terra e quelle aeree. Come maggior preparazione per le guerre a venire, forse?

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