Ali Abunimah è autore di One Country, A Bold Proposal to End the Israeli-Palestinian Impasse ed ha contribuito al libro di recente pubblicazione The Golstone Report: The Legacy of the Landmark Investigation of the Gaza Conflict. E’ co-fondatore della pubblicazione on-line ampiamente letta The Electronic Intifada, che ha ottenuto riconoscimenti per ciò che ha scritto in rete sulla Palestina e sul conflitto palestinese. Ha scritto centinaia di articoli sulla questione della Palestina per organi di stampa di tutto il mondo, compresa Al Jazeera.


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24.01.2011

Un Pericoloso Cambiamento di Posizione a Proposito delle Linee del 1967
di Ali Abunimah
tradotto da Mariano Mingarelli

La posizione degli Stati Uniti in materia di frontiere forse apre la porta alle pericolose ambizioni israeliane sul 'transfer' dei cittadini non-ebrei.

Una delle rivelazioni più sorprendenti contenuta nei The Palestinian Papers – rapporti dettagliati e verbali sul processo di pace nel Medio Oriente fatti trapelare ad Aljazeera – sta nel fatto che l’amministrazione del presidente USA Barack Obama ha sostanzialmente ripudiato la Road Map, che fin dal 2003 ha costituito la base del “processo di pace”. Così facendo si è tirata indietro perfino dagli impegni presi dall’amministrazione di George W. Bush, producendo una irreparabile incrinatura nella già traballante “soluzione a due-stati”.

Ma, peggio ancora, la posizione degli Stati Uniti forse involontariamente apre la porta alle pericolose ambizioni israeliane sul 'transfer' – o pulizia etnica – dei cittadini palestinesi non-ebrei di Israele, al fine di creare uno “stato ebraico” etnicamente puro.

Poco dopo il suo insediamento nel gennaio del 2009, l’amministrazione Obama aveva chiesto pubblicamente a Israele di congelare tutte le costruzioni nelle colonie della West Bank occupata, Gerusalemme Est compresa. Dopo mesi di estenuante spola diplomatica dell’inviato americano George Mitchell, Obama si accontentò infine della promessa israeliana di una moratoria parziale di dieci mesi della colonizzazione, escludendo  Gerusalemme.

Mentre i colloqui erano in corso, i negoziatori palestinesi, frustrati, avevano ripetutamente cercato di strappare a Mitchell l’impegno per cui i termini di riferimento degli accordi di pace concordati, che avrebbero avuto inizio una volta applicata la moratoria delle colonie, avrebbero comportato l'istituire uno stato palestinese sulla linea del 1967, con ridotti scambi di territorio concordati tra la parte israeliana e quella palestinese. Questa, avevano dichiarato i palestinesi, era la posizione sostenuta dall’amministrazione Bush, e contenuta nel piano di pace della Road Map adottato dal Quartetto (USA, UE, Russia e ONU) nel 2003.

Ma negli incontri evidentemente polemici tra Mitchell, il negoziatore capo palestinese Saeb Erekat, e i rispettivi gruppi di lavoro, nel settembre e nell’ottobre 2009 – i cui contenuti dettagliati sono stati rivelati ora per la prima volta – Mitchell aveva affermato che la posizione dell’amministrazione Bush non era vincolante. Aveva premuto perché i palestinesi accettassero termini di riferimento che si adeguassero al rifiuto di Israele di riconoscere la Linea del 1967, che separa Israele, così come istituito nel 1948, dalla West Bank e dalla Striscia di Gaza, dove i palestinesi speravano di avere il loro stato.

Lasciar cadere il confine del 1967

Il 23 settembre 2009, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Obama aveva sostenuto che il suo obiettivo era quello di “Due stati che vivono l’uno accanto all’altro in pace e sicurezza – uno stato ebraico di Israele, con una sicurezza vera per tutti gli israeliani, e un stato palestinese effettivo e indipendente, con territorio contiguo, che pone fino all’occupazione iniziata nel 1967, e che attua il potenziale del popolo palestinese.

