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05-03-2019

 

Quando ci si distacca dalla natura, si perde la sacralità della vita

di Paolo Ermani  

 

Quella di oggi «è una civiltà di dominio e competizione», che «deteriora la solidarietà e la collaborazione fino a disintegrarle; fa scempio di aria, acqua, suolo, piante ed esseri viventi nell’apparente ricerca del profitto economico che è, ancora una volta, ricerca del domino e supremazia. Per questo il suo trionfo non può che essere anche la sua fine»: lo splendido nuovo libro di Sonia Savioli, "La vita sacra".

 

La vita sacra (Edizioni Città del Sole) è il nuovo libro di Sonia Savioli in cui fa un esame, estremamente profondo e importante sulla ragione per la quale abbiamo perso la sacralità della vita, aspetto che come specie ci ha contraddistinto per millenni. Una sacralità che ha a che vedere con la spiritualità insita in ognuno di noi che è stata progressivamente abbandonata, con l’abbandono della natura, i suoi insegnamenti e la sua bellezza.

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Tutto ciò è stato spazzato via da quello che Sonia chiama l’uomo di guerra e progresso, che vede nella natura e in tutte le manifestazioni più vicine ad essa, in primis la donna, qualcosa da combattere e soggiogare. Riportiamo alcuni passi salienti del libro della Savioli.

«Per decine di migliaia di anni, in quel lungo tempo della storia umana chiamato “preistoria”, il sentimento del sacro è stato alla base della vita degli individui e della comunità. Ne permeava ogni atto, ogni attività, ogni oggetto. Il materiale e lo spirituale non erano separati: tutta la vita era sacra, tutto dunque era degno di rispetto, tutto era da preservare. Gli elementi, la natura in ogni sua forma, gli esseri viventi, ma anche gli oggetti di uso quotidiano e i luoghi erano permeati di un significato vasto  che li collegava all’universo intero».

In questo contesto si inserisce il cosiddetto “uomo moderno”.

«L’uomo moderno nasce migliaia di anni fa; è l’uomo della gerarchia, della guerra come virtù, della sottomissione della donna. Nasce con la guerra come strumento di dominio, con la ricchezza individuale, con la natura come nemica.  L’uomo di guerra e progresso, della società del domino e della competizione, si è staccato dalla natura ed è diventato indifferente ad essa. Si è staccato per farne merce, per sfruttarla, per utilizzarla come strumento di ricchezza e dominio. Il passo successivo e complementare è stato fare merce dei propri simili; che non sono più simili, una volta divisa in classi la società umana».

Lo stesso oppresso e i popoli oppressi cercano qualcosa sui cui sfogare la propria frustrazione e ne fa le spese la natura.

«Ovunque nel mondo dove l’oppressione e la divisione di classe sono state più acute, profonde e feroci , la “natura” è diventata il bersaglio del rancore, lo sfogo delle frustrazioni, la rivalsa dalle umiliazioni. La natura è, un gradino più su nella scala gerarchica realizzata dall’insania umana, le donne. Se l’oppresso non può o non può più, ribellarsi ai suoi oppressori, per sopravvivere moralmente opprimerà a sua volta chi è alla sua mercé. E’ una legge sociale e culturale, ed è altrettanto inevitabile di qualsiasi legge biologica. L’inerme nei confronti della prepotenza e dell’ingiustizia del potere  cercherà qualcuno inerme nei suoi confronti, sul quale esercitare prepotenza e compiere ingiustizie. Nel migliore dei casi sul quale esercitare un paternalistico dominio. Questo gli consentirà di continuare a mantenere quella minima considerazione di sé che è indispensabile per non essere annientati».

Nelle città la perdita dell’orizzonte spirituale è molto più a rischio vista l’assenza della natura.

