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17 lug 2019

 

Broken, quel “foro di speranza” nel muro in Palestina

di Alessandra Mincone

 

Il docu-film del palestinese Mohammed Alatar racconta il lungo processo che portò la Corte Internazionale di Giustizia, 15 anni fa, a dichiarare il muro di separazione israeliano illegale e illegittimo. L’intervista di Nena News al regista

 

Napoli, 17 luglio 2019, Nena News –

 

A Napoli alla sala cinema dell’Asilo Filangieri si è svolta la prima proiezione nazionale del docu-film Broken alla presenza del regista palestinese Mohammed Alatar. Il film, premiato anche dal pubblico all’Al Ard [doc] Film Festival, tratta del processo che si svolse nel 2004, quando la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja su pressione dell’Onu sentenziò l’illegalità del muro di separazione israeliano nei territori occupati della Palestina ma che fu eretto ugualmente perché ritenuto legittimo dallo Stato d’Israele.

Abbiamo parlato con il regista a seguito della proiezione del film, delle esperienze in Asia, Europa e America dove ha potuto intervistare i protagonisti di una vicenda giudiziaria tra le più complicate e contraddittorie a livello mondiale. Il documentario, attraverso un’approfondita inchiesta, fa parlare i legali palestinesi e alcuni giudici della Corte di Giustizia, gli stessi che nel 2004 ammettevano una violazione del diritto internazionale in Cisgiordania e che ancora oggi si stanno chiedendo quando avranno fine i crimini di Israele, uno Stato che con la costruzione del muro ha confiscato terre palestinesi e continua a violare la libertà di circolazione degli abitanti, nascondendosi dietro la narrazione tossica di aver eretto una “barriera di separazione per motivi di sicurezza”.

Quello che invece i palestinesi definiscono “il muro della vergogna” è una costruzione alta otto metri e che corre lungo la Cisgiordania per oltre 700 chilometri. Il muro è protetto da reticoli di filo spinato ed è diviso da numerose porte elettroniche, dove solo le autorità e le forze armate israeliane possono concedere l’accesso e lo spostamento dei palestinesi.

L’invasione del cemento oltre “la linea verde”, confine tracciato nel 1948, negli anni ha prodotto lo sradicamento di ulivi secolari e la sottrazione della terra da coltivare, fino a negare quasi del tutto ai palestinesi l’accesso ai pozzi di acqua potabile, oggi utilizzati da più di 400mila coloni insediati in Cisgiordania. Nei fatti, l’intera costruzione si poggia per il 20% sulla linea verde mentre l’80% del muro sconfina in Cisgiordania, rappresentando il simbolo dell’apartheid nel ventunesimo secolo.

Mohammed Alatar mostra un documentario semplice, diretto, reale. Broken è una pellicola che vuole esprimere il vuoto abissale esistente tra il diritto internazionale e l’applicazione pratica dello stesso diritto”. Parlando a microfoni spenti con i giudici dell’Aja che seguirono il caso, si è reso conto che “erano tutti disillusi sul fatto che la libertà del popolo palestinese e la caduta del muro si possano ottenere nei palazzi di giustizia”, e come ripreso anche nel film, siano sicuri che “i palestinesi non credono più nella giustizia”.

 

CREATOR: gd-jpeg v1.0 (using IJG JPEG v62), quality = 90 Il regista palestinese Mohammed Alatar

 

Un docu-film che suscita una profonda amarezza. Le riprese dall’alto del muro sono una voce più assordante di tutti gli attori coinvolti: gli esperti internazionali di giurisprudenza, i giudici, i diplomatici, i periti e gli ufficiali dell’esercito. Tra gli intervistati c’è anche Dany Tirza, l’architetto che ha progettato il muro oltre la linea verde: “Attualmente è in pensione e gestisce una società di sicurezza, oltre ad aver lavorato alle progettazioni del muro che divide la Spagna e il Marocco e del recente muro voluto da Trump ai confini degli Stati Uniti e del Messico”.

Quando abbiamo chiesto a Mohammed Alatar cosa significa vivere in una prigione a cielo aperto, varcare ogni giorno i checkpoint, ha preferito ricordarsi dei lavoretti con cui si è mantenuto da ragazzino, dei viaggi che ha potuto fare e quelli che farà rivelandoci che presenterà Broken in sei tappe negli Stati Uniti d’America e che lavorerà con Al Jazeera e la Bbc: “Per un artista è importante viaggiare e avere numerose opportunità per la propria creatività. Ma il nostro ruolo, quando cerchiamo di sensibilizzare su una causa di carattere mondiale come quella palestinese, assume una rilevanza politica ed è una responsabilità che dovremmo assumerci tutti”.

Il muro di separazione è due volte più alto e quattro volte più lungo del muro di Berlino: “Sembra davvero incredibile – riflettiamo insieme – eppure la nostra epoca è quella che vede il più alto numero di muri costruiti per separarci”. Se nel 1989 la caduta del muro di Berlino diventava un auspicio storico per abbattere i confini e dimenticare una delle pagine più buie dell’Occidente, a oggi di muri ne possiamo contare fino a 77 in tutto il mondo. “Circondata dalle mura, la città di Betlemme è più piccola del tempo di Gesù. Ma noi palestinesi siamo convinti di una cosa: i muri di cemento non sono indistruttibili. Il muro di separazione, all’ottavo metro di altezza è trafitto da fori che noi chiamiamo fori di speranza”.

Chiacchierando, il senso di amarezza del documentario tende ad acuirsi, eppure quel “foro di speranza” ripreso anche dalla cinepresa acquista maggiore valore. Soprattutto quando Mohammed, riflettendo ad alta voce, conclude: “Gli unici muri indistruttibili sono quelli nella nostra mente”. Nena News