"QUELLO CHE REPORT NON HA DETTO E QUELLO CHE MANCA ALLE MISERICORDIE"
LA REPLICA DI ROBERTO TRUCCHI


Il servizio che Report ha dedicato alcuni giorni or sono alle Misericordie di Viareggio e di Pisa – nell’ambito di un intervento più generale sul tema della sorveglianza verso le organizzazioni non-profit - ha generato diverse perplessità, non solo all’interno del Movimento delle Misericordie ma in tanti osservatori del terzo settore.
Come ho avuto modo di dire (prima ancora della puntata di Report) alla conduttrice Milena Gabanelli, non discuto minimamente sull’azione svolta dalla testata: si tratta di giornalismo d’inchiesta, che quindi va a “scavare” appositamente su situazioni che ritiene poco chiare. Non ne voglio discutere neppure di fronte ad un modo di fare televisione – come scrive in questi giorni il mio predecessore, Gabriele Brunini – “a cui molto spesso più della verità interessa lo scoop, ignorando le opinioni che possano non avvalorare la tesi propugnata dal programma. Anche nell'edizione di lunedì non è stata trasmessa l' intervista ad un esponente di rilievo del nostro Movimento che sarebbe stata molto utile ascoltare.”
Credo sia invece importante lasciarsi provocare da quel servizio per porsi due domande: come è possibile che il Movimento delle Misericordie, che rappresenta la radice più antica del volontariato italiano e che si richiama a valori non solo civili ma anche religiosi così alti, generi queste situazioni? E quali reali possibilità esistono per prevenirne il sorgere oppure per intervenire adeguatamente con correttivi e/o sanzioni?
Sono domande che non interessano solo le Misericordie – coinvolte nello specifico – ma che potrebbero essere formulate verso qualsiasi organizzazione di volontariato o non profit: è sufficiente che il lettore di Vita sostituisca il nome “Misericordia” con quello della propria associazione od organizzazione e vedrà che non fa’ grande differenza…
In merito alla prima questione, credo sia utile evidenziare come il Movimento delle Misericordie riunisce oltre 670 singole associazioni, diffuse in tutta Italia, con un radicamento territoriale fortissimo dato anche dalle antiche origini (oltre 7 secoli di storia) e dall’affetto che hanno saputo generare tra la gente, con oltre 600.000 aderenti e 150.000 volontari impegnati in molteplici attività sanitarie, sociali, di protezione civile, e tanto altro ancora.
Perché questi numeri? Non vogliono essere una “manifestazione di forza”, ma solo far comprendere come sia certamente possibile e persino fisiologico che alcune Misericordie attraversino, in certi momenti della loro plurisecolare esistenza, periodi di crisi, di cattiva gestione, persino di appannamento dei valori fondanti, talora anche di illiceità istituzionali o gestionali. Le nostre associazioni sono fatte da uomini, esposte quindi ad errori ed anche a possibili deviazioni.
Non c’è da stupirsene, anche considerando che nei secoli – e particolarmente negli ultimi decenni - le nostre organizzazioni hanno visto spesso crescere la dimensioni economica e patrimoniale, oltre che il ruolo “politico” nella propria comunità. Anzi, è strano che tali (presunte) degenerazioni si limitino a casi isolati: anche una classe dirigente selezionata può lasciarsi prendere – a tutti i livelli – dalla “tentazione” di un uso spregiudicato del proprio ruolo; di contro, le nostre associazioni possono essere viste come “appetibili” da potentati esterni, siano essi politici, economici od anche – purtroppo – religiosi.
Proprio per salvaguardare la validità di questa grande esperienza di partecipazione e di impegno solidale occorre saper distinguere il (tanto) buono dal (poco) cattivo che è insito in ogni umana aggregazione e dal quale anche le nostre Misericordie purtroppo non sfuggono. Senza ovviamente “fare lo struzzo” né tacere alcunché di quanto emergesse come distorto, ma facendo in modo - se possibile – che questo non scoraggi ma anzi stimoli un impegno genuino ed autentico di volontariato nelle nostre Associazioni, a maggior ragione in quelle che oggi vivono momenti di criticità e che proprio per questo hanno bisogno non certo di essere abbandonate a se stesse ma anzi di supporto e di rinnovate energie.
Altro discorso è quali controlli e “rimedi” si possono intraprendere.
La trasmissione di Report richiamava l’attenzione proprio sull’esigenza di dar vita ad una Autority di vigilanza sul terzo settore. Lasciatemi dire che non sono molto convinto che questo strumento – fondamentale per altri fini – serva allo scopo.
Val la pena evidenziare come gli Statuti, le variazioni istituzionali ed anche i bilanci delle organizzazioni di volontariato sono depositati ed annualmente aggiornati presso le Province, per una verifica funzionale al mantenimento dell’iscrizione ai registri. Le altre organizzazioni di terzo settore hanno sistemi di controllo istituzionale analoghi, se non ancora più stringenti (come le coop. sociali). Davvero pensiamo che un’ulteriore autorità nazionale potrebbe ottenere risultati maggiori? Ne dubito.
