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15/5/2012

Ex detenuti raccontano il 64° anniversario della Nakba attraverso il ricordo della prigionia in Israele

Gaza – Speciale InfoPal. Ogni anno, il 15 maggio il popolo palestinese ricorda le operazioni con le quali le bande del terrore sioniste diedero una sferzata al progetto di pulizia etnica della Palestina, impossessandosi della terra palestinese, espellendo gli abitanti e dando il via una vita in diaspora che non si è mai arrestata.

Oggi ricorre il 64° anniversario della Nakba e, nonostante la parola significhi “catastrofe”, i palestinesi tengono molto a commemorarla; manifestano il loro attaccamento alla terra, alla Palestina da dove furono scacciati, e ribadiscono al mondo: ”ritorneremo”.

“Anche questo anniversario è vissuto con tristezza e nostalgia della Palestina”, dice un ex detenuto rilasciato nell’ultimo accordo di scambio di prigionieri tra Hamas e Israele.

E’ Mohammed Abu ‘Ataya a dire: “In questo anniversario, il ricordo della Nakba ha un altro sapore, è un dolore diverso. Abbiamo perduto gran parte della terra palestinese, famiglie continuano ad essere espulse e sono costrette ad abbandonare la terra dove una volta vivevano in totale sicurezza.

“Per tutti noi, in patria e in diaspora, la Nakba è ragione di dolore e di sentimenti profondi. Coloro che erano in Palestina nel 1967 hanno vissuto sulla propria pelle le atrocità commesse da Israele, identici metodi usati oggi contro il popolo palestinese. L’obiettivo di Israele è sempre quello: espellerci in modo assoluto”.

Il sogno del Ritorno. Continua Abu ‘Ataya nel suo racconto: “Nonostante una parte del popolo palestinese si sia liberata dell’occupazione israeliana, come è accaduto nella Striscia di Gaza (dopo il ritiro israeliano nel 2005), il male inflitto ai palestinesi nel territorio assediato da oltre sei anni è motivo di sofferenza senza pari. L’occupazione non dà tregua in Cisgiordania, né ad al-Quds (Gerusalemme), e tutti i giorni aggredisce, viola l’intimità delle famiglie palestinesi nel tentativo di strapparle alle loro radici, confisca loro i documenti d’identità per costringerli ad andare via dalla Palestina.
Nonostante tutto ciò, il sogno del popolo palestinese, così radicato alla terra palestinese, è sempre quello di farvi ritorno”.

Lui nelle prigioni di Israele ha trascorso 20 anni e, tornando indietro nel tempo, racconta che all’interno delle prigioni dell’occupazione israeliana, l’anniversario della Nakba era molto seguito dai detenuti. Si intrattenevano raccontando episodi di quei tempi e ne discutevano animatamente tra loro.

“La commemorazione di una catastrofe per il popolo palestinese è motivata dall’esigenza di ribadire il Diritto al Ritorno, la riappropriazione di tutta la Palestina e la proclamazione di Gerusalemme capitale del nostro Stato”.

Oggi non poteva Abu ‘Ataya non ricordare la concomitanza di questo anniversario con lo sciopero della fame che detenuti e prigionieri hanno vissuto per quasi un mese, e dice: “Piena solidarietà ai nostri prigionieri”.

L’ex detenuto Taisyr al-Barudaini, 43 anni, commenta il 64° anniversario della Nakba con la perdita della terra, dell’identità e, nel complesso, del progetto nazionale palestinese.

Allontanamento e perdita dell’identità. Questo è il sentimento di al-Barudaini oggi: “Da allora, dal 1948, sofferenze e dolori non hanno avuto fine, rifugio e oppressione dell’occupazione, prigionia, la tragedia di vedersi scivolare dalle mani il progetto della nazione Palestina, una catastrofe sotto ogni aspetto”.

“Contadini che abitavano sulla terra di loro proprietà, che dei suoi frutti vivevano, si sono ritrovati d’un tratto profughi nullatenenti, obbligati a ricevere aiuti da qui o da lì”.

Anche lui ha trascorso 20 anni nelle prigioni dell’occupazione israeliana e ricorda la repressione in carcere in occasione di ogni anniversario della Nakba: “Ci hanno privato anche della libertà di esprimere questo sentimento di dolore collettivo, ma non è possibile accantonare il ricordo della Palestina storica, dei territori oggi chiamati del ’48. Il ricordo della Nakba vive nel profondo dei nostri cuori”.

Pene per impedire la celebrazione della Nakba. Ricorda al-Barudaini che, proprio in concomitanza con l’anniversario della Nakba, ogni anno, Israele dettava ordini per impedire che i prigionieri esprimessero i propri sentimenti in quel giorno, o anche solo che potessero seguissero le celebrazioni che si svolgevano all’esterno delle prigioni.

“Ci mettevano in isolamento, di picchiavano e ci lanciavano gas lacromogeni all’interno delle celle, ci torturavano pur di non farci partecipare – nemmeno col pensiero – al ricordo collettivo del 15 maggio.

