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martedì 29 gennaio 2019

 

«Bird Box Challenge» e altre sfide estreme. Dal web al mondo reale

di Roberto Bortone 

Negli scorsi anni ci eravamo quasi abituati a leggere notizie di "incidenti" assurdi capitati nel corso di sport estremi o di sfide da Guinnes dei primati. Dallo scalare un grattacelo a mani nude fino a lottare bendati contro un leone, dagli angoli remoti di una foresta o nel bel mezzo di una megalopoli, da sempre - giovani e meno giovani - "sfidano" se stessi insieme al buon senso e ad ogni regola di auto-preservazione della specie. Spesso con conseguenze irreversibili. 

 

Nel 1994 fu creato un apposito ironico riconoscimento, il Darwin Award, assegnato a qualsiasi persona avesse "aiutato a migliorare il pool genetico umano rimuovendosi da esso in modo spettacolarmente stupido". L'idea fu di Wendy Northcutt che iniziò a raccogliere le storie nel 1993, quando era studentessa alla Stanford University: diede il via ad una piccola mailing list di suoi amici, e quando questi iniziarono ad inoltrare le e-mail, lei iniziò a ricevere candidature da tutto il mondo. Quando il server dell'università fu sovraccaricato, spostò il progetto sul sito internet dedicato, dove risiede tutt'oggi. 

Venticinque anni dopo, quello che sembrava essere, in fondo, solo un pericoloso - e a tratti ironico - fenomeno "di nicchia" ha subito una radicale trasformazione. Fino a diventare una allarmante manifestazione di disagio psicologico e sociale. La causa? Mai solo una, come sempre. Elenchiamone giusto alcune, diciamo quattro. Per primo sempre lui, ovviamente, il Web con la sua capacità di arrivare in tempo reale da uno a tutti. Poi lo strumento, certamente: dallo smartphone alla Go-Pro, non c'è oggetto tecnologico, nella storia dell'uomo, che abbia conosciuto una diffusione più rapida. Terza con-causa, i mantra della Silicon Valley, per cui "tutto è social" e "tutto è gioco". E così, grazie al web, ai suio strumenti e alla sua cyber-filosofia, il mosaico dei fenomeni sottoculturali giovanili emerge dal letto carsico nel quale erana confinato per invadere, "viralmente", la cultura mainstream (almeno all'apparenza). Certo, avete ragione, manca il quarto fattore. Ve lo dirò alla fine. Vediamo, invece, ancora un po' di esempi concreti.

Vi ricordate gli Emo? Il termine deriva da una corrente musicale nata negli anni ottanta negli USA e - letteralmente - significa "emozionale", "avere emozioni diverse dagli altri coetanei" adolescenti. Nel corso degli ultimi due decenni, gli "emo" sono emersi nella cultura mainstream, soprattutto nella cronaca, principalmente per casi di autolesionismo e suicidio, ma anche di droga, alcolismo, anoressia e bulimia. A chi si riconosceva in quella sottocultura, i mass media hanno voluto ricollegare, in tempi recenti, il fenomeno divenuto noto come "Blue Whale Challeng": attraverso i canali social adolescenti e pre-adolescenti (fin dai 9 anni di età) verrebbero contattati da personaggi che si definiscono “curatori” (o tutor) di questo Blue Whale Challenge – la Sfida della Balena Blu, il cui nome prende spunto dal fenomeno dell'auto-spiaggiamento delle balene (che le condurrà a morte certa). Gli step del "gioco" consistono nel condividere sul web - all'interno di una comunità "chiusa" - le proprie fragilità e soprattutto i "rimedi" con cui si cerca ad esse di rispondere. Ed ecco qui lo "spiaggiamento" verso cui il gioco conduce: ancora autolesionismo, sfide estreme, tentativi di suicidio. Il tutto, appunto "socializzato", nell'estremo tentativo di difendersi dal fantasma terribile della solitudine estrema e dal mostro finale per antonomasia, l'oblio, il non essere contemplati o ricordati da nessuno.

 

Si può morire per un selfie? Precipizi, binari, ponti, parapetti, balconi, finestre. Sono gli scenari dove si consumano quotidianamente le sfide estreme legate al "riconoscimento" del Web per la foto più pericolosa mai scattata fino ad ora...I dati sugli incidenti e le morti in qualche modo riconducibili a questo gesto sono certamente inquietanti. Solo per citarne alcuni, riferibili agli incidenti avvenuti nella rete ferroviaria italiana, si parla di un incremento del 60% dell'indebita presenza di persone sui binari. Qualcuno ha fatto i conti e semprerebbe che, dal 2014 al 2016 ci siano state almeno 150 morti nel mondo causate da un incidente occorso mentre si scattava un selfie estremo. Qalcun altro, ha voluto dare un nome a tutto ciò: ed ecco i Daredevil selfie, dal nome della serie televisiva statunitense e basata sull'omonimo personaggio dei fumetti Marvel Comics. Serie, per inciso, prodotta da Netflix.

 

Esiste una pagina di Wikipedia interamente dedicata a raccogliere queste morti "sospette". Si chiama "List of selfie-related injuries and deaths", dategli un'occhio, è davvero inquientante. Ma se volete capire veramente di cosa stiamo parlando vi conviene andare direttamente su Youtube e cercate i termini che avete già trovato e che troverete in quest'articolo...

 

E così arriviamo all'ultima, ennesima sfida, la Bird Box Challenge, che prende il nome dall'omonimo film, targato ancora una volta, Netflix, che ha avuto un grande successo mondiale e che narra la storia di una donna, una mamma (Sandra Bullock), che deve mettere in salvo i suoi figli in un mondo sotto attacco da parte degli alieni che, con uno sguardo, inducono la gente al suicidio. Per evitare sguardi "alieni" la protagonista (e non solo lei) gira in questo mondo immaginario con gli occhi bendati. Dalla serie tv sono nate prima una serie di meme e parodie, poi il "challenge", la sfida. In migliaia hanno postato video girati in casa come in strada in cui compiono qualsiasi tipo di azione, normalissima, ma con gli occhi bendati. Un fenomeno che ha provocato gesti spesso pericolosi al punto che è intervenuta la stessa Netflix su Twitter ad affermare che: "Non possiamo credere che dobbiano dire una cosa simile, ma: PER FAVOIRE NON FATEVI DEL MALE CON LA BIRD BOX CHALLENGE...".

 

Solitudine, fragilità, debolezza, traumi, deprivazione affettiva e culturale, indigenza. Il desiderio estremo di uscire da tutto questo, di sopravvivere e di essere, almeno per un istante, compresi e felici. Non sono certo questioni sconosciute all'era pre-digitale. Eppure, a questi mali che affliggono l'uomo ad ogni età, quando vengono socializzati attraverso il Web, siamo tentati di dare spiegazioni e risposte nuove, tecnologiche, taumaturgiche. Dove voglio arrivare? Proprio qui, dove vi ho portati con questi esempi. Cioè a dire che una componente fondamentale di questo meccanismo di viralizzazione è il marchio, il brand. E' il quarto elemento che concorre alla spettacolarizzazione - e quindi alla diffusione virale - di fenomeni e atteggiamenti noi e diffusi. Già, proprio così. Lo so, dà fastidio pensarlo e dirlo. Perchè ci rende tutti un po' colpevoli.

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