http://nena-news.it/

18 mag 2018

 

Onu: sì a commissione d’inchiesta

di Roberto Prinzi

 

Tel Aviv tiene i suoi uomini pronti ad intervenire anche se ritiene che la mediazione tra Hamas e l’Egitto (che apre Rafah per un messe) dovrebbe mantenere la situazione relativamente calma. Erdogan convoca un secondo summit islamico in Turchia per la Palestina mentre il Kuwait avanza all’Onu un testo di condanna d’Israele

 

AGGIORNAMENTI:

ore 18.30 – Consiglio diritti umani Onu vota a favore di un’inchiesta su uccisioni a Gaza

Oggi pomeriggio il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unita ha votato per l’invio “immediato” di “una commissione di inchiesta indipendente e internazionale” a Gaza. Con 29 voti a favore, 14 astenuti (Croazia, Etiopia, Georgia, Germania, Ungheria, Giappone, Kenya, Panama, Corea del Sud, Ruanda, Svizzera Togo, Slovacchia e Regno Unito) e 2 contrari (Stati Uniti e Australia), il Consiglio ha dato il via libera all’invio nella Striscia di un team di esperti internazionali in crimini di guerra dopo la strage di lunedì a Gaza. L’obiettivo è verificare “i presunti abusi e violazioni delle leggi umanitarie internazionali e delle leggi internazionali sui diritti umani”.

Immediata la replica israeliana: il ministero degli Esteri ha parlato di “ipocrisia e assurdità”. “Lo scopo del Consiglio – si legge nel comunicato – non è d’indagare sulla verità ma di danneggiare il diritto d’Israele all’autodifesa e demonizzare lo Stato d’Israele”.

ore 13.40 – Alto commissario Onu per i diritti umani accusa Israele per il sistematico abusi dei diritti umani dei palestinesi e chiede l’apertura di una inchiesta indipendente per quanto accaduto a Gaza

L’Alto commissario Onu per i diritti umani Zeid Raad al Hussein ha condannato oggi Israele per il suo sistematico abuso dei diritti umani dei palestinesi, incluso “l’1,9 milioni [di palestinesi] chiusi in gabbia dalla nascita alla morte nel tugurio tossico che è Gaza”. Al-Hussein ha chiesto che si apra una inchiesta indipendente sul massacro dei 62 gazawi compiuto lunedì dall’esercito israeliano. Durante l’apertura della sessione speciale del Consiglio di diritti umani dell’Onu a Ginevra, ha poi detto: “Terminate l’occupazione, e la violenza e l’insicurezza sparirà del tutto”.

ore 13.25 –  Controlli nella città vecchia di Gerusalemme.

(Video Sahera Dirbas)

http://nena-news.it/wp-content/uploads/2018/05/video-1526642331.mp4?_=1

 

http://nena-news.it/wp-content/uploads/2018/05/video-1526642306.mp4?_=2

 

Roma, 18 maggio 2018, Nena News –

 

Tensione oggi nei Territori Occupati palestinesi in occasione del primo venerdì di Ramadan. Tel Aviv teme un’altra possibile protesta di massa nella Striscia di Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme est e ha pertanto schierato un ingente numero di soldati e poliziotti (solo in Città Santa sono stati mobilitati 1.500 agenti). Nonostante “l’alta preparazione” a intervenire, le autorità israeliane non hanno imposto finora restrizioni all’ingresso dei fedeli musulmani sulla Spianata delle Moschee a Gerusalemme come spesso è accaduto nei venerdì del sacro mese islamico o quando Israele si sente “minacciata”. Secondo alcuni ufficiali, dovrebbe restare relativamente calma anche la situazione nella Striscia di Gaza dopo il bagno di sangue israeliano di lunedì (62 palestinesi uccisi e oltre 2.400 feriti) per via dell’annunciata intesa tra il movimento islamico palestinese Hamas e l’Egitto volta ad evitare una escalation militare nella piccola enclave palestinese assediata.

Nelle ultime ore il Cairo veste i panni del pompiere: il presidente egiziano al-Sisi ha annunciato ieri che il valico di Rafah (a sud della Striscia) resterà aperto per l’intero mese di Ramadan. Una notizia clamorosa se implementata visto che questo varco, unica porta d’accesso verso il mondo esterno per i gazawi a causa del blocco decennale imposto da Israele sulla Striscia, è di fatto quasi sempre chiuso per volontà egiziana.

