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05/7/13

Minori torturati dalla polizia, ma Israele vieta le indagini

Tortura? Non ci risulta. Per Israele, ufficialmente, non esiste. Neppure nel caso del giovane Mohammed Halabiyeh, arrestato all’età di 16 anni e letteralmente massacrato dagli agenti della Border Police, la polizia di frontiera. Gli hanno rotto una gamba, lo hanno seviziato e pestato proprio sull’arto fratturato, minacciandolo anche di abusi sessuali. Cinque giorni di calvario, poi l’ospedale. Una volta in corsia, i soldati responsabili dell’interrogatorio hanno continuato ad infierire su di lui: gli hanno tempestato il volto di pugni dopo avergli tappato la bocca per evitare che gridasse, e lo hanno percosso con una spranga di ferro. Ogni richiesta di aiuto è stata inutile, così come la denuncia presentata da “Addameer”, l’associazione che tutela il rispetto dei diritti umani dei prigionieri. Mohammed è stato scarcerato tre anni dopo, scontata la condanna inflittagli con l’accusa di aver lanciato una molotov.

«Alla luce dei recenti sviluppi nel caso di Mohammed», scrive su “Nena News” la “Prisoner Support and Human Rights Association”, si conferma la politica dell’occupazione israeliana della Palestina, che consiste nel «negare inchieste trasparenti nei casi di violazione dei diritti umani fondamentali dei prigionieri palestinesi da parte dei soldati israeliani». L’allora giovanissimo palestinese viene arrestato il 6 febbraio 2010 nel suo villaggio natale, Abu Dis, alle porte di Gerusalemme. In risposta alle brutali torture inflitte al minorenne, “Addameer” sporge denuncia al procuratore militare e al consigliere legale dell’esercito israeliano il 13 aprile 2010 perché «investigassero le palesi torture contro un minore prigioniero e individuassero le responsabilità». La risposta arriva subito, il 18 aprile: le autorità però si limitano a dichiarare di aver ricevuto la denuncia. Per entrare nel merito, bisognerà attendere oltre tre anni, fino al 18 giugno 2013.

«Nella risposta del procuratore – afferma “Addameer” – si dice che il fascicolo è stato chiuso senza alcuna inchiesta né indagine, ed è stato inviato alla Border Police perché investigasse dall’interno». Dall’ufficio del consigliere legale, invece, una risposta era arrivata il 10 febbraio 2011: la denuncia era stata girata alla speciale unità responsabile di investigare sulla polizia e l’esercito. Peccato che, «dopo oltre tre anni, nessuna inchiesta è stata aperta nonostante il caso palese di tortura: è chiaro che le autorità di occupazione rifiutano di assumersi la responsabilità di violazione dei diritti di Mohammed». Il ragazzo è rimasto sotto processo per oltre un anno, prima di essere condannato a 34 mesi. Ora, scontata la pena, è stato scarcerato prima che l’inchiesta sulle torture subite sia mai stata aperta. «Il caso di Mohammed Halabiyeh è un chiaro esempio di come i corpi di investigazione abusino del loro potere per ritardare o bloccare le inchieste sulle violazioni dei diritti umani», accusa “Addameer”.

Secondo una ricerca del “Public Committee Against Torture in Israel”, tutte e 700 le denunce di torture compiute durante gli interrogatori negli ultimi 10 anni sono state chiuse senza un’indagine. A ciò – prosegue “Nena News” – va aggiunto che molti palestinesi torturati non sporgono denuncia, per totale mancanza di fiducia nel sistema. «Questo è solo uno degli esempio di apatia verso il benessere dei palestinesi, ma mostra l’assoluta impunità di cui godono le autorità di occupazione che violano il diritto internazionale e quello umanitario». Dal 1967 ad oggi, 73 prigionieri palestinesi sono morti per le torture dentro le carceri. L’ultima vittima è Arafat Jaradat, giovane padre detenuto per sette giorni prima di essere ucciso nelle celle dell’interrogatorio, lo scorso 23 gennaio. “Addameer” chiede agli organi internazionali come l’Onu e alle organizzazioni per i diritti umani, nonché ai consolati e alle ambasciate, di «fare pressione su Israele perché agisca contro le pratiche di violazione dei diritti umani e del diritto internazionale», dato che «la mancanza di inchieste interne per tali gravi crimini» conferma l’importanza dell’azione di attori terzi, come previsto dalla Convenzione di Ginevra, che «impone la persecuzione dei responsabili di torture».

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