Ma questo non era soddisfacente per i palestinesi. Il giorno dopo, durante un incontro presso la Missione degli Stati Uniti alle Nazioni Unite a New York, Erekat aveva respinto la richiesta americana di adottare il discorso di Obama come termine di riferimento per i negoziati. Erekat aveva chiesto al Segretario di Stato Aggiunto per gli Affari del Vicino Oriente, David Hale, perché mai l’amministrazione Obama non volesse dichiarare esplicitamente che l’esito a cui si mirava per le trattative fosse quello di uno stato palestinese sui confini del 1967, con un ruolo securitario di una parte terza e un ritiro israeliano in fasi. Secondo i verbali palestinesi dell’incontro, Hale aveva risposto: ”Domanda perché? In che modo vi aiuterebbe, se dichiarassimo qualcosa di così specifico, e poi non fossimo in grado di mantenere l'impegno?”

Allo stesso incontro, al quale aveva poi preso parte lo stesso Mitchell, Erekat aveva discusso con l’inviato degli Stati Uniti su come Obama potesse avallare pubblicamente Israele come “Stato ebraico” senza impegnarsi sui confini del 1967. Secondo i verbali, Mitchell aveva risposto a Erekat: “Non si possono discutere termini di riferimento dettagliati per i negoziati”; quindi i palestinesi avrebbero potuto essere altrettanto “positivi” e passare alle trattative dirette. Erekat aveva considerato la posizione di Mitchell come un abbandono USA della Road Map.

Il 2 ottobre 2009, Mitchell si era incontrato con Erekat al Dipartimento di Stato, e di nuovo aveva tentato di convincere il team palestinese a riprendere i negoziati. Benché Erekat supplicasse che gli USA mantenessero le precedenti posizioni, Mitchell aveva risposto: “Se pensa che Obama imponga l'opzione che ha descritto, lo fraintende davvero. La prego di cogliere questa opportunità”.

Secondo i verbali, Erekat aveva replicato: “Tutto ciò che chiedo è di dire: Due stati sui confini del 67 con variazioni concordate. Questo mi protegge dall’avidità israeliana e dalla confisca di terre; permette a Israele di conservare alcune realtà sul terreno” (un riferimento alla disponibilità palestinese di permettere ad Israele di annettere alcune colonie della West Bank nel quadro di piccoli scambi di territori). Erekat aveva affermato che questa era stata la posizione sostenuta esplicitamente dal Segretario di Stato sotto l’amministrazione Bush, Condoleezza Rice.

Secondo il resoconto, Mitchell aveva dichiarato: “Le ripeto che il Presidente Obama non accetta decisioni precedenti di Bush. Non usi questo, vi potrebbe danneggiare. I Paesi sono vincolati da accordi – non da discussioni o da affermazioni”.

L’inviato USA fu fermo: se il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu non avesse accettato il linguaggio nei termini di riferimento, gli Stati Uniti non avrebbero cercato di costringerlo. Tuttavia, Mitchell continuò a far pressione sulla parte palestinese perché adottasse formule che questi temevano avrebbe fornito a Israele spazio di manovra per annettere grandi porzioni della West Bank occupata senza fornire alcun risarcimento.

All’incontro critico del 21 ottobre 2009, Mitchell aveva letto ad alta voce la formulazione proposta per i termini di riferimento:

Gli Stati Uniti ritengono che attraverso negoziati condotti in buona fede le parti possono decidere di comune accordo per un esito che soddisfi sia l’obiettivo palestinese di uno stato effettivo e indipendente che comprenda tutti i territori occupati nel 1967 o l’equivalente in valore, sia l’obiettivo israeliano di confini sicuri e riconosciuti, che riflettono sviluppi successivi e rispondono ai requisiti di sicurezza israeliani.”

La risposta di Erekat era stata esplicita: “Allora niente Road Map?” Le conseguenze dell’espressione “o l’equivalente in valore” sono che gli Stati Uniti si sarebbero impegnati solo perché i palestinesi ricevessero una determinata superficie di territorio – 6258 kmq, o l’area equivalente della West Bank e della Striscia di Gaza – ma non dei confini specifici.

