Fonte: il manifesto

https://comune-info.net/

12 Settembre 2019

 

Tutta la terra, ma senza “arabi”

di Michele Giorgio

 

A pochi giorni dal voto, Netanyahu è sempre più scatenato. Per convincere la destra che in Israele pensa che la sua politica dell’Apartheid sia troppo morbida, era pronto ad annettere la Valle del Giordano già la scorsa settimana. Ma il 30 per cento della Cigiordania, per il premier uscente, è solo un antipasto. Il suo obiettivo è di annettere tutta la terra in cui sono stati mandati i coloni israeliani, cioè quasi l’intero territorio palestinese occupato nel 1967. Quella terra, però, deve essere ripulita dalla presenza degli “arabi”. Il nemico “arabo” va spazzato via ovunque, anche se è legalmente cittadino israeliano. Perché, sebbene magari non lo dica apertamente, di certo starà pensando e pianificando la distruzione dello Stato ebraico. Che dipenda dalle difficoltà interne o dall’invasato sostegno di Trump, il voto del 17 settembre, questa volta, sembra quello dell’Apocalisse. Le critiche a questa nuova e inaudita offensiva espansionista israeliana, da parte del mondo arabo, dell’Unione Europea e dell’Onu, sono unanimi quanto tiepide

 

La Turchia denuncia, la Siria punta il dito contro l’espansionismo israeliano, la Giordania minaccia di sospendere il trattato di pace. Quindi l’Ue e l’Onu condannano e persino la compiacente Arabia saudita è costretta a criticare Benyamin Netanyahu. Infine il presidente palestinese Abu Mazen avverte, per l’ennesima volta, che annullerà gli accordi se Israele si annetterà anche solo una porzione della Cisgiordania. È solo una parte delle reazioni contrarie all’annuncio fatto due giorni fa dal premier israeliano: se vincerò le elezioni annetterò a Israele la Valle del Giordano e il nord del Mar Morto. Ossia il 30% circa della Cisgiordania. Netanyahu in realtà punta a molto di più. Parla di annessione delle aree con tutti gli insediamenti coloniali ebraici, quindi di quasi tutto il territorio sotto occupazione dal 1967. Però senza le città, i villaggi e i piccoli centri dove vive la popolazione palestinese. Vogliamo la terra, non gli “arabi”. Non è un obiettivo nuovo.

 

Netanyahu era pronto ad annettere la Valle del Giordano già la scorsa settimana, anche per infliggere un colpo fatale alle speranze dell’opposizione di vederlo sconfitto alle elezioni del 17 settembre. Ma il procuratore generale, Avichai Mandelblit, si è opposto. Non perché la mossa annunciata del premier rappresenti una violazione della legalità internazionale – si tratta di un territorio occupato – ma per rispetto delle regole istituzionali interne. Un governo ad interim come quello in carica non può prendere decisioni così importanti. Lo stesso premier lo spiega in un video su Facebook, rispondendo a chi in Israele, opposizione e ultradestra, lo accusa di aver usato il tema dell’annessione a solo scopo elettorale.

 

Quanto sarà stata vincente o inutile la mossa in Cisgiordania si capirà solo alla chiusura dei seggi elettorali martedì prossimo. Netanyahu comunque va avanti come un rullo compressore e nello scorcio finale della campagna per il voto del 17 settembre si è impegnato nel suo abituale cavallo di battaglia: convincere l’elettorato di destra che gli “arabi”, inclusi quelli che sono cittadini israeliani, sono coalizzati e con l’aiuto dell’opposizione di centrosinistra pianificano la distruzione dello Stato ebraico. Per tutto il giorno l’account Twitter del primo ministro ha diffuso tweet apocalittici ed esortato l’elettore di destra a votare e a far votare per fermare gli “arabi”.

 

Nel frattempo crolla l’economia palestinese sotto occupazione israeliana, colpita da una crisi arrivata a un «punto di rottura» avverte l’Unctad(United Nations Conference on trade and development). I livelli di povertà crescono assieme alla disoccupazione e al degrado ambientale a causa del drastico calo del sostegno internazionale, delle misure punitive applicate da Israele e delle dispute tra l’Anp di Abu Mazen e il governo Netanyahu.

https://www.lantidiplomatico.it

13/09/2019

 

Netanyahu scatenato: annuncia possibile attacco a Gaza e vuole mano libera in Siria contro l'Iran

 

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in vista della prossime elezioni legislative non conosce freni, prima annuncia un possibile attacco a Gaza e poi al presidente russo Vladimir Putin dichiara che al suo Paese deve essere consentito di agire liberamente contro l'Iran.

 

Netanyahu in primis ha affermato che "sembra che non ci sarà altra scelta che intraprendere una campagna su vasta scala a Gaza".

 

L'incontro con Putin, che è stato il primo da diversi mesi, si è anche incentrato su un maggiore coordinamento tra Russia e Israele in Siria, secondo quanto riportato dai media israeliani.

 

"Il coordinamento della sicurezza tra di noi è sempre importante, ma è particolarmente importante ora, poiché nell'ultimo mese c'è stato un serio aumento dei tentativi da parte dell'Iran di colpire Israele dalla Siria e di piazzare missili di precisione da usare contro di noi", ha affermato Netanyahu all'inizio dell'incontro.

 

L'incontro ha luogo pochi giorni dopo che Israele ha presumibilmente attaccato una base appartenente a una fazione paramilitare irachena sostenuta dall'Iran nella città siriana di Albukamal.

 

Mentre Hezbollah ha negato qualsiasi perdita, i rapporti locali hanno riferito che durante gli attacchi sono stati uccisi fino a 18 combattenti iracheni.

 

Israele non ha ancora commentato queste accuse; non hanno inoltre confermato che i loro aerei da guerra erano alla base degli attacchi del 19 luglio alla base di Hashd Al-Sha'abi (Unità di mobilitazione popolare) nel Governatorato iracheno di Salaheddine.

 

L'Iraq ha dichiarato che continua ad indagare ancora sull'attacco, ma diversi funzionari hanno già incolpato Israele per queste incursioni.

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