«La globalizzazione ha fatto di tutto il pianeta una immensa città. La città industriale e mercantile nasce e si struttura allo scopo di dominare e isolare le campagne; allo scopo di staccarsi e isolarsi dalla natura; allo scopo illusorio e distruttivo, di rendersi autonoma dalla natura. Cioè dalla vita. In essa la divisione della società umana è profonda ed esibita persino nella differenza tra l case, le strade, i quartieri. La città più sviluppata ad evoluta della società di guerra e progresso è la megalopoli circondata dalle baracche. Il distacco dalla natura è distacco dalla vita, è la fine dell’intelligenza».

Interessante la definizione di povertà che dà Sonia Savioli e che si distingue molto da quella attuale dove un popolo è povero se non ha abbastanza soldi.

«Un popolo è povero e servo quando perde la cultura ereditata dai suoi antenati, la cultura che ci lega alla vita, alla natura, agli elementi. Un popolo è povero e servo quando perde la sua cultura ancestrale, le conoscenze trasmesse di genitori in figli e legate al territorio, all’ambiente in cui abita, alla sua terra, al suo clima, alla sua vegetazione, ai suoi abitanti di altre specie, ai suoi frutti e alle sue acque. Un popolo è povero e servo quando perde definitivamente i suoi legami con la natura e smette di essere comunità. Quando non ha più una cultura “sua”, una cultura legata alla sua terra e alla vita che vi si svolge».

In una società che esclude il sacro è inevitabile l’insensibilità e la crudeltà.

«Praticare la crudeltà rende crudeli; assistervi passivamente rende indifferenti .  Si comincia con soffocare la compassione e l’empatia  verso gli esseri viventi di altre specie, e col considerarli alla stregua di oggetti; si continua con la mancanza di compassione per gli esseri della propria stessa specie ma di altre “razze” o classi sociali. A quel punto il declino è inarrestabile. Oggi l’essere umano di guerra e progresso non ha più compassione nemmeno per se stesso».

Gli aspetti della competizione sono centrali per perpetuare la società di guerra e progresso.

«Oggi nel marasma finale della società di guerra e progresso, nell’economia capitalistica globalizzata, che ha creato una gamma infinita di differenze sociali mentre distruggeva l’infinita gamma di differenze culturali, la competizione è arrivata in tutti i recessi della società, in tutti gli angoli del pianeta in tutti i comportamenti umani e in tutti gli umani sentimenti. Schiavi e schiavisti, servi e padroni, popoli dominatori e popoli sottomessi e sfruttati oggi perseguono gli sessi obiettivi, coltivano speranze simili, sono succubi degli stessi miti: il denaro, il potere, il successo e i loro simboli e strumenti».

Il mezzo per tenere tutti sotto scacco è il consumismo che però in teoria ci dà un potere enorme, quello di dire no, rifiutare, boicottare quello che di folle e autodistruttivo ci viene proposto.

«Il consumismo ha completato la distruzione dei popoli e della rete della vita, ma ha messo il potere nella mani dei consumatori. Un potere così grande il comune essere umano, cioè l’ultima ruota del carro imperiale, non l’ha mai avuto da quando esiste la società gerarchica e di dominio. E il potere delle classi dominanti non è mai stato così fragile e precario: un mostro molle e senza arti, che cammina con le nostre gambe, che semina morte e distruzione con le nostre braccia. Un mostro che in teoria , potremmo fermare in un paio di mesi e senza rischi della nostra vita».

La collaborazione e vivere in equilibrio con la natura è la strada da percorrere, altrimenti non ci sarà più nessuna strada.

«La natura di qualsiasi specie sociale, come è quella specie umana, è la collaborazione. La natura di qualsiasi specie animale , come è quella umana, è di vivere in equilibrio con il proprio ambiente e tutte le sue componenti: geologiche , climatiche , vegetali, animali. La civiltà di guerra progredisce distruggendo ambedue queste possibilità. E’ una civiltà di dominio e competizione e deteriora la solidarietà e collaborazione fino a disintegrarle; fa scempio di aria, acqua, suolo, piante ed esseri viventi nell’apparente ricerca del profitto economico che è, ancora una volta, ricerca del domino e supremazia. Per questo il suo trionfo non può che essere anche la sua fine».