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17/08/2018

 

Gaza, ‘incertezza’ sull’accordo per il cessate il fuoco fra Israele e Hamas

 

Fonti israeliane parlano di un accordo in sei punti. Hamas nega vi sia un patto con Israele. Riapre il valico di Kerem Shalom e si amplia l’area di pesca. Le condizioni di vita restano drammatiche. Difficoltà ad uscire per ricevere cure. Il caso del piccolo Louay, tre anni, malato di tumore.

 

Incertezza e un “dubbioso ottimismo”: così si vive a Gaza il nuovo cessate il fuoco fra Israele e Hamas, dopo settimane di tensioni. Lo dice ad AsiaNews il dottor Jamal Dakdouki, direttore del The Galilee Society e membro dell’equipe di medici di Physicians for Human Rights – Israel, che visita Striscia per fornire assistenza psicologica.

 

L’accordo sarebbe stato raggiunto con la mediazione dell’Onu e dell’Egitto, al Cairo. Fonti israeliane non ufficiali parlano di un’intesa in sei punti, da realizzarsi in modo graduale se la pace sarà mantenuta: un ampio cessate il fuoco; la riapertura del valico commerciale e l’estensione dell’area di pesca concessa ai palestinesi; assistenza medica e umanitaria; una soluzione per i soldati rapiti, i civili scomparsi e i prigionieri; la ricostruzione delle infrastrutture della Striscia con fondi stranieri; nuovo dialogo su porti marittimi e aerei.

 

Da parte sua, Hamas nega vi sia un simile accordo, affermando che gli incontri al Cairo riguardavano solo questioni interne palestinesi. Per ora, l’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu non ha preso posizione al riguardo, mentre il ministro della Difesa, Avigdor Lieberman ha negato ogni tipo d’accordo. La scorsa settimana, il gabinetto aveva approvato l'iniziativa di dialogo. Intanto, da due giorni nella Striscia è in vigore il cessate il fuoco, il valico di Kerem Shalom è stato riaperto e l’area di pesca ampliata.

 

“C’è ancora tanta incertezza – commenta Dakdouki – e poca fiducia, vista la lunga storia del conflitto. Per ora non si conoscono i particolari di questo ‘accordo’, per cui c’è un dubbioso ottimismo. La tregua potrebbe saltare in ogni momento, bisogna aspettare…”

Le condizioni di vita dei palestinesi rimangono drammatiche, in special modo per i pazienti di malattie non curabili nel sistema sanitario della Striscia, da mesi in grave crisi. È il caso di Louay Al Khoudari, bambino di tre anni a cui è stato diagnosticato un sarcoma aggressivo ai tessuti molli. Per curarsi, il piccolo deve recarsi all’ospedale An-Najah di Nablus, dove di recente è stato accompagnato da un’estranea: la madre non è potuta andare con lui poiché imparentata con un membro di Hamas. Dopo la denuncia del fatto, riportato dal quotidiano israeliano Haaretz, le autorità israeliane hanno dato il permesso alla donna di uscire da Gaza. Louay e sua madre non sono gli unici ad aver necessità di uscire. Lo scorso mese sette donne in stadio avanzato di malattia non hanno potuto lasciare la Striscia per curarsi, perché legate per parentela con membri di Hamas.

 

il Manifesto

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17 ago 2018

 

Accordo Israele-Hamas, Abu Mazen messo ai margini

di Michele Giorgio  

 

Il presidente palestinese è furioso per l’intesa, mediata dall’Egitto, che di fatto lo esclude e, a suo dire, favorisce i piani di Usa e Israele. La tregua dovrebbe essere messa nero su bianco nel fine settimana

 

Gerusalemme, 17 agosto 2018, Nena News –

 