“Due stati per due popoli”

È un terremoto. Ciò non solo pone termine alla soluzione a due-stati così come è convenzionalmente intesa, ma apre la porta a una possibile futura accettazione americana delle aspirazioni israeliane a creare uno stato ebraico etnicamente puro “scambiando” territori dove sono concentrati molti dei 1,4 milioni di cittadini palestinesi israeliani. Questo rappresenterebbe una violazione dei diritti più fondamentali di questi palestinesi e un rifiuto dei principi di autodeterminazione universalmente accettati, stabiliti dopo alla Conferenza di Versailles seguita alla Prima Guerra Mondiale. Sostituisce potenzialmente la soluzione a due-stati con quella che i funzionari israeliani chiamano “soluzione di due stati per due popoli.

Il Ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni aveva elaborato a cosa questo sarebbe somigliato durante una sessione negoziale con funzionari palestinesi il 13 novembre 2007, i cui verbali riservati sono pure stati rivelati fra i Palestine Papers:

Idea nostra è quella di far riferimento a due stati per due popoli. O due stati-nazione, Palestina e Israele che vivono l’uno accanto all’altro in pace e sicurezza, con ciascuno stato che rappresenta la patriaper il suo popolo e l'adempimento delle aspirazioni nazionali e dell’autodeterminazione”.

La Livni aveva sottolineato: “Israele [è] lo stato del popolo ebraico – e vorrei mettere in evidenza che il significato di ‘suo popolo’ è quello ebraico – con Gerusalemme capitale unita e indivisa di Israele e del popolo ebraico per 3007 anni.”

La Livni chiarisce perciò che in Israele solo agli ebrei è garantita la cittadinanza e che i cittadini palestinesi non vi appartengono per davvero, anche se sono nati lì e hanno vissuto su quella terra da prima che lo stato di Israele esistesse. Questo nega i diritti dei profughi palestinesi e solleva lo spettro dell’espulsione o “scambio” dei palestinesi già nel Paese. Tuttavia la sua inquietante dichiarazione sembra riflettere più della sua sola opinione personale.

Un memorandum palestinese interno del 29 ottobre 2008, dal titolo “Progress Report on Territory Negotiations” (rapporto sul progredire dei negoziati per i territori) afferma che i negoziatori palestinesi hanno respinto il concetto che negli scambi territoriali possano essere compresi palestinesi. Ma, secondo il documento, durante i negoziati tra i funzionari palestinesi e il governo dell’ex Primo Ministro israeliano Ehud Olmert, “gli israeliani hanno continuato a rilanciare la prospettiva di includere cittadini palestinesi di Israele” in tali scambi di territori.

Nel settembre dello scorso anno, il Ministro degli esteri Avigdor Lieberman aveva presentato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite un piano nel quale Israele avrebbe conservato le colonie della West Bank e ceduto al futuro stato di Palestina alcune terre ad alta concentrazione di cittadini non-ebrei. “Un accordo conclusivo tra Israele e i palestinesi,” aveva sostenuto Lieberman, “deve essere basato su un programma di scambio di territori e popolazioni.”

Mentre Lieberman è a capo del partito ultra-nazionalistico Yisrael Beitenu, e la Livni del partito di opposizione Kadima (spesso percepito erroneamente come più “moderato” rispetto all’attuale governo di Israele), i punti di vista dei due politici sono sintomatici di un razzismo sempre più aperto entro la società israeliana.

L’insuccesso dell’amministrazione Obama nel far pressione su Israele perché accetti l’opinione generale internazionale che lo stato palestinese si istituisse su tutti i territori occupati da Israele nel 1967, fatta eccezione per alcune modifiche di minore entità, destina al fallimento la soluzione a due-stati. Può anche darsi che un'amministrazione USA entrata in carica promettendo un impegno senza precedenti per giungere alla pace, finisca per rimuovere gli ostacoli a che le abominevoli idee di Lieberman e della Livni entrino nel mainstream.

Tutto ciò non è solo catastrofico per i diritti dei palestinesi e le prospettive di giustizia, ma rappresenta un ritorno a concezioni del XIX secolo, messe al bando con due guerre mondiali, secondo le quali gruppi di persone possono essere barattate tra stati senza il loro consenso, come se fossero semplici pezzi di una scacchiera.