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18 ott 2018

 

Calma carica di tensione in attesa decisioni governo Netanyahu

 

Non è scattata, come alcuni si attendevano, l’offensiva israeliana. Ma l’ombra dell’operazione militare, invocata dal ministro della difesa Lieberman, grava ancora su Gaza.

Gerusalemme, 18 ottobre 2018, Nena News –

 

Nessun comunicato è seguito alla conclusione della riunione durante la notte del consiglio di difesa israeliano convocato dal premier Netanyahu che, secondo le previsioni di molti, avrebbe dovuto dare l’ok ad un ampio attacco militare contro Gaza e il movimento islamico Hamas. A scongiurare, per ora, l’offensiva, dicono le indiscrezioni, sarebbe stato un deciso intervento dell’Egitto su israeliani e palestinesi. Oggi il quotidiano arabo al Hayat scrive che nei giorni scorsi Hamas aveva raggiunto un accordo con le altre organizzazioni palestinesi a Gaza per ridurre le proteste lungo le linee di demarcazione con Israele in modo da aiutare la mediazione egiziana sulla realizzazione di un cessate il fuoco a lungo termine con lo Stato ebraico. Secondo al Hayat, che cita anonimi funzionari palestinesi, l’accordo tra le fazioni era stato raggiunto lunedì durante una riunione del “Supremo Comitato Nazionale” che organizza le manifestazioni contro il blocco israeliano di Gaza. Se le informazioni raccolte dal giornale sono corrette, vorrebbe dire che una “fazione sconosciuta” ha deciso di lanciare i due razzi che, nella notte tra martedì e mercoledì, hanno colpito il territorio israeliano, uno dei quali ha danneggiato gravemente una abitazione civile a Beersheba. Lo scopo sarebbe stato quello di far saltare l’intesa. Questa versione dell’accaduto però non trova conferme a Gaza.

    Comunque siano andate le cose, l’ombra di una nuova offensiva militare israeliana, persino più distruttiva di quella del 2014, continua a gravare su Gaza.

VI PROPONIAMO L’ARTICOLO SULLA SITUAZIONE A GAZA PUBBLICATO OGGI DAL QUOTIDIANO IL MANIFESTO

di Michele Giorgio – Il Manifesto

Gerusalemme, 18 ottobre 2018, Nena News – Non ci sono altre interpretazioni possibili. Il rinvio del viaggio del capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamel, atteso oggi a Gaza, indica che l’offensiva israeliana è lì, alle porte della Striscia. L’unica incertezza è quando. Qualcuno l’attendeva già la scorsa notte, quando l’oscurità è scesa  carica di tensione e paura su Gaza e le aree circostanti. Gli oltre duemila morti del 2014 sono un ricordo sempre molto vivo. La risposta, una ventina di raid aerei che hanno fatto un morto e tre feriti tra i palestinesi, data ieri dal governo Netanyahu al lancio martedì notte di un razzo Katiusha a medio raggio che ha colpito e distrutto in buona parte una abitazione di Beersheba, con una madre e i suoi tre figli che si sono salvati per un soffio, è giudicata insufficiente dall’opinione pubblica. Gli israeliani chiedono un’azione di forza, un colpo devastante. Nemmeno considerano che la tensione e le manifestazioni lungo le linee di demarcazione con Gaza sono il risultato inevitabile di una situazione insostenibile, da un punto di vista umanitario e politico, per due milioni di palestinesi che vivono come prigionieri, sotto embargo da oltre dieci anni, in meno di 400 chilometri quadrati di terra.

 Con le elezioni sempre più all’orizzonte, nessun esponente politico israeliano vuole apparire debole nei confronti dei palestinesi e sulle questioni di sicurezza. A maggior ragione quando c’è il ministro della difesa Lieberman, uno dei rivali più insidiosi del premier Netanyahu Netanyahu, ad invocare un “colpo duro” al movimento islamico Hamas che controlla Gaza, unica via, afferma, per riportare la calma. «Israele agirà con tutta la sua forza» ha perciò proclamato il primo ministro durante la visita ieri nelle aree a ridosso di Gaza. «Guardiamo con grande severità agli attacchi alla frontiera, a Beersheba, ovunque. Se gli attacchi non finiranno – ha avvertito – gli metteremo noi fine». Poi nel tardo pomeriggio Netanyahu ha presieduto una riunione del Consiglio di difesa mentre dall’Unione europea e dall’inviato dell’Onu Nikolay Mladenov giungevano messaggi di solidarietà a Israele e di condanna del lancio del razzo palestinese.

La guerra però a questo punto la vuole anche Hamas malgrado il comunicato emesso assieme al Jihad in cui indirettamente condanna il lancio del razzo contro Beersheba. Un giornalista di Gaza, ben introdotto ai vertici del movimento islamico, sostiene che non ci sarebbe alcun mistero intorno a chi ha sparato il Katiusha. «Occorre tenere conto dello stato dei leader di Hamas – ci ha spiegato il giornalista – hanno cercato un accordo di tregua a lungo termine con Israele, l’hanno fatto per tutta l’estate senza riuscirci. Hanno intensificato le proteste popolari al confine per fare pressione, ancora una volta senza risultato mentre tanti manifestanti venivano uccisi». Ora, ha aggiunto, i vertici di Hamas si sono convinti che solo una nuova escalation militare potrà indurre Netanyahu ad accettare un’intesa in più punti che metta fine o almeno allenti il blocco israeliano. Un grande conflitto può portare a novità positive nei periodi di tregua». Secondo il giornalista di Gaza «Hamas non ha rivendicato l’attacco a Beersheba ma quel razzo, più potente di quelli soliti, è negli arsenali della sua ala armata e non di organizzazioni minori. Colpire Beersheba è stata una una dimostrazione di forza, un messaggio chiaro per gli israeliani: se non volete la tregua allora si farà la guerra e anche voi soffrirete».

Sullo sfondo ci sono anche le manovre dell’Autorità nazionale palestinese. Il presidente Abu Mazen è apertamente contrario ad una tregua separata tra Hamas e Israele. In questi mesi ha fatto di tutto per impedirla arrivando a dichiarare persona non grata Mladenov dell’Onu perché impegnato nelle attività di mediazione, assieme all’Egitto. La trattativa esclude totalmente l’Anp e il presidente la considera un tentativo mascherato di dividere per sempre Gaza dalla Cisgiordania, in linea con quello che prevederebbe il piano di pace Usa non ancora reso pubblico (il mediatore Usa Jason Greenblatt nega che l’iniziativa americana punti a separare i territori palestinesi). Per colpire Hamas, Abu Mazen non ha esitato nell’ultimo anno e mezzo a tagliare gli stipendi dei dipendenti pubblici, a varare sanzioni e ad attuare forme di boicottaggio economico che hanno soltanto reso più difficile la vita alla popolazione civile palestinese e scalfito appena la solidità del potere dei rivali islamisti. Nena News

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