il Manifesto

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27 mar 2019

 

Netanyahu rifiuta la tregua con Hamas e sceglie il pugno di ferro

di Michele Giorgio  

 

Tornato dagli Usa il premier israeliano ha annunciato di essere pronto a dare il via a una nuova ampia operazione militare contro Hamas. Pesano le pressioni dei suoi avversari politici e il voto del 9 aprile

 

Roma, 27 marzo 2019, Nena News –

 

Non deve indurre in inganno la calma relativa che ha regnato ieri lungo le linee tra Gaza e Israele dopo i pesanti bombardamenti sul territorio palestinese compiuti dall’aviazione israeliana dopo il lancio di un razzo su una abitazione civile (7 feriti) a Mishmeret, a nord di Tel Aviv. La tensione era molto alta ieri sera. Il baratro di un’offensiva israeliana resta vicino. Rientrato dagli Usa, Benyamin Netanyahu ieri, al termine della riunione del gabinetto di sicurezza, ha scelto la linea del pugno di ferro: niente tregua con Hamas e invio di altri rinforzi di truppe, mezzi corazzati e artiglieria verso Gaza.

Decisione anticipata poco prima dalle frasi che ha pronunciato in collegamento via satellite con la conferenza dell’Aipac a Washington. «Posso dirvi che siamo pronti a fare molto di più. Faremo quanto necessario per difendere la nostra gente e il nostro Stato. Hamas deve sapere che non esiteremo a entrare (a Gaza) e fare i passi necessari», ha detto rivolgendosi a una platea di sostenitori di Israele. In serata si è appreso del richiamo di altri riservisti. I tweet dei media israeliani hanno laconicamente avvertito che nuovi attacchi su Gaza potrebbero avvenire in qualsiasi momento.

Non è solo “teatro” da campagna elettorale, come afferma o scrive qualcuno. Proprio il voto del 9 aprile potrebbe essere il motore di questa possibile offensiva israeliana. A spingere sull’acceleratore della guerra non sono solo i rappresentanti dell’opposizione che accusano Netanyahu di non garantire la sicurezza di Israele. Nella maggioranza di destra al governo i capi di partiti piccoli e grandi gareggiano in estremismo. Da due giorni ognuno di loro sostiene, durante i comizi e le apparizioni televisive, di possedere la “ricetta” giusta per schiantare il “nemico Hamas” a Gaza. «Se fossi io il ministro della difesa saprei come mettere fine ad Hamas una volta e per tutte», ha proclamato perentorio il ministro (ultranazionalista) Naftali Bennett attaccando frontalmente Netanyahu che oltre ad essere premier mantiene ad interim la difesa. E Netanyahu, che non è certo noto per essere un moderato, anzi, è impegnato a non farsi superare a destra. Nonostante manchino solo due settimane alle elezioni potrebbe ugualmente dare il via ad un’operazione di breve durata – solo qualche giorno per evitare che i razzi da Gaza costringano la sua popolazione per un lungo periodo a vivere tra casa e rifugi – ma di eccezionale potenza distruttiva nel tentativo di imporre la resa alle formazioni armate palestinesi e di presentarsi il 9 aprile, all’apertura delle urne, come il leader forte e irriducibile agli occhi degli elettori.

I civili palestinesi hanno avuto lunedì notte un assaggio di quanto potrebbe essere devastante un altro attacco israeliano, molto più di quello del 2014, dal quale Gaza non si è ancora ripresa. I resoconti giornalistici ieri si sono concentrati sulle sedi di Hamas e le basi della sua ala armata rasi al suolo dalle bombe israeliane, sottolineando il basso numero di feriti. Hanno trascurato i danni gravissimi che i missili sganciati dai bombardieri israeliani hanno provocato a dozzine di case adiacenti agli edifici colpiti. Molte famiglie hanno perduto tutto oltre alle loro case, danneggiate in modo irreparabile. I fotografi di Gaza hanno diffuso immagini di donne disperate, in lacrime, di bambini con la paura stampata in volto seduti sulle macerie della abitazione dove avevano vissuto fino a qualche ora prima e delle voragini enormi aperte dalle esplosioni. Sono state ore di tensione anche per gli israeliani che vivono nei centri accanto a Gaza: pochi i danni causati dal lancio di razzi ma gli allarmi sono stati continui e non pochi di loro hanno trascorso la notte nei rifugi.

Intanto fonti ufficiali israeliane, citate ieri dal Times of Israel, ieri sostenevano che il riconoscimento della “sovranità” israeliana sul Golan siriano fatto da Trump prelude ad un riconoscimento Usa anche di «altri territori» occupati da Israele. Hassan Nasrallah li ha subito identificati. Secondo il leader di Hezbollah il presidente americano presto riconoscerà la sovranità dello Stato ebraico anche sulla Cisgiordania palestinese. Nena News

 

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