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23 gennaio 2012

Hamas-Fatah, Matrimonio che Non S’Ha da Fare
di Emma Mancini

Israele minaccia di tagliare acqua e elettricità a Gaza e ritira lo status di VIP ad Abbas per bloccare il governo di unità. E se Abu Mazen pensa di lasciare Ramallah, il capo di Hamas Meshaal abbandona la leadership: spaccatura interna con l’ala militare della Striscia.

 Beit Sahour (Cisgiordania), 23 gennaio 2012, Nena News (nella foto, il leader di Hamas Meshaal e il capo di Fatah Abbas) – Un leader vicino alla pensione, un altro che cercherebbe l’esilio volontario, elezioni alle porte e la volontà di proseguire sull’ammuffita via dei negoziati con Israele. La politica palestinese di inizio anno sembra muoversi su direttrici vecchie e nuove.

I due principali partiti palestinesi, Hamas e Fatah, proseguono nel complesso processo di riunificazione che dopo lo stop della scorsa estate pare aver trovato nuovo vigore. In vista delle elezioni nazionali di maggio, rimandate più volte nel corso degli ultimi due anni, i segnali di disgelo paiono concreti. Secondo fonti palestinesi, il capo di Hamas in esilio Khaled Meshaal starebbe pianificando una visita nella Striscia di Gaza insieme al presidente dell’Autorità Palestinese e leader di Fatah, Mahmoud Abbas.

E in contemporanea il primo ministro di Gaza, Ismail Haniyeh, ha annunciato che l’esecutivo di Hamas, che governa la Striscia dal 2006, permetterà il ritorno di 80 membri di Fatah esiliati dopo la vittoria elettorale del partito islamista. Con la separazione amministrativa e militare della Striscia a metà del 2007 e la rottura tra Fatah e Hamas, scoppiarono disordini tra le fazioni rivali, disordini che portarono all’esilio degli 80 affiliati del partito di Abbas.

Una riconciliazione che preoccupa Israele. Se da una parte proseguono i negoziati a casa di re Abdullah di Giordania tra Autorità Palestinese e governo di Tel Aviv, dall’altra Israele si premura di non far mancare minacce contro un’eventuale esecutivo palestinese di unità nazionale. Sabato, il vice ministro degli Esteri israeliano, Danny Ayalon, ha fatto sapere che Israele è pronto a tagliare il rifornimento di acqua corrente e elettricità alla Striscia nel caso i cui Hamas e Fatah formino un governo di unità.

“Il Ministero degli Esteri – ha detto Ayalon al quotidiano online israeliano Yediot Aharonot – sta esaminando la possibilità di colpire Gaza sul piano infrastrutturale. Un eventuale governo di unità trasformerebbe l’Autorità Palestinese in un’autorità del terrorismo e porrebbe fine alle speranze di un accordo di pace”.

Una decisione che si accompagna al congelamento di decine di milioni di dollari di tasse palestinesi che Israele ha più volte utilizzato come arma per compiere pressioni politiche sul governo di Ramallah. Il nuovo blocco del trasferimento di fondi, giunto dopo la ripresa del dialogo tra Hamas e Fatah, è in grado di mettere in seria crisi la già debole economia interna dei Territori Occupati, rappresentando una consistente percentuale delle entrate finanziarie.

A smuovere le acque politiche palestinesi ci si mettono pure i cambi al vertice. Un comunicato stampa diffuso da Hamas la scorsa settimana ha annunciato la decisione del capo politico del partito islamista di abbandonarne la leadership, dopo 16 anni. Khaled Meshaal, 56 anni, è esiliato a Damasco ed ha assunto la guida indiscussa di Hamas dopo l’uccisione nel 2004 da parte delle forze militari israeliane del leader storico del partito, Ahmed Yassin.  

La decisione di lasciare è probabilmente dovuta alla spaccatura interna tra le diverse anime del partito, apertasi dopo lo scoppio della Primavera Araba. Da una parte gli esiliati, dall’altra i membri di Hamas rimasti di stanza a Gaza. E due i punti di vista sulle modalità di continuazione della resistenza contro l’occupante israeliano. Meshaal preme per mettere in un angolo la lotta armata e preferisce una resistenza popolare sul modello egiziano e tunisino, forte dei risultati che le piazze di Tunisi e del Cairo hanno prodotto nella caduta dei rispettivi regimi e nella vittoria dei partiti islamici, tra cui quei Fratelli Musulmani di cui Hamas è braccio in Palestina.

Gli stessi Fratelli Musulmani avrebbero compiuto pressioni su Hamas perché si trasformi in un partito politico istituzionale, abbandonando la sua ala militare, e perché prosegua sulla via della riconciliazione con la fazione rivale di Fatah.

Contrario alla soluzione nonviolenta, il politburo di Hamas nella Striscia: la resistenza passa per la lotta armata contro lsraele. E questa è la fazione che pare aver avuto meglio, stando alla decisione di Meshaal di ritirarsi, una scelta che il leader imputa alla volontà del suo stesso partito. Due i nomi che in queste ore si fanno strada, come possibili successori: l’attuale primo ministro di Gaza, Ismail Haniyeh, e il vice di Meshaal, Musa Abu-Marzuq. In ogni caso a decidere sarà il Consiglio della Shura.

Prima di lasciare, Meshaal ha in programma di incontrare di nuovo il presidente Abbas, non solo a Gaza, ma anche al Cairo per proseguire sulla via della riconciliazione e organizzare le tanto attese elezioni, che dovrebbero tenersi nei Territori il prossimo maggio. Una riconciliazione che potrebbe essere messa in pericolo dal cambio di vertice. “Meshaal ha svolto un ruolo significativo nella pacificazione – ha commentato Amin Maqboul, negoziatore di Fatah – Speriamo che il suo successore prosegua nello stesso sentiero”.

Ma non solo. Ad agitare i sonni di Fatah ci si mette anche Israele. La scorsa settimana le autorità di Tel Aviv hanno deciso di requisire al presidente dell’AP Mahmoud Abbas lo status di VIP, che gli permetteva di muoversi più o meno liberamente tra Cisgiordania e Palestina ’48 (ovvero l’attuale Stato di Israele) e di recarsi all’estero con facilità. La revoca, secondo voci che girano all’interno del partito, potrebbe avere un effetto immediato: Abbas starebbe pensando di non far ritorno alla sede dell’AP a Ramallah, ma di continuare a lavorare dall’estero, forse da Amman.

Intanto, i sondaggi più recenti sulle propensioni elettorali dei palestinesi danno avanti il partito di Abbas. Analisti e esperti si attendono alle elezioni di maggio la vittoria di Fatah (si parla di 43% contro il 29% di Hamas), nonostante il partito del presidente non sia stato in grado negli anni successivi al voto del 2006 a mobilitare i propri sostenitori e a presentare un leader nuovo in grado di raccogliere consensi freschi. Al contrario, pare voler proseguire sulla via dei negoziati con Israele, avversato dalla stragrande maggioranza del popolo palestinese che continua a vedere nel tavolo del dialogo una resa allo strapotere dell’occupante. Nena News