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7 nov 2012

I coloni distruggono ulivi palestinesi, per l’ONU è crisi di dignità
di Jillian Kestler-D’Amours

The Electronic Intifada

Sopra un blocco di cemento, il cancello grigio e arrugginito che conduce i contadini palestinesi dal villaggio di Salem, a Nord della Cisgiordania, ai loro uliveti è stato aperto solo per quattro giorni quest’anno. “La strada è bloccata da questo cancello e è sempre chiusa, tranne due volte l’anno”, spiega Adley Shteyeh, membro del comitato locale di Salem.

I residenti di Salem possiedono circa 10mila dunam di terra (1 dunam = 1 km2) sul lato orientale del loro villaggio. L’area può essere raggiunta solo se si possiede un permesso rilasciato dalle autorità militari israeliane e dopo aver attraversato il cancello e la bypass road diretta verso le colonie israeliane (le bypass road sono strade in Cisgiordania riservate al transito di israeliani, ndr).

“Generalmente abbiamo bisogno di dieci giorni per completare il nostro lavoro al di là della strada”, continua Shteyeh. Oltre le sue spalle, un gruppo di residenti tagliano i rami dei loro alberi per riuscire a raccogliere tutte le olive prima che il permesso scada.

La scorsa settimana, due contadini palestinesi di Salem hanno tentato di attraversare la bypass road con il trattore per arrivare agli uliveti. Prima di riuscirci, una jeep militare israeliana ha bloccato loro il passaggio. Poco più tardi, un reporter ha visto altre due jeep militari arrivare sul posto.

Allora, circa una decina di soldati israeliani ha fermato un gruppo di attivisti palestinesi e internazionali, che si trovavano nel villaggio, e i residenti palestinesi perché un gruppo di giovani avrebbe lanciato pietre contro alcuni coloni israeliani. Dopo più di mezz’ora, il gruppo è stato rilasciato e i contadini sono potuti entrare nei loro campi.

“Se qualcuno prova ad attraversare questa strada senza autorizzazione, viene picchiato dai coloni o dall’esercito – racconta Shteyeh – I coloni arrivano, vandalizzano la terra e picchiano la gente”.
 

Vandalismo

Secondo l’OCHA, agenzia delle Nazioni Unite nei Territori Occupati, ci sono 73 checkpoint agricoli in Cisgiordania. Le autorità israeliane li aprono solo per periodi limitati di tempo durante la raccolta delle olive. Dall’inizio di ottobre, l’OCHA stima che i coloni israeliani abbiano vandalizzato o distrutto circa mille alberi di ulivo appartenenti a palestinesi in Cisgiordania.

Tale distruzione ha avuto un impatto economico negativo sull’industria dell’olio d’oliva, che è sostentamento per circa 80mila famiglie palestinesi e rappresenta il 14% delle entrate economiche del settore agricolo.

“Ogni perdita dovuta alla violenza dei coloni o alle restrizioni nell’accesso agli uliveti durante tutto l’annp ha un impatto sull’economia locale – spiega il capo dell’OCHA, Ramesh Rajasingham – La cosa triste è che, nella maggior parte dei casi, una famiglia che prima poteva sostenersi ha visto il suo stile di vita peggiorare e all’improvviso si è dovuta rivolgere alle organizzazioni umanitarie; tale bisogno di aiuti contribuisce alla crisi della dignità. E tale situazione sarebbe del tutto evitabile”.
 

Non solo sostentamento

Ma la raccolta delle olive non è semplicemente una fonte di sostentamento per i palestinesi. “Le nostre vite sono legate agli alberi di ulivo”, spiega il contadino Jamal Abu Hijji. Quarantotto anni, padre di quattro figli, Abu Hijji ha passato un assolato pomeriggio d’ottobre, la scorsa settimana, nel suo uliveo nel villaggio di Deir Istiya, a Nablus, insieme ai suoi due fratelli, alle loro moglie e ai bambini. Insieme, usando scale e piccolo rastrelli di plastica, hanno raccolto le olive di ogni ramo sui tappeti di plastica stesi sotto gli alberi.

Abu Hijji spiega che durante la stagione della raccolta lavora ai suoi circa 300 alberi dalle 6 del mattino alle 4 di pomeriggio, ogni giorno per un mese. Ma oltre alla raccolta, deve lavorare anche alla pressa locale per venire incontro ai bisogni della sua famiglia.

“I guadagni sono modesti, ma è importante per noi che viviamo qui e abbiamo ereditato la terra e gli alberi dai nostri padri e nonni – dice – Il valore della terra non è un mero valore materiale; è di più, è un valore morale, è la tradizione. Sono palestinese e voglio proteggere la mia terra”.
 

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