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13/07/2018

 

Parroco di Gaza: ‘La popolazione è disperata, ma continuiamo a sperare nella pace’

 

Dalla chiusura del valico di Kerem Shalom cominciano a mancare le cose basilari. L’elettricità ridotta a 4 ore, con mezz’ora di interruzione. Il desiderio di andarsene, “cercare un’altra vita in un altro posto”. Il sostegno della Chiesa alla comunità cristiana.

La popolazione della Striscia di Gaza “non ha speranze”, ma vive “aspettandosi il peggio”. Lo dice ad AsiaNews p. Mario da Silva, parroco della piccola comunità cristiana.

La recente chiusura del valico di Kerem Shalom, attiva dal 9 luglio, ha peggiorato la situazione nella Striscia, già insostenibile da mesi. La popolazione vive con 4 ore di energia elettrica, nelle quali vi è anche un’interruzione di mezz’ora. “Con la chiusura – commenta il parroco – cominciano a mancare le cose basilari. La gente inizia a preoccuparsi e a chiedersi se ci sarà benzina, cibo. Cominciano già a mancare”.

Fra la popolazione serpeggia la disperazione, già aggravata dai mancati pagamenti dei dipendenti pubblici, che non ricevono lo stipendi da mesi, o “ricevono il 50% ogni due mesi”.

“Data la situazione in cui stiamo vivendo – continua p. Da Silva – la gente si aspetta sempre il peggio. Dal punto di vista delle violenze la situazione è migliorata, ma sono comunque disperati. Sembra che le notizie che arrivano non siano mai buone. Dopo le violenze degli scorsi mesi, uno potrebbe aspettarsi una buona notizia, ma no: le notizie sono sempre peggiori”.

L’unica notizia positiva arriva dal fronte egiziano: il Cairo ha aperto il valico di Rafah (riservato al passaggio di persone) sin dall’inizio del mese del Ramadan. Tuttavia, questa buona notizia dimostra anche la mancanza di speranza dei palestinesi della Striscia per il futuro: migliaia di persone sono uscite e non faranno ritorno. “C’è un desiderio generale di andarsene – afferma il parroco – di trovare un’altra vita in un altro posto. Non c’è speranza che le cose migliorino”.

Da parte sua, la Chiesa cerca di tutelare la piccola comunità cristiana in ogni modo possibile, creando occasioni di lavoro per i giovani cristiani di Gaza. Circa 50 lavorano per la Chiesa. “Abbiamo creato anche un centro di cultura per insegnare inglese, a usare il computer e cose simili, affinché possano restare”. La parrocchia cerca anche di sostenere economicamente i 110 dipendenti pubblici della comunità rimasti senza stipendio. “Tutti i mesi diamo 200-250 dollari, perché i cristiani possano andare avanti”. Tanti sforzi, che tuttavia non bastano. “È molto poco quello che possiamo fare – commenta – così quando trovano l’occasione cercano di andare via”.

A giugno, la Chiesa ha offerto a 200 bambini della comunità cristiana la possibilità di frequentare un campo estivo, ospitandoli dalle 8:30 alle 16:00, “per dare loro un po’ di sollievo”. Luglio è dedicato ai giovani, “per donare loro un po’ di gioia” e il mese prossimo sarà riservato alle famiglie.

 

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