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17 mag 2018

 

Hamas: “Accordo con l’Egitto per evitare l’escalation”

 

A rivelarlo è stato ieri il capo del movimento islamico a Gaza, Yahya Sinwar. Sinwar ha anche spiegato che il suo partito ha “resistito pacificamente” durante le proteste di queste settimane, ma che “non abbandonerà le armi se Israele eccederà”. Human rights Watch, intanto, sfida Tel Aviv sulle legge anti-Bds

 

Roma, 17 maggio 2018, Nena News –

 

Hamas ha raggiunto un accordo con l’Egitto per evitare l’escalation al confine tra la Striscia e Israele. A rivelarlo è stato ieri il suo leader a Gaza, Yahya Sinwar. Intervistato dalla tv panaraba al-Jazeera, Sinwar ha detto che il partito islamista “ha resistito pacificamente” durante le proteste settimanali iniziate lo scorso 30 marzo. Tuttavia, ha precisato, “ciò non vuol dire che non faremo ricorso alla resistenza armata qualora Israele eccederà e provocherà altro sangue. [In tal caso] saremo costretti a rispondere di conseguenza”. Sul carattere “pacifico” delle manifestazioni non è affatto d’accordo Tel Aviv: per Israele, infatti, “l’organizzazione terroristica Hamas” ha organizzato le rivolte come pretesto per attaccare le infrastrutture di sicurezza israeliane. In una nota, l’esercito ha fatto sapere che ieri, per ben due volte, alcuni membri di Hamas avrebbero sparato lungo il confine tra la Striscia e il territorio israeliano. I “terroristi” hanno provato a colpire anche un caccia israeliano danneggiando alcune case di Sderot, nel sud d’Israele (non si registrano feriti).  L’aviazione israeliana avrebbe quindi rispondo attaccando con violenza sei presunte postazioni del movimento islamico Hamas in tutta la Striscia di Gaza, in particolare nei pressi di Beit Lahiya, nel nord-ovest della Striscia.

Sinwar ha poi rivelato l’accordo tra il Cairo e il suo movimento affinché le attuali manifestazioni “non si trasformino in uno scontro militare”. Il ruolo di mediazione egiziano è stato lodato anche dal ministro dell’Intelligence israeliano Israel Katz. Intervistato dalla radio militare, Katz ha detto che nel corso del suo viaggio in Egitto compiuto domenica al leader di Hamas Ismail Haniyeh l’Intelligence egiziana ha comunicato di “avere prove” che dimostrano come il partito islamista palestinese abbia finanziato gli scontri e abbia mandato le persone al confine. “L’Egitto lo ha inequivocabilmente avvisato che se [le proteste] continueranno, Israele risponderà e compirà passi molto più duri di fronte a quali il Cairo si farà da parte”.

Ieri, intanto, un ufficiale di Hamas ha dichiarato che almeno 50 delle 61 vittime del massacro israeliano di tre giorni fa al confine con Israele erano suoi membri (la Jihad Islamica invece fa sapere di aver perso 3 combattenti). In serata poi diversi attivisti gazawi del “Comitato Nazionale per il ritorno dei campi” hanno impedito l’ingresso nella Striscia di camion contenenti materiale sanitario provenienti dal Magen David Adom [la croce rossa israeliana, ndr]. Il Comitato ha motivato il suo gesto spiegando che non vuole “abbellire l’immagine dell’occupazione israeliana, la stessa che ha compiuto il massacro di innocenti lunedì”. L’Autorità palestinese, invece, ha richiamato i suoi rappresentanti da Romania, Repubblica Ceca, Ungheria e Austria dopo che gli ambasciatori di questi 4 Paesi hanno partecipato a un ricevimento israeliano per celebrare l’inaugurazione dell’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme.

Dell’altissima tensione che regna da giorni in Israele e nei Territori occupati palestinesi ha parlato anche il presidente egiziano al-Sisi. “Per ciò che concerne l’ambasciata Usa – ha detto il leader golpista citato dalla Reuters – abbiamo già detto che questa questione avrà conseguenze negative sull’opinione pubblica araba e islamica e causerà insoddisfazione e instabilità, oltre ad avere ripercussioni sulla causa palestinese. Esorto gli israeliani a comprendere che le reazioni dei palestinesi su questo argomento sono legittime”.

Contro Tel Aviv, intanto, si è alzata ieri la voce di Human Rights Watch (Hrw): la ong statunitense ha fatto sapere di voler intraprendere una lotta giudiziaria contro la legge israeliana che vieta a individui e gruppi che sostengono il Bds (Boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni contro Israele) di entrare nello stato ebraico. Per comprendere l’iniziativa di Hrw bisogna ritornare a inizio mese quando Tel Aviv ha ordinato a Omar Shakir, il direttore della ong statunitense in Israele e Palestina, di lasciare il Paese entro due settimane ritirandogli il suo permesso di lavoro. Shakir non ha confermato di appoggiare il movimento Bds, ma ha accusato il governo Netanyahu di voler silenziare la sua organizzazione per il lavoro che svolge di monitoraggio delle violazioni dei diritti umani sia in Israele che nei Territori Occupati palestinesi.

L’espulsione del direttore di Human Rights Watch è stato agevolato lo scorso marzo da una modifica alla cosiddetta legge israeliana anti-boicottaggio che permette alle autorità di negare l’ingresso a coloro che sono attivisti del Bds. Intervistato dal portale web Middle East Eye, Shakir si è detto “fiducioso che la corte [israeliana] capirà quanto sia pericolosa questa legge e rovescerà perciò la decisione [contro di lui]”. Per il ministro degli Interni israeliano Ariye Deri, invece, Shakir “sostiene il boicottaggio d’Israele, invita a disinvestire nel Paese e a imporci sanzioni. Pertanto quest’uomo non deve rimanere in Israele”. Tuttavia, lo stesso ministero degli interni, ha ammesso che da quando Shakir è entrato a far parte di Hrw “non vi è alcuna informazione circa le sue attività [di boicottaggio]”. Resta da chiedersi allora per quale motivo dovrebbe lasciare il Paese. Nena News

 

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