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mercoledì 6 novembre 2013

Neppure Ramallah crede nel negoziato
di Emma Mancini



Erekat presenta le dimissioni, respinte per le pressioni Usa. Oggi arriva Kerry, mentre il Comune di Gerusalemme annuncia la demolizione di 11 palazzi palestinesi.

Gerusalemme, 6 novembre 2013, Nena News - Al dialogo non crede più nessuno, leadership palestinese in testa. Oggi il segretario di Stato statunitense, John Kerry, arriva a Betlemme: alle 11 una manifestazione di protesta contro il negoziato in corso e l'approccio americano attraverserà una città blindata. 



A "contestare" Kerry ci ha provato anche il capo negoziatore palestinese, Saeb Erekat, senza successo. Qualche giorno fa, sul tavolo del presidente dell'Autorità Palestinese Abbas, Erekat ha appoggiato la sua lettera di dimissioni. A spingere il capo negoziatore a lasciare sono state le forti proteste da parte dell'opinione pubblica palestinese e di un'ala di Fatah, convinte che il dialogo sia già giunto ad un punto morto. La liberazione di 26 prigionieri, alla fine di ottobre, non ha condotto ai risultati sperati: nonostante si sia trattato di detenuti "storici", leader della resistenza dietro le sbarre da oltre 20 anni, l'anelato sostegno del popolo palestinese al negoziato non è arrivato.



Eppure le dimissioni di Erekat hanno avuto vita breve: respinte, o meglio ritirate. Troppo forti le pressioni americane. Così, ieri Erekat ha incontrato nuovamente il capo negoziatore israeliano, Livni. Il dialogo prosegue. O meglio, arranca. Il 31 ottobre Israele ha annunciato la costruzione di 1.500 nuove unità abitative nella colonia di Ramat Shlomo, a Gerusalemme Est. Ieri un prigioniero palestinese malato di leucemia, Hassan Turabi, di soli 22 anni, è morto per mancanza di cure da parte dell'amministrazione carceraria della prigione di Megiddo. 



E oggi è giunta la notizia della pianificata demolizione di centinaia di appartamenti palestinesi a Gerusalemme Est, nell'area di Ras Hamis. Nel target dei bulldozer del Comune di Gerusalemme sono finiti undici palazzi, centinaia di famiglie che rischiano di restare senza un tetto sulla testa.

In un contesto simile, appare difficile che il segretario di Stato Usa riesca nel suo proposito, ridare vigore al dialogo in corso. Kerry vedrà Netanyahu a Gerusalemme, per poi raggiungere Abbas a Betlemme, in un clima di drammatica tensione: durante l'incontro di ieri tra i team di negoziatori, la parte palestinese ha accusato quella israeliana di voler screditare la leadership di Ramallah, liberando prigionieri con una mano e costruendo colonie con l'altra. 



Da parte sua, il premier Netanyahu è stato chiaro. Nessuno ha mai promesso il congelamento dell'espansione coloniale: "Israele sta rispettando le condizioni poste all'inizio del negoziato con i palestinesi - ha detto domenica Bibi - I palestinesi sapevano molto bene che Israele avrebbe continuato a costruire durante i negoziati. Non ci siamo mai posti alcuna limitazione in merito". 



L'ANP ha negato di aver mai accettato tali condizioni, ma poco importa. Il processo di pace di oggi, come quello del 1993, non è un negoziato tra parti uguali, con uguale potere contrattuale. Da una parte sta Israele, Stato e forza occupante, dall'altra un'entità ibrida, priva di controllo nel territorio di riferimento e guidata da una leadership sempre più debole. In mezzo sta il popolo palestinese, costretto ad assistere ad un dialogo imposto dagli Stati Uniti, il cui unico risultato ad oggi è lasciare ulteriormente le mani libere alla colonizzazione israeliana. Nena News

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