PIC - Quds Press – infopal - 12/3/2019 - Nella notte di lunedì, un giovane palestinese è stato gravemente ferito durante la sua partecipazione a una manifestazione della Marcia del Ritorno al confine di Gaza, ed è morto poche ore dopo. Mousa Mousa, 23 anni, di Deir el-Balah, nel centro di Gaza, è stato ferito in una protesta vicino al confine, il 1° marzo, secondo quanto reso noto dal ministero della Sanità. Mousa è il secondo palestinese morto per le ferite inflitte dai proiettili israeliani negli ultimi giorni. La sua morte ha portato a 271 il numero di palestinesi uccisi dai soldati israeliani dal 30 marzo 2018.


MEMO

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12/3/2019

 

Cosa è accaduto dopo l’indagine dell’ONU sui massacri delle proteste di Gaza?

di Hossam Shaker

Traduzione di Aisha Tiziana Bravi

 

Nell’arco di un solo anno il governo israeliano ed i suoi alti ufficiali militari hanno trasformato la Striscia di Gaza in un luogo di funerali, feriti ed arti amputati. Israele non ha avuto bisogno di seghe primitive per distruggere o recidere le membra; i suoi cecchini ben addestrati, schierati attorno alla Striscia di Gaza, sono stati in grado di farlo. Questi soldati hanno affinato le loro discutibili abilità su migliaia di pacifici manifestanti palestinesi, uccidendoli e ferendoli nel corso del primo anno di proteste della Grande Marcia del Ritorno, iniziata alla fine di marzo dello scorso anno. Tra le loro vittime vi sono stati bambini, medici, giornalisti e persone disabili. 

La leadership di Israele non vedeva l’ora di aumentare i dolori e le sofferenze del popolo palestinese, che però continua le sue manifestazioni pacifiche ogni venerdì. E l’esercito israeliano ha continuato a falciare, uccidere, ferire e rendere disabili in modo permanente i Palestinesi che partecipano alle proteste lungo il presunto confine anche se essi sono disarmati e senza che costituiscano una minaccia per i soldati o per qualsiasi altra persona. Questa è la conclusione a cui è giunta la relazione pubblicata la scorsa settimana dal comitato internazionale d’inchiesta costituito dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. 

Il comitato si è riunito il 18 maggio dell’anno scorso ed ha esaminato con molta attenzione le prove per valutare cosa sia accaduto al confine di Gaza da marzo a dicembre 2018. C’era una quantità enorme di dati che i membri del comitato hanno dovuto esaminare. Hanno documentato oltre 6.000 lesioni causate dalle truppe israeliane, aggiunte ai circa 200 casi di dimostranti pacifici che sono stati uccisi, sebbene non stessero attaccando i soldati in quel momento. A proposito, nessun israeliano è rimasto ferito o ucciso. 

Un altro aspetto del rapporto, ma meno conosciuto, è che il gran numero delle vittime ha ridotto al collasso il già devastato settore sanitario di Gaza. A molti di coloro che sono stati feriti è stata negata la possibilità di essere trasferiti all’estero per le cure mediche; alcuni di loro adesso hanno disabilità permanenti a causa del ritardo nell’ottenimento di cure mediche adeguate; alcuni sono stati trattati quando ormai era già troppo tardi per poter fare qualcosa per loro. 

Il rapporto delle Nazioni Unite è un monito di fronte al mondo sul risultato devastante della risposta israeliana ai manifestanti pacifici che chiedono i loro diritti legittimi. Sicuramente vi sono prove sufficienti per poter accusare le cosiddette Forze di Difesa israeliane e la loro leadership politica di commettere volontariamente un massacro, tuttora in corso, che il rapporto descrive come possibili “crimini contro l’umanità”. 

Il 14 maggio dello scorso anno, in coincidenza col 70° anniversario della Nakba, e con l’apertura dell’ambasciata USA a Gerusalemme, Israele ha superato il suo già vergognosamente alto livello di brutalità. L’omicidio in quella giornata di “almeno” 58 Palestinesi, con migliaia di feriti, ha richiamato alla mente il tristemente famoso massacro di Sharpeville del 1960, in Sudafrica, che ha determinato il punto di svolta nella consapevolezza a livello mondiale del regime di apartheid. La comunità internazionale ha condannato il massacro del 14 maggio nella Striscia di Gaza ma non ha compiuto alcuna azione concreta per fermarla. L’esercito di occupazione israeliana continua ad uccidere e a ferire i Palestinesi indifesi fino ad oggi. 

Gli attacchi deliberati contro i giovani sono intesi chiaramente a creare una generazione di Palestinesi disabili; giovani e donne senza arti sono ormai divenuti un aspetto comune dei quartieri residenziali di Gaza. Lo scopo è quello di punire i Palestinesi per aver avuto il coraggio di manifestare per i loro diritti; l’obiettivo è rompere lo spirito e la volontà collettiva di sollevarsi contro l’occupazione militare delle loro terre da parte dell’esercito. 

La relazione dell’ONU documenta i particolari omessi dalla propaganda di Israele, che ha continuato a raccontare una storia falsa, giustificazioni per gli omicidi di massa e tentativi di incolpare le vittime per la situazione in cui si trovano. Ora possiamo leggere un racconto indipendente relativo agli attacchi di Israele nei confronti di bambini, paramedici, giornalisti e persone disabili durante le dimostrazioni della Grande Marcia del Ritorno. Il problema è, cosa accadrà ora? Quale effetto concreto produrrà il rapporto pubblicato sullo spargimento di sangue delle proteste di Gaza? 

Possiamo certamente affermare che questo rapporto internazionale non scoraggerà il governo israeliano e le sue forze armate dal continuare le uccisioni, i ferimenti e le altre gravi violazioni contro il popolo palestinese. E’ stato già preceduto da numerosi altri rapporti ignorati dai governi israeliani succedutisi, ai quali è sempre stato consentito di agire con impunità e disprezzo per le leggi e le convenzioni internazionali. 

L’ultimo rapporto dell’UNHRC rappresenta quindi una nuova prova dell’efficacia delle istituzioni della comunità internazionale e dell’applicazione pratica delle loro procedure. Le conclusioni a cui si è arrivati non possono essere semplicemente ignorate; il rapporto non può essere qualcosa da leggere e lasciato poi su uno scaffale. Devono seguire misure e risposte serie, come sicura è la notte che segue il giorno, come la prosecuzione dei responsabili dei crimini documentati dal comitato in conformità col sistema internazionale della giustizia penale. I militari israeliani possono aver premuto il grilletto, ma non avrebbero potuto uccidere e ferire così tanti Palestinesi se fossero stati da soli; hanno avuto bisogno del sostegno politico per poterlo fare. Le persone che hanno l’autorità di poter dare ai cecchini il semaforo verde per agire sono a noi note, compresi i membri del comitato di inchiesta. Se questo rapporto dovesse avere un qualche significato o valore, questa gente deve essere perseguita immediatamente. La giustizia lo chiede. L’impunità di Israele deve finire.

 

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