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22/12/2018

 

La fame dell’oro dell’Occidente 

di Alessandra Ciattini

 

Le banche occidentali fanno di tutto per tenersi l’oro altrui e per non restituirlo.

 

Nel suo celebre libro, Las venas abiertas de América Latina (2004), Eduardo Galeano riporta le parole di un testo nahuatl conservato nel Codice fiorentino [1], che qui traduco “Come se fossero scimmie gli spagnoli sollevavano l’oro, si sedevano soddisfatti, il loro cuore prendeva nuova forza e si illuminava. È certo che sentivano una straordinaria sete dell’oro, se ne inorgoglivano e mostrano di provare una furiosa fame di esso. Come porci affamati anelano l’oro” (p. 43).

A tutta prima si potrebbe pensare che tale fame sia stata provata da soldatesche ed avventurieri estenuati, ma entusiasmati dalle vicende della rapida Conquista del Nuovo Mondo, e che oggi essa costituisca un sentimento del tutto sconosciuto soprattutto tra gente di una certa cultura e di un certo rango sociale. Ma i recenti avvenimenti riguardanti paesi sotto attacco da parte delle potenze imperialistiche mostrano tutto il contrario, benché le informazioni su di esse siano alquanto scarse e contraddittorie.

Seguiamo l’ordine cronologico e cominciamo a parlare dell’oro libico depositato nella Banca centrale libica, una delle poche banche centrali di proprietà dello Stato [2], dove prima della “rivoluzione” del 2011 vi dovevano essere 143 tonnellate di oro (alcuni parlano di 150), mentre le riserve in valuta straniera ammontavano a 321 miliardi di dollari.

Sembra che una parte consistente di queste risorse fosse custodita nella filiale della Banca a Bengasi, dove i cosiddetti ribelli, nel giro di pochi giorni, fondarono il Transitional National Council, quale autentica espressione del popolo libico, rapidamente riconosciuta dall’ONU. Questo nuovo organismo ha costituito una nuova Banca centrale e la Lybian Oil Company, che avrebbe dovuto sovrintendere all’estrazione e alla vendita del petrolio. Ha nominato anche il Governatore della Banca e ha fatto scassinare le camere blindate in cui erano depositati i lingotti e le riserve monetarie. 

Alcuni analisti hanno visto in questa operazione qualcosa di sospetto: i ribelli sarebbero stati usati da qualcuno dalle conoscenze più raffinate in ambito economico e finanziario per trasferire il controllo delle risorse monetarie e petrolifere libiche in altre mani, che gli eventi non lasciano certo sconosciute. 

Un’ipotesi è che l’oro libico sia servito alla Banca d’Inghilterra per restituire nel 2011 a Hugo Chávez le 100 tonnellate di oro che vi erano state depositate e che probabilmente ormai non esistevano più, evitando di ricomprarlo sul mercato e provocando così un aumento del suo valore. Tale trasferimento era avvenuto per garantire i prestiti ottenuti dai governi precedenti a quello di Chávez, e non aveva più ragione di persistere, giacché il Venezuela a quell’epoca aveva pagato tutti i suoi debiti [3]. Altri, invece, parlano di come parte del cosiddetto tesoro di Gheddafi sia stato negli anni contrabbandato per raggiungere gli Emirati arabi uniti; notizia questa sostenuta da fonti vicine ai Fratelli musulmani ostili agli emiri.

Inoltre, Julian Assange ci dice che la guerra contro Gheddafi e la Libia è stata una guerra intensamente voluta da Hilary Clinton perché il petrolio libico era a buon mercato, e perché la distruzione di quel paese, che avrebbe prodotto 40.000 morti e una quantità incredibile di emigranti e un certo numero di jihadisti diretti verso l’Europa, destabilizzando l’Africa del Nord, avrebbe potuto favorire la sua elezione. Tutto ciò è documentato dalle migliaia di email ricevute dalla Clinton dal suo agente Sidney Blumenthal e rese di pubblico dominio.

Altre fonti ci informano (una email ricevuta dalla Clinton il 2 aprile 2011) delle ragioni francesi della guerra alla Libia: oltre all’oro c’era un analogo quantitativo di argento, che avrebbe dovuto servire a Gheddafi per dar vita a una valuta panafricana basata sul dinaro d’oro libico, liberando quei paesi africani francofoni dalla subordinazione al franco francese e alla Francia, cui ancora pagano una tassa per i “benefici” dovuti alla colonizzazione. Progetto che, del resto, avrebbe dato fastidio anche agli Stati Uniti, giacché il leader libico aveva anche intenzione di vendere il petrolio in cambio di oro e non di dollari. D’altra parte, Saddam Hussein era stato fatto fuori prima di Gheddafi, perché nel 2000 intendeva sostituire l’euro al dollaro nella vendita del petrolio, rafforzando così l’Unione Europea, che sarebbe stata il vero obiettivo della futura guerra dichiarata dagli Stati Uniti successivamente.

