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9 Aprile 2019

 

Decostruzione della democrazia rappresentativa

di Colin Crouch

 

Una volta saltata la diga composta dalle minime garanzie di sicurezza economica e sociale offerte ai cittadini, per le democrazie liberali formatesi nel XX secolo sta suonando il campanello di allarme

 

La democrazia rappresentativa parte dal principio che ogni cittadino sia in grado di identificarsi con un altro individuo o con un partito (principalmente il secondo), accettando che questi possa rappresentare i suoi interessi in Parlamento nel miglior modo. Purtroppo le costituzioni non possono garantire una continua fonte che generi questa identificazione: ci si affida quindi alla storia per crearla. Nella maggior parte dell’Europa dell’ovest, sono stati i conflitti di classe e religione a formare le alleanze di partito del XX secolo. Ma questi scontri sono ormai quasi del tutto dimenticati. Nell’Europa dell’est, i partiti del post-comunismo non hanno lasciato alcuna eredità nel panorama politico attuale. In entrambi i casi, è la nazione la nuova e più potente fonte di identità politica nel popolo, portando alla formazione di nuovi partiti e a modifiche in quelli precedenti che esprimono ostilità verso qualsiasi tipo di estraneo alla nazione – immigrati, altre nazioni, l’economia globale.eUn’immagine particolarmente importante per il nuovo nazionalismo è quella dell’“essere lasciato indietro”. Questo si applica molto facilmente alle comunità che sono state escluse dai radicali cambiamenti della globalizzazione, che hanno visto la loro economia distrutta. Ma descrive anche quelle minoranze più povere e bisognose che da sole sono troppo piccole per generare cambiamenti in grado di modificare il sistema politico di una nazione. “Lasciati indietro” può anche indicare quelle località e quei settori che, nonostante siano prosperi, non sembrano essere inclusi dalla crescita dell’economia globale del XXI secolo. Tutte queste categorie si possono poi combinare in un gruppo aggiuntivo di coloro che si sentono esclusi culturalmente o moralmente dai recenti cambiamenti sociali, credendo che le strutture dominanti della democrazia rappresentativa li estromettano.

Esiste quindi una grande coalizione di differenti tipi di “lasciati indietro”, ed è proprio questa aggregazione che dà a quei movimenti che si fregiano di parlare per loro così tanta risonanza. Un qualunque cittadino che si identifica in alcune parti di questa agenda politica non è necessariamente d’accordo con tutto, ma è possibile che basti quel poco per farlo rispondere alla chiamata del movimento. È necessario capire quali forze hanno prodotto questa situazione e per quale motivo è arrivata al picco di crisi in questi anni.

Gli appartenenti alla sinistra liberale hanno passato la maggior parte degli ultimi venti o trent’anni sentendosi dal lato perdente del conflitto fra il neoliberismo da un lato e lo Stato sociale e i diritti dei lavoratori, dall’altro. Quello che non hanno mai notato è che nelle questioni culturali sono stati dal lato dei vincitori sin dal 1960, spesso in tacito accordo con i neoliberali. Su questioni come il gender e la sessualità, il multiculturalismo e le relazioni fra continenti, e il ruolo della religione nella vita sociale, i valori liberali hanno ottenuto un incredibile numero di vittorie. Persino le istituzioni religiose e militari, oltre ad altri tipi di autorità normalmente considerate conservatrici, sono diventate gradualmente più liberali.

Un cospicuo gruppo di persone è rimasto scontento di alcuni di questi cambiamenti. Credevano in valori molto più conservatori o semplicemente non pensavano di essere in grado di adattarsi a cambiamenti così disorientanti. Dato che questo genere di valori fermi e spesso intolleranti possono se agitati facilmente evolvere in violenza, la maggior parte dei partiti politici affermati ha evitato ogni tipo di associazione con questi temi. Il risentimento è cresciuto, come l’acqua dietro una diga. La diga erano le minime garanzie di sicurezza economica e sociale che le società liberali offrivano ai loro cittadini. I conservatori potevano essere scontenti, ma la situazione non era ancora così insopportabile per loro da necessitare un’azione specifica. Questa condizione è cambiata negli ultimi vent’anni del XXI secolo. Il terrorismo islamico, sebbene gli attacchi siano rari, la crisi finanziaria del 2008 e le sue conseguenze di austerità hanno modificato la concezione della società contemporanea, rendendola molto meno sicura. La diga delle garanzie offerte dalla società liberale aveva ceduto.

Dal XXI secolo, le fazioni politiche all’interno delle società democratiche e in via di “democratizzazione” hanno seguito due assi principali: uno culturale, fra conservatori e liberali; e uno economico, fra egualitarismo e anti-egualitarismo. Problemi relativi a entrambi gli assi hanno contribuito a compromettere la “diga liberale”. Mentre il neoliberalismo ha contribuito a indebolire le forme di sostegno sociale ai più poveri, ha avuto un ruolo molto più prominente nel crash del 2008, che ha portato anche le persone più abbienti a sentirsi insicure e di conseguenza contrarie a condividere il loro prezioso spazio di prosperità e sicurezza con chiunque altro, specialmente gli stranieri, sia immigrati o di altre nazionalità, e qualche volta le donne. Dietro le quinte, la minaccia del terrorismo islamico ha rinforzato sentimenti di chiusura ed esclusione nazionale.

I sentimenti che spingono le persone in questa direzione sono reali e non devono, o non dovrebbero, essere sminuiti dalla democrazia. Il problema per la democrazia è che quando questi sentimenti di insicurezza producono richieste per esclusione e restrizione, diventano rapidamente odio e quindi violenza. Quando questo si combina con movimenti che, in nome “del popolo”, minacciano le istituzioni e il ruolo delle leggi che proteggono la democrazia sostenendo di parlare per lei, devono suonare i campanelli d’allarme.

*Colin Crouch, professore emerito presso l’Università di Warwick autore tra l’altro di Postdemocrazia (Laterza, 2003), ha partecipato alla seconda edizione di Democrazia Minima, Forum sul futuro della Politica e della cittadinanza attiva, promosso dall’Osservatorio sulla Democrazia di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli: una giornata con gli interpreti nazionali e internazionali dedicata al ripensamento del rapporto fra cittadini e istituzioni. La traduzione dell’articolo è di Fondazione Feltrinelli.

 

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