Internazionale, numero 916,
23 settembre 2011

I negoziati prima di tutto
Traduzione di Giusi Muzzupappa.

           

Qual è l’attuale status dei palestinesi all’Onu?
L’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) ha lo status di osservatore: i suoi rappresentanti possono partecipare agli incontri e pronunciare discorsi ma non possono votare. Lo status di osservatore è generalmente riservato a organizzazioni intergovernative, come l’Unione europea e la Lega araba, o non governative, come la Croce rossa.

Perché i palestinesi si sono rivolti all’Onu?
Abu Mazen, presidente dell’Olp e dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), ha dichiarato che vent’anni di negoziati di pace guidati dagli Stati Uniti non hanno portato a nulla. Perciò Abbas vuole un voto dell’Onu che conceda ai palestinesi il diritto di definirsi uno stato. Tuttavia, riconosce che la creazione di uno stato palestinese pienamente operativo non può prescindere dai negoziati con Israele.

Come vengono ammessi i nuovi stati?
I paesi che vogliono entrare all’Onu presentano una domanda al segretario generale. Quest’ultimo la trasmette al Consiglio di sicurezza, che ha il compito di valutarla e votarla. Se il Consiglio di sicurezza approva la richiesta, l’assemblea generale può procedere al voto definitivo. Per l’approvazione è necessaria la maggioranza dei due terzi, cioè il voto favorevole di 129 paesi.

I palestinesi possono davvero entrare a far parte dell’Onu?
In teoria, sì. Tuttavia, anche se i palestinesi fossero sostenuti dalla maggioranza dei due terzi all’assemblea generale, gli Stati Uniti hanno già dichiarato che opporranno il veto in sede di Consiglio di sicurezza.

Possono chiedere di essere accolti come stato “non membro”?
I palestinesi potrebbero cercare di migliorare la loro posizione passando dallo status di osservatore a quello di stato “non membro”. Attualmente solo il Vaticano ha questo status. Secondo alcuni funzionari dell’Onu, questo status potrebbe essere interpretato come un implicito riconoscimento dello stato palestinese da parte delle Nazioni Unite, perché in questo modo l’assemblea generale ammetterebbe che i palestinesi amministrano un vero stato. Il vantaggio di questa opzione è che richiede il voto favorevole della maggioranza semplice dei 193 stati che fanno parte dell’assemblea generale. Il 16 settembre 2011 Abu Mazen ha dichiarato che più di 126 paesi sono disposti a riconoscere lo stato palestinese.

Perché i palestinesi chiedono il riconoscimento dei confini del 1967?
L’Anp sostiene che collocare lo stato palestinese nei territori occupati da Israele con la guerra del 1967 garantirebbe dei punti di riferimento chiari, in base ai quali Israele non potrebbe più parlare di territori “contesi” e i palestinesi potrebbero rivendicare le loro terre “occupate”. Secondo alcuni diplomatici, questo passaggio permetterebbe alla Palestina di aderire alla Corte penale internazionale e di denunciare Israele per il blocco della Striscia Gaza o per le colonie.

Quali sono le conseguenze pratiche del voto?
Sono più di 120 i paesi che hanno già riconosciuto lo stato palestinese. Il riconoscimento dell’Onu sarebbe una vittoria simbolica, ma dall’impatto limitato: non porrebbe fine all’occupazione né garantirebbe ai palestinesi il pieno controllo del loro stato.

Quali sono i possibili svantaggi per i palestinesi?
Israele potrebbe decidere di rivolgersi a sua volta alla Corte penale internazionale per i missili lanciati dalla Striscia di Gaza. Secondo alcuni critici, potrebbero esserci delle conseguenze legali per gli stessi palestinesi perché questa mossa potrebbe mettere a rischio lo status dell’Olp e i diritti dei rifugiati, che potrebbero ritrovarsi senza rappresentanti. Se il voto alle Nazioni Unite non cambierà la situazione nei Territori occupati, nel lungo periodo la leadership palestinese potrebbe uscirne indebolita. Gli israeliani temono che la delusione potrebbe alimentare le violenze contro Israele innescando una nuova intifada.

Le autorità israeliane hanno minacciato che potrebbero limitare gli spostamenti dei leader palestinesi che escono dalla Cisgiordania, interrompere i trasferimenti delle tasse doganali che riscuotono per conto dell’Anp e perfino annettere alcuni insediamenti in Cisgiordania. Alcuni funzionari statunitensi hanno invece minacciato di tagliare gli aiuti all’Anp, che ammontano a circa 450 milioni di dollari all’anno.

Non è chiaro se queste minacce possano realmente prendere forma. Sottrarre fondi all’Anp significherebbe, tra le altre cose, spingerla verso un rapido collasso finanziario che alimenterebbe l’instabilità. In caso di bancarotta, alcuni leader palestinesi sostengono che l’unica scelta dell’Anp sarebbe consegnare le chiavi delle grandi città della Cisgiordania a Israele, che avrebbe così l’obbligo di pagare i costi dell’occupazione.