Da questi elementi si potrebbero ricavare alcune conclusioni: uno scontro tra il colonialismo europeo e francese da un lato, e quello statunitense, dall’altro, un conflitto tra Francia e Italia, che con l’ENI, il nostro vero ministero degli esteri, era ben radicata in Libia, forse anche un disegno destabilizzatore dell’Europa, favorendo l’afflusso dei migranti e dei jihadisti; progetto probabilmente ignorato dagli stessi leader europei. Senza menzionare poi che Nicolas Sarkozy doveva disfarsi fisicamente di Gheddafi che avrebbe potuto rendere noti i finanziamenti alle sue campagne elettorali.

Altre inchieste hanno messo in luce che, benché il fondo sovrano libico istituito da Gheddafi (LIA) sia stato congelato, continui a generare profitti per quelle società, come ENI, ENEL, Fiat-Chrysler, Unicredit etc., nelle quali era stato investito.

Non del tutto diversa è la questione dell’oro del Venezuela, cui recentemente il Sole 24 ore ha dedicato un preoccupato articolo, nel quale si fa presente che lo scorso agosto il governo del Venezuela richiede alla Banca d’Inghilterra la restituzione urgente di 1,4 tonnellate di oro in lingotti dal peso di 12,4 chili ciascuno. Finora neppure un lingotto è stato restituito, sulla base della clausola “La Banca d’Inghilterra si riserva il diritto di non restituire l’oro sovrano in custodia e di impedirne anche la visione”.

Sulla mancata restituzione il quotidiano della Confindustria fa due ipotesi. La prima è che “i lingotti di altre nazioni verrebbero dati in prestito (a loro insaputa) a banche ed hedge fund, o cartolarizzati in Gold Certificates, dietro l’impegno delle parti a non reclamare mai la proprietà dei lingotti alla scadenza dell’operazione”. Pratica questa ovviamente vietata. 

L’altra ipotesi è che si tratti in realtà di un’operazione politica volta a mettere ulteriormente in difficoltà il Venezuela, continuo oggetto delle sanzioni statunitensi, ed accusato da Trump di voler derubare il popolo venezuelano delle sue ricchezze e di volerlo impiegare per beneficare il presidente Maduro e il suo entourage.

Dinanzi a tale comportamento il Sole 24ore fa presente che la stessa banca inglese ha in deposito i fondi in oro di altre 70 nazioni, tra cui l’Italia, che ha affidato alla sua custodia ben 300 tonnellate del prezioso metallo. Queste nazioni hanno consegnato alla Banca di Inghilterra ben 200.000 lingotti che ammontano a 1.500 tonnellate di oro purissimo; inoltre, quest’ultima e la Federal Reserve detengono circa la metà dei 1.360 miliardi delle riserve aurifere mondiali e non sembrano ben disposte alla loro restituzione ai loro legittimi proprietari. Infatti, prima del Venezuela, la Germania della Merkel nel 2017 aveva richiesto indietro alla Federal Reserve le sue 130 tonnellate di lingotti, che ha riavuto solo dopo una lunga trattativa durata circa un anno. E naturalmente la Germania non è il Venezuela. Del resto, chi ha l’autorizzazione a visionare i forzieri di questi fantomatici istituti?

Probabilmente perché lo scenario internazionale è cambiato (lo stesso Venezuela ha varato una nuova moneta ancorata al petrolio, il petro), molti sono i paesi che richiedono di avere indietro l’oro depositato nelle banche centrali della Gran Bretagna e degli Stati Uniti. Infatti, nel giro di qualche anno, la Banca di Inghilterra ha perso il controllo di 400 tonnellate del prezioso metallo, mentre la Federal Reserve si è vista sfuggire circa 7.000 tonnellate tra il 2009 e il 2017, e si è ridotta a controllare solo 5.000 tonnellate.

A questi significativi eventi bisogna aggiungere che la Cina e la Russia si sono accordate per utilizzare sempre più le loro valute nazionali per i mutui scambi commerciali, con lo scopo di fronteggiare la politica finanziaria ostile nei loro confronti sviluppata dagli Stati Uniti. A questo proposito è interessante ricordare che la Russia, la Cina, l’UE hanno elaborato un piano per far sì che l’Iran continui tranquillamente a vendere il suo petrolio, nonostante le sanzioni statunitensi. Il sistema aggirerebbe le transazioni bancarie ed avverrebbe in sterline e in euro, colpendo chi – ha dichiarato Federica Mogherini – ha la pretesa di decidere con chi un paese sovrano debba intrattenere relazioni commerciali. Un altro segno di declino del mostro statunitense minacciato di perdere il signoraggio della sua moneta e di veder dirottati altrove gli investimenti degli altri paesi?


Note

[1] La lingua che parlavano gli aztechi, anche noti come mexica. Conservato in una biblioteca fiorentina, il Codice fiorentino contiene, invece, la Historia universal de las cosas de Nueva España in spagnolo e in nahuatl, terminata dal frate Bernardino de Sahagún nel 1569.

[2] Per chi non lo sapesse anche la Federal Reserve è di proprietà di azionisti privati.

[3] Oltre a ciò annunciò di nazionalizzare l’estrazione dell’oro, prima data in concessione a certe multinazionali, e di tutte le attività ad esso connesse.

 

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