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21-10-18 - n. 687

Netanyahu, il veleno di Israele 
di Higinio Polo


Israele nasce dall'occupazione militare e dal furto di terre altrui, accompagnate da una feroce pulizia etnica che ha comportato l'espulsione di centinaia di migliaia di palestinesi, la distruzione dei loro villaggi e massacri come Deir Yassin. Furono i laburisti ebraici dei Mapai [Partito dei Lavoratori della Terra d'Israele], con Ben Gurion, a cacciare i palestinesi dalle loro terre nel 1948 ed espropriare le loro proprietà con la forza militare. Tale politica fu mantenuta per due decenni, cercando di rendere irreversibile l'occupazione e quando, nel 1968, il Mapai fondò con altre organizzazioni minori il Partito Laburista, i suoi leader continuarono a difendere queste rapine. Parlare oggi dell'invasione di nuovi territori nel 1967, respinta dall'ONU, e reclamare la fine dell'occupazione è giusto, ma i laburisti dimenticano che l'origine del conflitto è nel 1948, nella Nakba.

Israele è uno Stato coloniale, anche se per la sua creazione e giustificazione posteriore si è utilizzata la sofferenza degli ebrei perseguitati dal nazismo, come se l'orrore di Auschwitz scagionasse l'espropriazione palestinese. La colonizzazione, l'apartheid e la repressione militare dello Tsahal [esercito] israeliano hanno messo fine ai sogni egualitari della sinistra israeliana, perché il sionismo socialista era basato sulla rapina verso i palestinesi. La seconda Intifada, gli attentati suicidi palestinesi e i costanti assassinii "mirati" da parte delle forze israeliane hanno inoculato la paura tra gli israeliani: i laburisti hanno perso influenza a vantaggio dell'estrema destra, che è riuscita a presentarsi come garante della sicurezza di Israele . Gli accordi di Oslo del 1993 sono stati ignorati e il ritorno di Netanyahu come primo ministro nel 2009 ha segnato la fine dei negoziati con l'Autorità palestinese, convertitasi in esecutrice del controllo e della repressione in Cisgiordania e Gaza.

Il corrotto Netanyahu ha ottenuto il sostegno della maggioranza della popolazione israeliana alla sua politica di persecuzione dei palestinesi, di omicidi selettivi extragiudiziali e di minacce all'Iran, maggioranza che difende, o accetta, la politica infame di segregazione, espropriazione e repressione. Dall'operazione punitiva contro Gaza nel 2014, passando per la demolizione sistematica delle case palestinesi e con la costante espansione degli insediamenti illegali, il futuro che Israele offre ai palestinesi è la progressiva espulsione dalle loro terre: la scomparsa e la morte. L'ultimo episodio di infamia è l'approvazione alla Knesset della Legge dello Stato-nazione che proclama Israele "focolare nazionale del popolo ebraico" e che dichiara Gerusalemme capitale del paese e il calendario ebraico come l'unico ufficiale.

Non esiste un "processo di pace": prosegue solo la pulizia etnica iniziata nel 1948. Tutta la destra israeliana e persino i laburisti e altri gruppi avallano la persecuzione dei gruppi politici e sociali palestinesi e la maggioranza della popolazione israeliana non solo finge di non vedere la segregazione, ma difende addirittura l'espulsione di coloro che hanno sempre vissuto in Israele. Uno dei terribili paradossi di Israele oggi è constatare come i discendenti ebrei di chi subì l'orrore di Auschwitz e della persecuzione nazista si siano convertiti in difensori della deportazione e dell'apartheid.

La maggior parte degli israeliani non ha voluto vedere scene drammatiche come l'assassino da parte di un cecchino dell'esercito di Fadi Abu Salah, sulla sua sedia a rotelle, o quello dell'infermiera Razan al-Najjar, di 21 anni, che è stata uccisa a colpi di arma da fuoco da un altro cecchino mentre assisteva i feriti. Poiché per la stragrande maggioranza degli israeliani, la sofferenza palestinese non esiste o, se esiste, è meritata: anche la Corte suprema israeliana considera "legale" che l'esercito israeliano spari per uccidere contro manifestanti pacifici. La Striscia di Gaza è oggi una gigantesca prigione, con acqua contaminata e poche ore di elettricità al giorno. Nessun palestinese può uscire da lì, e un milione di bambini viene lentamente avvelenato dall'acqua che consuma a causa del blocco israeliano che impedisce l'ingresso di forniture. Gli accademici israeliani hanno definito Gaza "il più grande campo di concentramento della storia".

