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21 Dicembre 2019

 

Le menzogne di stato non hanno prevalso

di Claudia Pinelli

Sorella di Giuseppe

e Elio Catania

membro dell’Associazione Lapsus

 

«Sulla morte di mio padre non ci interessa la 'memoria condivisa'. Vogliamo il confronto, la disponibilità a cercare la verità». Parla Claudia Pinelli

 

I giorni del cinquantesimo anniversario di piazza Fontana coincidono anche con la storia della «finestra sulla strage», ovvero la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, capro espiatorio della prima ora, in stato di fermo illegale nella questura di via Fatebenefratelli dalla cui finestra al quarto piano precipiterà dopo tre giorni e tre notti di interrogatori estenuanti e ovviamente senza risultati. La storia della «pista anarchica» è legata alla tragedia della famiglia Pinelli, della moglie Licia e delle figlie Claudia e Silvia, che per cinquant’anni hanno tenuto duro e non hanno permesso alle menzogne di stato di affermarsi. Con Claudia abbiamo avuto un breve dialogo su alcuni dei nodi più pesanti della memoria di suo padre e della sua persecuzione – assieme a quella di Valpreda e degli anarchici – soprattutto a fronte dell’apparente mutato atteggiamento e discorso delle istituzioni.

La pista anarchica sulla strage di Piazza Fontana rappresenta non soltanto uno dei più clamorosi casi di depistaggi e intossicazione delle indagini della storia italiana, ma anche e soprattutto la persistenza di una cultura e una mentalità nella magistratura, forze dell’ordine e apparati di sicurezza (oltre che grandi media e senso comune): perché secondo te è così radicata e dura a morire?

La pista anarchica era stata organizzata e decisa prima della bomba alla banca in piazza Fontana, gli arresti di giovani innocenti che si faranno più di 18 mesi di carcere per gli attentati precedenti alla fiera campionaria, il 25 aprile di quell’anno, e all’ufficio cambi della stazione centrale, e sui treni nell’agosto del 1969, verrà smontata in un’aula di tribunale ma i poliziotti che portarono avanti quelle false accuse e che si avvalsero di un personaggio infiltrato da loro, ricevettero encomi e premi in denaro malgrado fosse crollato il teorema che avevano arbitrariamente costruito rischiando loro stessi l’incriminazione. Non sono io a dover dire perché tuttora queste cose accadono e con schemi già visti, sono i responsabili delle istituzioni che dovrebbero interrogarsi e dare delle risposte.

Ci puoi riassumere la sua vicenda processuale legate alla pista anarchica, dalle accuse a Pinelli e Valpreda fino all’ultimo processo del giudice Salvini?

Le accuse agli anarchici mandati sotto processo anche quando si sono riuniti i due filoni di inchiesta, quello contro di loro e quello contro i nazifascisti, non hanno trovato riscontri e condannati. Il processo si è chiuso nel 2005 e nessuno di loro era più imputato mentre vennero individuate responsabilità precise e documentate verso attivisti dell’organizzazione fascista Ordine nuovo, anche se il tribunale ha deciso di non avere abbastanza prove e le persone ritenute responsabili materiali non erano più condannabili perché già assolte in procedimenti precedenti. Per mio padre non ci fu alcun processo, solo archiviazioni, escludendo quello intentato dal commissario Calabresi contro Lotta continua che si interruppe per la ricusazione del giudice da parte dell’avvocato del commissario e l’uccisione di quest’ultimo poco dopo.

Nel 2009 Giorgio Napolitano ha invitato la tua famiglia e quella del commissario Calabresi a incontrarsi e stringersi la mano, riconoscendo contestualmente la completa e definitiva innocenza di Pinelli, come auspicio per la costruzione di una «memoria condivisa». Quest’anno Sergio Mattarella ha completato la «rielaborazione» da parte dello Stato, «riabilitando Pinelli e Valpreda», come ha intitolato La Repubblica. La memoria condivisa però si dovrebbe basare sull’ammissione, da parte di due fazioni, delle reciproche responsabilità nella fase violenta e conflittuale della storia di una comunità: in questo caso, essendo una delle due parti – Pinelli e con lui Valpreda, gli anarchici e la sinistra rivoluzionaria – unicamente vittima di un sopruso e di diffamazione, non si rischia di distorcere ulteriormente la verità storica?

L’ex presidente della repubblica Giorgio Napolitano ha riconosciuto la verità storica, ha riconosciuto Pino vittima, due volte, annoverandolo tra le 18 vittime della strage di Piazza Fontana. Il presidente Mattarella quest’anno ha voluto ribadire aggiungendo parole di responsabilità delle istituzioni in quello che è avvenuto. Parole come «Memoria condivisa» o «pacificazione» non ci appartengono, confronto e disponibilità nella ricerca della verità sì. Di mio padre adesso si può parlare, si rivaluta la sua figura di persona impegnata, i suoi valori, i suoi ideali, il suo essere vittima. Ma la sentenza di archiviazione per la sua morte non viene messa in discussione, il malore asserito dal magistrato che supera così sia il suicidio che l’omicidio, rimane e ancora a noi non è dato sapere cosa avvenne realmente in questura quella notte. Sicuramente non ci sono parti contrapposte, da una parte ci fu chi fece, ordì, depistò, dall’altro chi subì la violenza anche di accuse ingiuste e infamanti. Gli uni avevano tutto il potere, gli altri nessuno e solo la tenacia, la perseveranza di persone coraggiose, come mia mamma Licia e giornalisti come Camilla Cederna, sono riuscite a scalfire il muro posto davanti alla nostra e non solo nostra – di tanti se non di tutti – richiesta di verità e giustizia.

Quali sono state le iniziative, il lavoro politico e di memoria realizzato in questo lungo cinquantenario della strage e della morte di Pino Pinelli? In questo percorso quali sono le memorie della strage che avete incontrato?

Le iniziative quest’anno sono state molteplici. Noi abbiamo fatto moltissimi incontri sia nelle scuole che in parti d’Italia mai toccate prima nel tentativo di arginare tutti quelli che mettono le mani in questa storia cercando di edulcorarla con versioni di comodo, ma anche di quelli che si ritengono gli unici detentori del diritto al ricordo e dimenticano che la persona che parla non deve mai diventare più importante di chi viene raccontato, perché questo è un altro modo di strumentalizzare la memoria cercando visibilità. Creare fratture e divisioni in nome di una presunta «purezza» con argomenti pretestuosi è sintomo di un’autoreferenzialità che non può che essere negativa. Sono contenta che tutte le iniziative abbiano avuto un ottimo riscontro, compresa la catena umana musicale che abbiamo accompagnato come famiglia Pinelli da quando ci è stata proposta da alcuni musicisti, e che è diventata un meraviglioso canto corale con una grande partecipazione di persone che hanno cantato e suonato canzoni anarchiche per Pino Pinelli, facendoci sentire quanto ancora sia presente nella memoria di tanti.