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Monday, 12 September 2011 09:54

Piano del governo per il trasferimento forzato di 30mila beduini in Negev
di Emma Mancini

Il gabinetto del primo ministro israeliano ha approvato un piano di ricollocazione di 30mila beduini residenti in Negev, nel Sud di Israele. Le migliaia di famiglie beduine verranno spostate forzatamente dai villaggi considerati illegali alle colonie con status ufficiale.

L’intenzione del premier Benjamin Netanyahu è quello di trovare una soluzione al problema dei villaggi non riconosciuti in Negev, attraverso l’implementazione di un piano che ufficialmente è volto ad aiutare i beduini ad integrarsi nella società israeliana: “Il piano – ha detto l’ufficio del primo ministro – è destinato a ridurre significativamente il gap sociale ed economico tra la popolazione beduina del Negev e quella israeliana”.

In realtà si tratta di un’azione unilaterale che i rappresentanti beduini hanno definito “una dichiarazione di guerra”: circa 150 membri delle comunità interessate hanno protestato ieri di fronte all’ufficio del primo ministro a Gerusalemme. “Questo stupido governo sarà responsabile dello scoppio dell’Intifada beduina in Negev”, ha detto Taleb al-Sana, rappresentante beduino.

Il piano prevede il trasferimento forzato di 20mila-30mila beduini nelle colonie di Rahat, Khura e Ksayfe, un risarcimento monetario e la consegna di terre come compensazione per quelle confiscate. Il costo totale del piano si aggirerebbe intorno a 1.2 miliardi di shekel (235 milioni di euro): “Le rivendicazioni di proprietà di terre saranno trattate con metodi trasparenti ed equi, in accordo con la legge e attraverso compensazioni in denaro e nuovi appezzamenti”, ha spiegato il governo israeliano in una dichiarazione ufficiale.

Dopo la presentazione del piano, sono scoppiate le polemiche. Il governo di Tel Aviv è accusato di trasferire forzatamente palestinesi dalle proprie case senza alcuna ragione e contro la loro volontà. Una violazione grave dei diritti basilari, continuazione della politica di demolizioni in atto in Israele contro le abitazioni delle comunità beduine. Soprattutto se si tiene conto del fatto che le comunità beduine sono tradizionalmente rurali, non urbane: trasferirli significherebbe cancellarne storia, tradizioni e stile di vita.

L’Associazione israeliana per i Diritti Civili aveva presentato le proprie critiche già a giugno: i villaggi beduini vanno riconosciuti, non smantellati. Quello che le autorità israeliane stanno facendo è dichiarare tali villaggi illegali secondo criteri pregiudiziali: la densità della popolazione, la continuità territoriale e la sostenibilità economica. “Se gli stessi criteri fossero applicati a comunità ebraiche, come kibbutz e colonie, tutti gli insediamenti dovrebbero essere evacuati”, ha spiegato l’Associazione.

Sono oltre 160mila i beduini residenti in Israele, la metà dei quali in villaggi non riconosciuti dalle autorità israeliane in Negev, villaggi privi di acqua e elettricità i cui abitanti vivono in condizioni di estrema povertà.

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