“Hanno fatto di tutto per annientare la resistenza palestinese nelle prigioni, ma noi, invece, ci siamo consultati, abbiamo lavorato sodo e da dietro le sbarre abbiamo tenuto la testa alta, abbiamo studiato e abbiamo fatto di queste tombe – i penitenziari dell’occupazione israeliana -, dei laboratori d’istruzione”.

Anche al-Barudaini ricorda nel proprio racconto i detenuti in sciopero della fame.

“La Nakba di per sé non è un ricordo. Un ricordo si muove in due direzioni: va per poi ritornare. La Nakba del popolo palestinese si consuma ogni giorno”, racconta l’ex detenuto Tawfiq Abu Na’im Haditha.

Un giorno storico. Abu Na’im ha trascorso in prigione 25 anni di detenzione: “E’ molto triste pensare che la Nakba del popolo palestinese, così tanto annuciata dalle radio nella regione, sia vissuta come un giorno storico per la nazione arabo-islamica. Bisognerebbe strappare questo ricordo dal cuore e dalla mente”.

Anche lui ha qualcosa da ricordare e da raccontare pensando al tempo trascorso in prigione: “Attraverso gruppi di comitati tra detenuti, lavoravamo al rilascio di comunicati rivolti all’esterno delle prigioni, per seguire e, in qualche modo intervenire, negli eventi legati all’anniversario della Nakba, sia quelli in Palestina sia altrove nei Paesi arabi.

“I nostri comunicati portavano il timbro del Comitato nazionale ed erano rivolti all’esterno, altri comunicati venivano fatti circolare tra le prigioni a fini organizzativi. Lavoravamo quasi fossimo un ‘consolato’. Il Comitato era ritenuto responsabile dell’organizzazione degli eventi della Nakba nel mondo arabo e in Palestina.

“Fino al 2002 ci ritrovavamo nello spiazzo della prigione per ascoltare gli interventi del Comitato e quelli di tutte le fazioni. Da quell’anno, l’amministrazione carceraria impose il divieto di riunirci nel giorno dell’anniversario della Nakba.

“La Nakba – nonostante la distruzione che riecheggia nelle nostre menti – può anche essere letta come la rinascita del popolo palestinese. Quest’anno sarà segnata dal duro sciopero della fame dei prigionieri, la cui azione svela la profondità della ferita del popolo palestinese, mentre l’azione dei prigionieri è un segno marcato della determinazione a raggiungere il ripristino dei Diritti Umani di cui tutti siamo privati, del diritto a vivere sulla nostra terra.

Ahmed al-Fulait, altro ex detenuto, elogia lo “sciopero totale”. Dopo 20 anni di prigione in Israele, dice al-Fulait, “erano molti anni che pianificavamo il lancio di uno sciopero nelle prigioni in concomitanza con l’anniversario della Nakba, per esporre al mondo la condizione del popolo palestinese, per raccontare l’espulsione del 1948 e la perdita della Palestina. Il Diritto al Ritorno e la liceità della nostra lotta per fare Ritorno da dove siamo stati scacciati, per riprendeci la nostra terra”.

Per l’ex detenuto, quello che ricorre oggi è il primo anniversario della Nakba dopo 25 anni di carcere. Al tempo della prigionia anch’egli partecipava ogni 15 maggio agli eventi promossi dal Comitato, del cui organo ricorda la precisa volontà di riportare in arabo nei comunicati città e villaggi con il loro nome originario, sebbene in seguito Israele avrebbe fatto pulizia etnica anche della toponomastica palestinese, cambiandoli in ebraico”.

E’ forte in lui la speranza e la certezza della vittoria e del Ritorno in Palestina quando afferma: “Israele? E’ una realtà troppo debole e troppo vulnerabile a causa di una sua scelta, quella di opporsi a oltranza al nostro diritto ad esistere come nazione”.

La catastrofe dell’occupazione e delle divisioni. Moustafa Mislamani, proveniente dalla Cisgiordania, è l’ultimo ex detenuto a raccontare la propria esperienza.

“Dal 1948, il popolo palestinese ha vissuto una serie di catastrofi; prima l’occupazione israeliana, poi le divisioni tra palestinesi”.

Nonostante la sua speranza di poter vivere il prossimo anniversario della Nakba nella terra liberata, con la scarcerazione di tutti i prigionieri palestinesi e la fine delle divisioni, Mislamani ammette che la Questione palestinese è tornata indietro di 20 anni.

Dopo essere stato liberato, anch’egli nell’ambito dell’accordo di scambio del 2011, Mislamani vive a Gaza.

“L’involuzione è stata causata sia in campo internazionale, sia regionale. Il popolo palestinese è sempre più disperso e, inerme, continua ad essere allontanato dalla Palestina”.

In questo 64° anniversario della Nakba, il messaggio rivolto alla leadership palestinese è: “Nel mezzo delle difficoltà del presente, fate della Questione palestinese il centro di ogni cosa. Da Gaza e dalla Cisgiordania, unitevi in un unico potere costituito per mezzo della riconciliazione nazionale. Non perdete tempo!”

Concludendo, anche Mislamani ricorda: “In questo anniversario della Nakba, la dura esperienza dello sciopero dei prigionieri deve tramutare il nostro dolore per il ricordo della Catastrofe palestinese, in collera per il persistere dell’occupazione israeliana”.