Le autorità israeliane temono manifestazioni di protesta in Cisgiordania e in Città Santa dopo l’invito delle varie fazioni politiche palestinesi a marciare verso i checkpoint militari dopo la consueta preghiera collettiva del venerdì. Nel tentativo di smorzare le tensioni, altissime dopo il massacro di inizio settimana, il ministro della difesa Avigdor Liberman e il coordinatore delle attività del governo israeliano nei Territori Occupati (Cogat), hanno deciso di non imporre dure restrizioni ai palestinesi della Cisgiordania permettendo loro l’ingresso in Israele se provvisti di regolare permesso.

Intanto, scrive il quotidiano Haaretz citando fonti diplomatiche israeliane, il Cairo starebbe promuovendo in queste ore la riconciliazione tra i due principali partiti palestinesi (Fatah e Hamas) cercando di ripristinare il governo dell’Autorità palestinese (Ap) nella Striscia, migliorando le condizioni economiche dell’enclave assediata e smantellando il braccio militare di Hamas. Il Qatar, invece, propone un consiglio indipendente di esperti con il compito di gestire la Striscia, chiede uno stop agli armamenti per il movimento islamico ed esorta le organizzazioni internazionali a monitorare l’intero processo politico. 

Chiamato in causa, l’Onu, con Nickolay Mladenov il suo coordinatore speciale per il processo di pace, prova a organizzare un nuovo forum regionale a cui dovrebbero partecipare Israele, l’Egitto, l’Autorità palestinese e l’Onu. L’obiettivo è quello di creare “un meccanismo d’aiuto a lungo termine” per la gestione della Striscia. Propositi che ad Israele non piacciono affatto: Tel Aviv teme infatti che in tal modo potrebbe nascere un “modello Hezbollah” anche a Gaza in quanto Hamas conserverebbe le sue armi mentre l’Ap si assumerebbe le responsabilità di gestire le questioni civili. Inoltre, le autorità israeliane, sottolinea Haaretz, non si fidano che questo “meccanismo di monitoraggio” internazionale possa davvero prevenire il contrabbando di armi.

A muoversi vi è poi anche la Turchia. Oggi il presidente turco Erdogan ospiterà per la seconda volta in sei mesi un summit islamico dove verrà espressa piena solidarietà ai palestinesi dopo la strage di lunedì. Lo scorso vertice islamico, tenutosi a dicembre ad Istanbul, denunciò la decisione del presidente statunitense Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele. Questa volta, ha promesso il leader turco, il vertice manderà un “forte messaggio al mondo” per il trattamento riservato dagli israeliani ai palestinesi. In questi giorni, Erdogan, in piena campagna elettorale per le legislative e presidenziali del prossimo 24 giugno, è ritornato ad attaccare duramente Israele accusandola di aver compiuto a Gaza un “genocidio” e definendola uno “stato terrorista” che opera un regime di “apartheid”.

Tuttavia la sua retorica lascia il tempo che trova per due motivi: il primo perché le sue parole sono frutto più di mera propaganda politica laddove il “Sultano”, conscio del vuoto politico rappresentato dal silenzio arabo, strumentalizza la questione palestinese per ergersi nel mondo islamico a paladino degli oppressi (poco importa che Ankara e Tel Aviv vadano a braccetto al di là delle offese che si scambiano di frequente). Il secondo è perché il mondo islamico è completamente lacerato dallo scontro politico sunnita-sciita rappresentato dall’Arabia Saudita e l’Iran. Del resto Riyadh, ormai sempre più apertamente vicina a Israele che ai palestinesi in chiave anti-iraniana, non ha alcuna voglia di adottare qualunque misura anti-israeliana che le possa alienare il sostegno statunitense nel suo piano di distruzione di Teheran.

Diversa in queste ore, invece, è la posizione del Kuwait che ieri ha spedito al Consiglio di Sicurezza dell’Onu una bozza di risoluzione che esorta le Nazioni Unite a inviare una forza internazionale al confine tra Israele e Gaza per difendere i gazawi. Un testo che però risulta già morto in partenza: seppure dovesse ottenere la maggioranza dei voti, sarebbe bocciato dal veto americano come già accaduto in passato. Il Kuwait, uno dei 15 membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, chiede che Israele “cessi immediatamente le sue rappresaglie militari, la punizione collettiva dei palestinesi e l’uso illegale di forza contro di loro”. Parole che hanno fatto imbestialire l’ambasciatore d’Israele presso le Nazioni Unite, Danny Danon, che ha parlato di un “nuovo punto basso del cinismo e della distorsione nel sostegno ai crimini di guerra di Hamas”. Nena News

 

top