da il Fatto quotidiano
Archivio cartaceo di Giampiero Calapà
17 agosto 2011

 “Serve uno Stato di Palestina”

Fra poco più di un mese l'Onu dovrebbe prendere una decisione sulla sua nascita. Per l'ex presidente del Consiglio "la sicurezza d'Israele ne trarrebbe vantaggio"

“È giunto il momento di dare ai palestinesi uno Stato sovrano e con continuità geografica, che viva in pace e in sicurezza accanto a Israele”. Romano Prodi pronunciava queste parole nell’aprile 2007 durante una missione, da presidente del Consiglio, nei Paesi arabi. Oggi – quando manca poco più di un mese alla votazione dell’Assemblea generale dell’Onu che dovrebbe sancire la nascita dello Stato di Palestina –, dopo aver già firmato un documento congiunto con altre personalità europee di spicco pro Stato palestinese, Prodi, dal suo ritiro agostano sull’Appennino, ribadisce: “Sarà un momento molto importante, da sempre penso che questo Stato di Palestina rappresenterebbe una realtà positiva per il Medio Oriente”.

“A favore della nascita di uno Stato palestinese, da sempre per la soluzione dei due Stati”, quello israeliano e quello di Palestina, uno accanto all’altro nella pace. Eppure l’ex presidente degli Stati Uniti d’America, George W. Bush, nel suo libro di memorie presidenziali Decision points, ha scritto che mentre si batteva insieme al primo ministro inglese Tony Blair per questa causa, “il presidente francese Jacques Chirac, il presidente della Commissione europea Romano Prodi e il premier canadese Jean Chretien erano chiaramente contrari” allo Stato palestinese. Era lo scorso novembre e Prodi, dopo una telefonata con Chirac, rispose per le rime: “Chirac, che ho sentito da poco al telefono, era abbastanza sorpreso. Da parte nostra non vi fu alcuna opposizione alla nascita di uno Stato palestinese”. Bush jr., quindi smentito da Prodi, si riferiva alle posizioni espresse nel G8 del 2002 a Kananaskis, Canada.

Da quel momento le cose sono molto cambiate e la situazione in Terra Santa evolve in maniera incontrollabile, anche sulla spinta della Primavera araba: a Gaza, infatti, l’integralismo religioso di Hamas sta sempre più stretto a un popolo storicamente laico, mentre in Cisgiordania i giovani del movimento “15 marzo” contestano anche Al Fatah, alla guida dell’Autorità nazionale palestinese. Ma “l’aspetto davvero nuovo” spiega Prodi è l’inedita contestazione, da parte dei giovani israeliani, del governo di Tel Aviv: “Per la prima volta nella questione israelo-palestinese a pesare sarà l’evoluzione della società israeliana”, e non viceversa. Prodi si riferisce ai giovani “indignati” israeliani, che nei giorni scorsi sono scesi in piazza in decine di migliaia, nelle undici più grandi città d’Israele. La pressione sul governo guidato da Bibi Netanyahu, sull’intransigente destra del Likud, da parte degli “indignati” è talmente forte da costringere il premier a richiamare dalle ferie tutti i parlamentari, per affrontare la questione in seduta straordinaria alla Knesset. Mentre il voto all’Onu sullo Stato palestinese, fissato per il 20 settembre, incombe, Netanyahu si ritrova debolissimo sul fronte interno, con la crisi che colpisce il ceto medio e i giovani che non riescono a comprare le case: le uniche con prezzi abbordabili sono quelle delle colonie all’interno dei Territori occupati palestinesi, che Tel Aviv continua a costruire (l’altro ieri anche il Quartetto Usa, Russia, Ue e Onu ha espresso la sua contrarietà a questa politica). Il messaggio dei giovani in piazza, che non hanno nessuna intenzione di prendere d’assalto le colonie, è quindi chiaro: vogliamo comprare casa in Israele, non in Cisgiordania. In più l’Assemblea generale, al momento del voto, sarà presieduta dal Libano, al cui governo in questo momento pesa molto Hezbollah.

Il nervosismo di Tel Aviv martedì scorso si è sfogato in un raid nella Striscia di Gaza, tra le 4 e le 5 del mattino: un morto; in risposta a un razzo sparato dalla Striscia e atterrato in un terreno deserto a Beer Sheva, senza far vittime né danni. Intanto, il comitato statunitense per la protezione dei giornalisti ha sollecitato Israele a “chiarire su quali basi legali trattenga Samer Allawi”, il capo dell’ufficio di Kabul di Al Jazeera rientrato a Ramallah per una visita ai parenti e arrestato lo scorso 10 agosto senza spiegazioni.

E il presidente dell’Anp, Abu Mazen, da martedì si trova a Beirut per una serie di colloqui con i leader libanesi in prospettiva del voto di settembre. Nonostante questo, per Romano Prodi, il governo d’Israele non può sentirsi accerchiato o sotto scacco, per un motivo ben preciso: “Israele ha già avuto tante e tali garanzie dagli Stati Uniti d’America, che non può avere paura della presidenza libanese all’Assemblea generale dell’Onu, sarebbe immotivato”.

Per il resto, Prodi, è convinto che adesso più che mai bisogna “aspettare, perché l’evoluzione della contestazione interna israeliana cambia tutto: l’unica certezza è che la sicurezza di Israele passa per la tranquillità araba”, per la nascita dello Stato di Palestina.