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23 apr 2018

 

In realtà, Natalie, tu stai praticando il Bds

di Yousef Munayyer
Traduzione di Elena Bellini

 

Lettera aperta a Natalie Portman dello scrittore e analista palestinese Yousef Munayyer: “Gli sforzi di Israele per convincere il mondo ad accettare questa spoliazione includono il portare persone famose come te su palchi israeliani. Con la tua decisione, hai mandato un messaggio a Israele: le loro politiche, che violano i diritti umani e civili, sono ingiustificabili”

 

Roma, 23 aprile 2018, Nena News –

 

Cara Natalie (se me lo consenti),

negli ultimi giorni, ho seguito attentamente la tua decisione di non partecipare a una cerimonia di premiazione in Israele e le tue dichiarazioni in merito. La tua decisione per me è stata importante non solo perché sono palestinese, ma perché mi sono reso conto che abbiamo qualcosa in comune, tu e io.

Sono nato in Israele, a soli 50 chilometri da Gerusalemme, dove sei nata tu; a Lydda, la città della mia famiglia (la mia famiglia non si è trasferita in Israele, è Israele che è venuto da noi). Tu e io siamo anche quasi coetanei, anche se sicuramente abbiamo vissuto il nostro essere cittadini israeliani in modi molto diversi. Per me, palestinese, ha voluto dire essere etichettato e trattato come “minaccia demografica”, mentre tu hai parlato bene di Israele e sei orgogliosa di esserne cittadina.

Abbiamo entrambi lasciato Israele e ci siamo trasferiti negli Usa da piccoli, insieme alle nostre famiglie. Chissà, magari abbiamo sorvolato l’Atlantico sullo stesso aereo, anche se sono praticamente certo che la tua esperienza con la polizia aeroportuale sia stata molto diversa dalla mia (anche se probabilmente entrambi abbiamo applaudito quando il pilota ci ha fatto atterrare sani e salvi). Ma se, una volta negli Usa, la tua esperienza è stata simile alla mia, allora vuol dire che nemmeno tu ti sei mai sentita completamente a tuo agio né qui né lì, un piede qua e uno là, e un cuore perennemente desideroso di una casa.

E arriviamo al punto in cui le nostre strade si separano. Tu hai intrapreso una carriera di attrice, fino a vincere un Oscar. La mia carriera d’attore si è fermata al Mago di Oz, in seconda media: io ero il leone, e forse ho un po’ esagerato con l’accento di Bert Lahr. Penso di aver fatto un buon lavoro, ma la mia passione mi ha portato a seguire un’altra strada, che poi è il motivo per cui oggi ti scrivo.

La motivazione che hai dato per il tuo rifiuto del Genesis Prize è che non volevi condividere il palco con Netanyahu e non volevi in alcun modo dare l’impressione di sostenerlo.

Penso di andare sul sicuro se ipotizzo che il tuo avercela con Netanyahu non sia un fatto personale. Non riguarda la tinta di capelli che ha scelto o l’uso continuo di patetici giochetti e slogan durante i suoi discorsi, ma ha a che fare con la politica e con le politiche che lui rappresenta, politiche che violano il diritto internazionale e i diritti fondamentali dei palestinesi, ammazzati quotidianamente dallo Stato israeliano. E, con il tuo rifiuto di tollerare queste politiche e il loro sostenitore, stai dimostrando di capire che lo Stato israeliano non pensa che le proprie politiche siano un problema.

Ciò che invece loro credono è che la percezione che il mondo ha delle loro politiche sia diventata il vero problema. Se solo potessero far capire al mondo che, in qualche modo, è accettabile negare perennemente i diritti fondamentali a milioni di persone, a quanto pare per loro tutto andrebbe meglio. Gli sforzi di Israele per convincere il mondo ad accettare questa spoliazione includono il portare persone famose come te su palchi israeliani, mandando il messaggio ai loro fan che quel che Israele fa va bene. Questa è una strategia di pubbliche relazioni particolarmente importante per Israele, appunto perché è rivolta a un target giovane che si sta allontanando dallo Stato israeliano.