Per i media israeliani l’accordo di tregua tra il governo Netanyahu e Hamas, di un anno e non di cinque come si diceva qualche settimana fa, è cosa fatta e sarà messo nero su bianco oggi al Cairo. Il quotidiano Haaretz ieri scriveva che la prima della sei fasi dell’intesa – la calma lungo le linee tra Gaza e Israele e la riapertura del valico commerciale di Kerem Shalom – sarebbe già in atto da mercoledì. Da parte sua Hamas fa trapelare solo che l’intesa potrebbe essere raggiunta tra sabato e domenica. Le altre fazioni palestinesi, costrette ad accettare quello che hanno deciso gli islamisti, sbuffano e criticano Hamas che, affermano, In cambio di aiuti umanitari e un allentamento del blocco israeliano di Gaza ha concesso troppo, a cominciare dalla fine delle manifestazioni popolari della Grande Marcia del Ritorno. Nell’incertezza che regna intorno alla possibile tregua, l’unica cosa sicura è la rabbia del presidente dell’Anp Abu Mazen, furioso per un accordo che tende a relegarlo ai margini della diplomazia.

Non ha avuto mezze parole per i suoi avversari Abu Mazen quando è intervenuto ai lavori del Consiglio centrale dell’Olp due giorni fa a Ramallah. Ha rivolto accuse pesanti all’Amministrazione Usa e ha attaccato il “piano di pace”, noto come Accordo del secolo, che Trump sostiene di poter realizzare tra israeliani e arabi (a scapito dei diritti dei palestinesi). Ha sparato a zero sul governo Netanyahu e affermato la volontà di lottare, assieme ai palestinesi con cittadinanza israeliana, contro la legge approvata dalla Knesset che definisce Israele Stato nazionale degli ebrei. E Abu Mazen non ha mancato di rivolgere attacchi al vetriolo anche ad Hamas che, a suo dire, ha silurato la riconciliazione con il suo partito, Fatah, e ora va a un’intesa separata con Israele, senza aver ottenuto un granché per Gaza. Hamas replica che proprio «l’ostinazione» del presidente dell’Anp a voler raggiungere la riconciliazione interna solo alle sue condizioni finisce per dividere i palestinesi. Il movimento islamico ricorda che le misure adottate dalla presidenza dell’Anp nell’ultimo anno hanno aggravato la condizione umanitaria di Gaza.

 Abu Mazen nel suo discorso al Consiglio Centrale ha evitato di attaccare frontalmente l’Egitto – il capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamel è stato mercoledì a Tel Aviv e ieri a Ramallah – che pure dietro le quinte favorirebbe i disegni di Trump e, incurante delle perplessità della presidenza dell’Anp, ha deciso di mediare, assieme all’inviato dell’Onu Mladenov, un accordo separato tra Israele e Hamas. ‎‎«Le preoccupazioni di Abu Mazen sono solo in parte comprensibili» spiega al manifesto l’analista di Gaza Saud Abu Ramadan «perché l’Egitto mentre lavora all’accordo di tregua allo stesso tempo ha invitato al Cairo le delegazioni di Fatah e delle altre formazioni palestinesi per arrivare alla riconciliazione». Tuttavia un pericolo per Abu Mazen è concreto, aggiunge Abu Ramadan. «È chiaro che se ci sarà un accordo tra Fatah e Hamas non sarà alle condizioni dettate dal presidente». A quel punto, prosegue l’analista, «Abu Mazen potrebbe essere costretto ad accettarlo perché rifiutandolo darebbe indirettamente luce verde a una separazione netta tra la Cisgiordania sotto la sua autorità e Gaza controllata da un Hamas più forte dopo l’intesa con Israele».

I prossimi giorni o forse le prossime ore diranno se Gaza avrà a una ‎‎”cessazione delle ostilità” di lungo periodo. Per ora si dice e si scrive un po’ di tutto. La tregua sarebbe di un anno e prevederebbe la costruzione di infrastrutture civili a Gaza, negoziati per uno scambio di prigionieri che porti alla restituzione delle salme di due soldati morti in combattimento nel 2014 e di due civili israeliani trattenuti da Hamas in cambio della liberazione di prigionieri politici palestinesi. L’intesa potrebbe prevedere l’introduzione di un corridoio navale, sotto controllo israeliano, tra Gaza e Cipro con traffico di cargo. Nena News

 

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