La Repubblica
15 settembre 2011

Lo Stato Promesso
di Antonio Cassese

A quanto sembra, l’Autorità Nazionale Palestinese ha deciso di non irritare gli Stati Uniti, chiedendo di diventare membro dell’ONU e costringendo quindi gli USA a porre il veto, cosa che isolerebbe quello stato nel Consiglio di Sicurezza e di fronte all’opinione pubblica. La Palestina si limiterà invece a chiedere all’Assemblea Generale di essere considerato uno Stato e di acquisire, come tale, la condizione di “osservatore” (status che ha già, ma solo come Palestina – entità geografica – non come Stato palestinese). Beninteso, questo status non conferisce grandi poteri. Un “osservatore” può partecipare a quasi tutte le sedute dell’Assemblea e di alcuni altri organi minori, e ricevere tutti i documenti. In alcuni casi può fare dichiarazioni ed esprimere opinioni.

Se così è, cosa cambierà?

La cosa più importante per i palestinesi è ottenere dalla maggioranza dell’Assemblea generale dell’ONU l’agognato riconoscimento. E’ il riconoscimento a essere oramai un’entità statale, dotata di un governo centrale, un territorio, anche se non ancora definito internazionalmente, ma l’Autorità Plestinese chiederà che venga riconosciuta come confine la linea precedente alla guerra del 1967, e una popolazione, anche se ancora sottoposta ad occupazione bellica da parte di Israele. Questo riconoscimento avrebbe un enorme valore politico e psicologico, anche se non vincolerebbe giuridicamente gli stati che vi si oppongono (USA, Israele e qualche stato europeo).

Un altro vantaggio per l’Autrità palestinese consiste nel fatto che di regola l’ammissione di uno Stato come osservatore è una tappa verso l’acquisizione dello status di membro effettivo dell’ONU. Ciò si è verificato in più casi. La Svizzera, l’Austria, la Finlandia, l’Italia e il Giappone, sono stati appunto ammessi come osservatori prima di diventare membri effettivi dell’Organizzazione.

Inoltre, una volta riconosciuto cone Stato (seppure osservatore) dalla stragrande maggioranza dei membri dell’ONU, non sarà più possibile per il Procuratore della Corte Penale Internazionale continuare a tergiversare, come ha fatto finora, in relazione alla richiesta di Ramallah di accedere allo statuto della Corte Penale. Il Procuratore dovrà ammettere che la Palestina costituisce uno Statao, che quindi può diventare parte dello Statuto della Corte, con la conseguenza che la Corte stessa può giudicare crimini commessi in territorio palestinese dal 2002 in poi, da parte di forze armate israeliane, ma anche da parte dei palestinesi. Questa possibilità è molto temuta da Israele, che non vuole assolutamente sottoporsi al giudizio della Corte Penale dell’Aja.

Il riconoscimento della Palestina come Stato, anche se non ancora sovrano, potrà avere un’incidenza sulla questione dei profughi palestinesi (quasi cinque milioni), attualmente sparsi in alcuni paesi arabi (Giordania, Libano, Syria)?

Direi di no. Attualmente a quei profughi non è impedito l’ingresso in Palestina, ma di fatto non c’è spazio per loro, visto che una buona parte della Cisgiordania è occupata daa insediamenti(illegali) israeliani. Inoltre, molti profughi provengono da zone che sono ora sotto la sovranità o almeno il controllo effettivo di Israele. Il fatto che l’Autorità palestinese sia considerata uno stato non aggrava la situazione, ma può costituire al contrario un ingentivo per raggiungere una soluzione negoziata con Israele e gli stati arabi. Questi ultimi ora ospitano in campi emormi, con gravissimi problemi sociali e l’aggravante che quegli stati non intendono considerare i palestinesi come propri cittadini. Una soluzione concordata del problema degli insediamenti israeliani, con scambi di territori tra Palestina e Israele, come auspicato da Obama, potrebbe contribuire alla graduale soluzione di questo gravissimo problema, che tutte le parti in causa hanno lasciato incancrenire fin dal 1948, ma che esige a tutti i costi una soluzione negoziata.

Mahmud Abbas, il presidente dell’ANP ha detto saggiamente che l’adozione della risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU non è fatta in odio a Israele, ma per rimettere in moto il processo diplomatico che dovrà portare ad una pace stabile, processo che attualmente è bloccato. Ma Abbas sarebbe saggio se chiedesse il riconoscimento come stato solo della Cisgiordania (compresa Gerusalemme est), e non anche per la striscia di Gaza, che è gestita da Hamas, un’organizzazione considerata terroristica dagli USA e da Israele e con cui lo stesso Abbas è ai ferri corti. Questa soluzione potrebbe evitare di inasprire Israele e gli americani, e porre le basi per il riavvio del processo di pace.