Con la tua decisione, hai mandato un messaggio a Israele: le loro politiche, che violano i diritti umani e civili, sono ingiustificabili. Ecco perché è così importante che tu abbia deciso di non partecipare a questa cerimonia.

So che potresti non vederla così. Nel tuo comunicato, hai scritto: “Non faccio parte del movimento Bds e non lo sostengo”. “Come molti israeliani ed ebrei nel mondo, posso criticare la leadership in Israele senza per questo voler boicottare l’intera nazione; considero preziosi i miei amici israeliani e la mia famiglia, il cibo israeliano, i libri, l’arte, il cinema e la danza”.

Per un cittadino israeliano, la pratica del boicottaggio può apparire complicata. Tu e io abbiamo entrambi la famiglia in Israele, persone che amiamo e che non possiamo immaginare di non rivedere. Gli israeliani, come tutti, hanno molto da offrire al mondo. Quindi io comprendo la tua esitazione a “boicottare l’intera nazione”.

Ma non è questo, il BdsS. I singoli individui non sono l’obiettivo del boicottaggio, è lo Stato ad esserlo. Queste cose possono e devono essere separate.

La verità è che il Bds non è nemmeno un movimento. Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni sono una serie di strategie nonviolente che vengono utilizzate da molti movimenti, ma che le istituzioni della società civile palestinese hanno chiesto alla comunità internazionale di adottare come parte del movimento nonviolento per i diritti dei palestinesi, per mandare a Israele il messaggio che deve smettere di negarli. E lo Stato di Israele, dal canto suo, terrorizzato dall’adozione su vasta scala di queste strategie, ha cercato di diffamare gli attivisti e di mettere zizzania tra i palestinesi e gli internazionali che vogliono sostenerne i diritti, nel tentativo di far desistere la gente dall’uso di queste strategie nonviolente.

Alla fine, israeliani e palestinesi dovranno raggiungere un accordo sulle regole politiche che governeranno la loro coesistenza. Ma questo non può succedere finché lo Stato israeliano non si rende conto che lo status quo è inaccettabile, immorale e costoso.

L’importante è che il messaggio venga inviato. Israele ha bisogno di sentirlo.

Ma il modo in cui ognuno decide di mandare il messaggio, beh, questo dipende da ogni singola persona. Sicuramente c’è modo di fare soggiorni etici che non forniscono sostegno o legittimazione allo Stato israeliano e alle sue politiche. Io preferisco un’azione economica nonviolenta contro lo Stato israeliano e le istituzioni o le aziende legate allo Stato che fanno profitti dalle sue politiche abusive o lavorano per mascherarle. Ciò non vuol dire che io non possa comprare l’hummus nel makolet (negozio di alimentari, n.d.t.) di mio cugino quando vado a trovare la mia famiglia.

E a quanto pare tu hai trovato il tuo modo di partecipare, boicottando il Genesis Prize.

C’è un’ultima differenza tra noi che mi piacerebbe sottolineare. Magari hai pensato di tornare a vivere in Israele, un giorno, con la tua famiglia. Il tuo partner, Benjamin, coreografo francese, potrebbe ottenere la residenza e poi la cittadinanza perché tu sei cittadina israeliana.

La mia compagna e io, invece, non possiamo tornarci insieme, perché lei, professoressa di chimica, è palestinese della Cisgiordania, terra occupata da Israele. Ciò significa che, anche se io sono cittadino israeliano, lo Stato impedisce a me e ad altri, sposati con palestinesi, di vivere con loro in Israele. Questo perché, come ha spiegato Benjamin Netanyahu, ciò comporterebbe “un’esplosione demografica”.

La differenza, vedi, è che lo Stato si preoccupa dei miei figli non ancora nati, ma non dei tuoi.

Tu hai contribuito a modo tuo, questa settimana, a mettere fine a questa situazione perversa, mettendoci la faccia contro questo tipo di ineguaglianze. Spero che tu e gli altri che potrebbero trarre ispirazione dalla tua decisione continuerete a farlo, in modi che facciano sentire sempre più forte il messaggio, finché non potrà più essere ignorato.

Con affetto,
Yousef

Yousef Munayyer, analista politico e scrittore, è Direttore Esecutivo della Campagna USA per i diritti dei Palestinesi

 

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