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sabato 28 aprile 2018

 

Gaza: quinto grido palestinese per il diritto al ritorno

di Marina Zenobio

 

Ancora sangue palestinese nel quinto venerdì di protesta tra Gaza e Israele. Dall’inizio della protesta ci sono stati 44 morti e migliaia di feriti

 

Le forze di sicurezza israeliana hanno sparato di nuovo contro gli attivisti palestinesi che, al confine tra la Striscia di Gaza e Israele, ogni venerdì stanno manifestando nella Marcia del Ritorno . Tre morti nel quinto venerdì di lotta che, sommati alle vittime a partire dal 30 marzo, raggiungo la cifra di almeno 44, migliaia i feriti.

 

Il diritto al ritorno dei rifugiati reclamato OGGI, per il quinto venerdì consecutivo, da migliaia di attivisti di Gaza a pochi metri dalla frontiera con Israele, è una delle principali richieste palestinesi ed anche lo scoglio più grande per il raggiungimento di un accordo di pace con gli israeliani.

 

La creazione di Israele e le successive guerre dal 1947 al 1949, provocarono l’espulsione e la fuga, meglio dire un esodo denominato Nakba (“catastrofe” in arabo) di 700 mila palestinesi. Una cifra che, secondo stime ONU, sommata ai loro discendenti supera a tutt’oggi i 5 milioni di rifugiati.

 

La richiesta del ritorno è uno dei pilastri dei negoziato in fase di stallo, insieme alla sovranità di Gerusalemme, agli insediamenti, al controllo delle risorse idriche, alla demarcazione dei confini e alla sicurezza.

 

L’Assemblea Generale dell’ONU, nel dicembre del 1948, tramite la Risoluzione 194 (non vincolante), dichiarò nel suo articolo 11 che i rifugiati che desideravano “tornare alle loro case e vivere in pace con i loro vicini dovevano poterlo fare quanto prima possibile”.

 

Dalla fine del 1960 l’art. 11 appare in forma ricorrente come base del diritto internazionale, insieme alla successiva Risoluzione 3236 che, nel 1974, riaffermò “l’inalienabile diritto dei palestinesi a ritornare nelle proprie case e proprietà”.

 

Migliaia di famiglie palestinesi fuggirono dalla loro terra per paura della guerra, ma per Israele si è sempre trattato di “trasferimenti volontari”, e riconosce il loro diritto al ritorno solo quando esisterà uno Stato palestinese.

 

Per i palestinesi d’altro canto si tratta di una rivendicazione che fa parte della loro identità nazionale, presente fin dall’infanzia di ognuno di loro e nell’immaginario sociale collettivo, e considerano l’esodo una ingiustizia storica che aspetta di essere corretta.

 

La questione dei rifugiati è da sempre presente sul tavolo dei negoziati, e non ci sarà alcun accordo di pace che non contenga una soluzione che li tenga in considerazione.


«Qualsiasi risoluzione che non includa la costruzione di uno Stato palestinese con capitale Gerusalemme est, basato sulle frontiere del 1967, e con una soluzione giusta per i rifugiati, non sarà accettata e sarà considerata illegittima» è quanto ha ripetuto alla stampa Nabil Abu Rudaina, portavoce del presidente palestinese.

 

Secondo una ricerca dello storico Ilan Pappé, riportata sulla sua opera  La pulizia etnica della Palestina, circa 500 villaggi palestinesi, come Qamun, Iqrit e Qastal, così come decine di quartieri urbani sono stati cancellati dalle mappe da parte di Israele tra il 1947 e il 1949, mentre città come Haifa o Acri e la zona araba di Gerusalemme ovest sono state ripopolate da famiglie ebree.

 

Con la Marcia per il Ritorno, con i loro morti e feriti da fuoco israeliano, i rifugiati della Striscia di Gaza – il 70% dei suoi due milioni di abitanti – vogliono ricordare al mondo che il loro esilio continua.

 

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