Ci sono state proteste contro questo massacro, come la manifestazione di Haifa, il 1 giugno, convocata da Hadash [Fronte democratico per la pace e l'uguaglianza] e dal Partito Comunista Israeliano, che denunciavano le uccisioni e l'occupazione militare. Entrambe le organizzazioni difendono il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi espulsi dalle loro terre, che oggi, insieme ai loro discendenti, ammontano a quasi cinque milioni di persone. Il Partito Comunista Israeliano difende la fine dell'occupazione israeliana, una pace giusta basata su due stati e i diritti dei rifugiati palestinesi. Tuttavia, la sinistra è debole in Israele e la maggioranza della popolazione preferisce tollerare che Israele sia diventato uno stato canaglia e criminale, accettando che i suoi soldati sparino per uccidere. Preferisce difendere il furto di terre palestinesi, sopportare il veleno e l'odio di Netanyahu, e sceglie di ignorare il dramma palestinese, accettando la segregazione, vivendo nella menzogna e nel pregiudizio.

http://nena-news.it/

26 ott 2018

 

Netanyahu grida 
al complotto: 
nel Likud tramano 
contro di me

 

Gerusalemme, 26 ottobre 2018, Nena News – 

 

Martedì prossimo si rinnovano le amministrazioni comunali in Israele ma il clima è già quello delle elezioni politiche, previste tra un anno. Il Likud, il partito di maggioranza relativa, è in forte fibrillazione. Benyamin Netanyahu le elezioni voleva tenerle in anticipo e spesso si è parlato di questa ipotesi nelle ultime settimane. Ma ha cambiato idea per non offrire, dice, ai suoi rivali nel Likud l’opportunità di metterlo da parte. Secondo il primo ministro israeliano nel suo partito sarebbe in atto una «trama sovversiva» finalizzata a farlo uscire di scena. A capo di questa presunta cospirazione ci sarebbe l’ex ministro dell’interno, Gideon Saar, suo storico rivale, rimasto nell’ombra negli ultimi anni e di recente ritornato sulla scena politica. «Un nostro ex ministro – ha spiegato Netanyahu – ha cucinato una trama sovversiva: prima io dovrei condurre il Likud alla vittoria, poi loro faranno in modo che io non venga scelto come premier».

Il tabloid Israel ha-Yom, molto vicino al premier, sostiene che il presidente Rivlin, uno dei “moderati” del Likud, ricorrerà al proprio potere discrezionale e non affiderà a Netanyahu l’incarico per il nuovo esecutivo. Per questo il premier avrebbe deciso di non puntare al voto anticipato e di “smascherare” i membri del complotto. Gideon Saar ha reagito con rabbia alle accuse e ha esortato Netanyahu a produrre le prove di quanto afferma mentre Rivlin ha definito le frasi del primo ministro frutto di uno stato di “paranoia”.

Al di là dello scontro nel Likud, il clima da campagna per le elezioni politiche generali sta radicalizzando ulteriormente i discorsi e le prese di posizione delle forze di destra al potere in Israele. E questo non fa che accrescere il rischio di nuove operazioni militari. Non è un mistero che le guerre vengano scatenate anche alla ricerca di consensi popolari durante le campagne elettorali. E in Israele mostrarsi duri e inflessibili nei confronti dei palestinesi non poche volte permette ai politici di guadagnare i favori dell’elettorato. La pressante richiesta di un attacco militare ampio contro Hamas a Gaza da parte del ministro della difesa Avigdor Lieberman – leader del partito di estrema destra Israel Beitenu rivale del Likud – va senza dubbio anche in quella direzione.

Netanyahu a onor del vero non sembra aver bisogno di una nuova guerra per consolidare il consenso in vista del voto. I sondaggi lo danno ampiamente in vantaggio su tutti gli avversari, interni ed esterni al Likud. L’ultimo diffuso dalla tv “Canale 10” evidenzia che, se si votasse oggi, il Likud, con lui alla guida, conquisterebbe più seggi alla Knesset rispetto a quanti ne avrebbe con Gideon Saar candidato premier: 30 contro 25. Il sondaggio fotografa inoltre la caduta libera di “Unione Sionista”, la formazione guidata dai laburisti (da 24 a 12 seggi) e la forte ascesa dei centristi di “Yesh Atid” (da 11 a 19 seggi). In leggera crescita la Lista araba unita, da 13 a 14 seggi, e il Meretz (sinistra sionista) che passerebbe da cinque a otto seggi. Nena News

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