Credo invece che il primo e più efficace strumento di controllo e di ripristino sia rappresentato dalla base sociale, dal radicamento territoriale, dalla partecipazione attiva della comunità. Laddove qualcuno – anche in buonafede – tenda a trattare la Misericordia come “cosa propria” occorre che la base sociale (spesso assai ampia) si riappropri del proprio ruolo, esprima il proprio orientamento, diventi parte attiva nelle scelte gestionali e nel controllo dell’Associazione: la riporti, in sostanza, ad essere “cosa di tutti”.
In questo la presenza di un organismo federativo – nel caso delle Misericordie la Confederazione – può giocare un ruolo fondamentale. Ma con quali reali poteri di intervento?
La Confederazione (nata solo nel 1899) ha origini ben più giovani di molte proprie Associate; e le nostre funzioni di vigilanza sulla coerenza con i principi ispiratori del Movimento e con la natura di volontariato autentico devono misurarsi spesso con la piena autonomia gestionale riconosciuta a ciascuna Misericordia. E voglio sottolineare come tale autonomia sia per noi un valore, perché distingue nettamente il ruolo attivo, operativo, di chi è chiamato a “fare Misericordia” da quello di coordinamento e di accompagnamento proprio dell’organismo federativo.
Ovviamente non manchiamo di agire in vari modi ed anche con forza per richiamare le nostre associate al rispetto dei principi statutari ed alla correttezza dei comportamenti. Ma l’unico reale provvedimento “sanzionatorio” che possiamo assumere è l’espulsione dal Movimento. Un provvedimento estremo, che peraltro in molti casi – ed anche nei due in specie, se ne ricorressero le condizioni – non cambierebbe molto né nell’operatività né persino nel nome delle Misericordie, essendone legittimate da secoli di presenza attiva sul territorio.
Ed aggiungo: è proprio giusto che la Confederazione “molli” una sua associata proprio quando essa – magari temporaneamente governata da dirigenti non all’altezza o che se ne approfittano – ha maggior bisogno di sostegno, aiuto, spinta al cambiamento? Quale madre abbandonerebbe il figlio in difficoltà od anche “deviato”?
No, credo che l’espulsione rappresenti solo l’extrema ratio.
In questi giorni Brunini proponeva l’introduzione di “…un CODICE ETICO E COMPORTAMENTALE, che la stessa Confederazione potrebbe studiare e proporre alle singole Misericordie che, liberamente, potrebbero sottoscrivere, impegnandosi, a titolo esemplificativo ma non esaustivo: 1) alla assoluta trasparenza della gestione, 2) al pieno rispetto dello Statuto, 3) al corretto trattamento normativo ed economico del personale dipendente, 4) ad evitare ogni e qualsiasi pagamento "mascherato" delle prestazioni volontarie, 5) a comunicare con regolarità alla Confederazione Nazionale i dati di bilancio, il numero dei soci, il numero dei volontari attivi, il numero dei dipendenti. Il CODICE ETICO E COMPORTAMENTALE dovrebbe essere approvato dal Magistrato della Misericordia e trasmesso alla Confederazione con la firma del Governatore, del Correttore, del Presidente del Collegio Sindacale e del Collegio Probivirale”.
La proposta è sicuramente affascinante ma temo scarsamente efficace: non vedo infatti come possa vincolare l’associazione laddove non riescono a farlo gli Statuti, i regolamenti interni e gli stessi principi ispiratori del Movimento… Non abbiamo bisogno di regole in più, quanto di strumenti che le rendano certe ed effettive.
Ma lo spunto di un “codice etico” è comunque valido, con alcune varianti, ed è quello a cui da qualche tempo stiamo pensando.
L’idea è di provare a costruire – anche sul piano istituzionale e statutario - un sistema di “monitoraggio etico” (il termine però non mi piace…) strutturato in modo da:
•    individuare con chiarezza i fattori che più frequentemente generano situazioni di criticità nelle nostre associazioni; ad esempio, la crescita dei bilanci, l’aumento del numero dei dipendenti, la mancanza di ricambio nella classe dirigente, etc
•    collegarli a specifici “campanelli d’allarme”;
•    prevedere che in questi casi scatti la necessità di un più elevato “controllo sociale”: ad es., ampia base associativa, rigoroso rispetto delle scadenze elettive, commissioni elettorali presiedute da un “garante”, certificazione dei bilanci, etc.
Uno strumento concreto, che le stesse Associazioni possono introdurre nel proprio sistema statutario/regolamentare. Uno strumento che, in sostanza, con l’aumentare del livello di rischio veda crescere i limiti ed controllo da parte del più importante ed autentico soggetto di garanzia: la partecipazione attiva della comunità sociale.
Potrebbe essere uno strumento utile, oltre che per il Movimento delle Misericordie, anche per l’intero Terzo settore?

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