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19.01.20

 

La fiducia arriva a Sodoma

di Marco Della Luna

 

Huxley, Orwell, Pasolini

 

In principio era la fiducia, la fiducia nel progresso, nella giustizia, nella democrazia, nella società liberale aperta, nel benessere garantito, nella crescita illimitata. Col benessere venne la società huxleyana, del piacere, del divertimento, del consumismo, della droga popolare, dei diritti inflazionati, del rilassamento, in cui si assopirono la coscienza di classe, la vigilanza razionale, la partecipazione attiva, perché si evitava tutto ciò che non diverte e che responsabilizza, rendendo così superfluo il controllo dell’informazione; finché le masse persero la loro rilevanza economica, quindi al potere di contrattazione (v. il mio Oligarchia per popoli superflui, Aurora Boreale, 2a ed., 2018). E persero, nell’individualismo edonista atomizzante, pure la capacità etica di esserlo. E le loro minoranze leggenti e pensanti persero la capacità psichica di essere un soggetto politico pro-attivo.

Allora, il sogno huxleyano, basato sulle gratificazioni rimbecillenti che creano consenso sociale, ha iniziato a offuscarsi e trasformarsi in incubo orwelliano, basato sulla paura e sulla rabbia che fanno accettare tutto: la trasformazione è iniziata con le grandi angosce lanciate dai media su terrorismo globale, disastri finanziari, crolli economici, sovraindebitamente, crisi climatiche, esaurimento delle risorse, precarietà irreversibile; ed è passata per le grandi privatizzazioni di funzioni pubbliche, le cessioni di sovranità statale, l’imposizione di un pensiero unico, fino ad arrivare alla società tecno-controllata e tecno-macellata (cominciando con la Grecia) da un’oligarchia globale che sta dietro le varie Angela, Ursula, Christine, Hillary ed Emmanuel[le]. Un’oligarchia che mostra esattamente i tratti psicologici e comportamentali dei signori della villa nel film Salò, o le centoventi giornate di Sodoma, ultima opera di Pierpaolo Pasolini. In essa, il geniale poeta e regista non descriveva le gesta trascorse di alcuni perversi gerarchi fascisti (gesta invero mai avvenute), ma ci preavvertiva del tipo di sistema politico a cui eravamo portati e in cui adesso siamo arrivati.

Gli studi sociologici e psicologici hanno ben analizzato il progressivo scadimento delle facoltà psichiche prodotto dalla fase huxleyana anche sulla minoranza leggente-pensante (ossia su quel 3 o 4% della società che si informa e riflette sul ‘mondo’ studiando e discutendo la saggistica, anziché recepire passivamente quel che passano i mass media), cioè su quell’aliquota del corpo sociale che genera i mutamenti culturali. Marshall McLuhan giustamente osservava “il mezzo è il messaggio”, ossia che ciò che il mezzo di comunicazione trasmette è innanzitutto le sue proprie caratteristiche comunicative (e poi il contenuto): così la televisione trasmette innanzitutto il suo modo di comunicare, che è diverso da quello del libro e dell’oratore. Ossia, comunicando in un certo modo, impianta nel ricevente un corrispondente modo di ricevere. Il motto “il mezzo è il messaggio” è però riduttivo: il mezzo è, ancor più profondamente, lo stampo, in cui versa e riconfigura la psiche del ricevente: la psiche del soggetto avvezzo a informarsi e divertirsi via televisione o simile (video, play station) funziona diversamente, sia in quanto alla cognizione che in quanto alla emozione, da quella del soggetto che non lo è; e queste diversità si traducono in diversità del comportamento anche relazionale e politico. Il mezzo, dunque, è, letteralmente, in-formazione, nel senso che non si limita a consegnare un messaggio, ma (ri)forma la psiche, la informa a sé. I modi in cui ciò avviene e gli esiti che ha prodotto, sono descritti dalla ricerca scientifica. Per una esposizione ordinata, rinvio a Neuroschiavi(mio e di Paolo Cioni, Macroedizioni, 4a edizione); a Tecnoschiavi (mio, ed. Arianna, 2019), a Demopatia, di Luigi Di Gregorio (Rubbettino, 2019); e, per gli effetti neurofisiologici del piccolo schermo sullo sviluppo mentale, a The Brain that Changes itself (Norman Doidge, 2008).

Nelle succitate opere troverete spiegazioni analitiche e approfondite, a 360° gradi; qui mi devo limitare a qualche esempio. Per millenni, prima dell’introduzione della scrittura, il sapere e i miti erano tramandati oralmente. Ciò allenava e sviluppava le facoltà mnemoniche da un lato, ma dall’altra impediva l’esegesi dei testi, la verifica dei nessi logici, della coerenza sistemica – tutte cose che richiedono di poter tornare indietro, confrontare diverse pagine, prendere appunti, etc. La Metafisica di Aristotele -osserva Di Gregorio- poteva nascere ed esistere solo come opera scritta, per non parlare del sistema delle norme di un ordinamento giuridico complesso. L’esteso uso della scrittura indusse l’incremento delle facoltà logiche, dello stabilire nessi, del costruire contesti, del formulare critiche, del verificare le prove e le dimostrazioni.

L’avvento della televisione (e poi dei video del web) e la sua massiccia diffusione (a scapito della lettura) come mezzo sia di informazione che di intrattenimento, ha prodotto una situazione in cui il soggetto riceve passivamente, sa del mondo ciò che gli si mostra, e in cui si punta essenzialmente a suscitare emozioni per catturare e mantenere l’attenzione, ricorrendo al sensazionalismo, alla rapida successione, all’estrema semplificazione, ai dibattiti superficiali e contumeliosi; ed evitando ciò che rallenta e rischia di abbassarla, come l’approfondimento, il dibattito serio sul merito, le complessità e le incertezze della realtà, la verifica e la dimostrazione. 

Rispetto all’era della lettura, il ricevere passivamente lasciando guidare la propria attenzione ha atrofizzato la capacità di attenzione selettiva, volontaria, autoimposta. E lo spettacolarismo emotigeno ha avvezzato a non usare e non sviluppare la riflessione, il ragionamento, il dubbio critico, la verificazione, la contestualizzazione, il confronto. E il tipo particolare di stimolazione neurofisiologica del monitor ha portato, soprattutto nei fanciulli, a un indebolimento delle facoltà cognitive e mnemoniche, descritto da Doidge. La televisione commerciale ha massimizzato, nella ricerca del profitto pubblicitario via audience, le suddette caratteristiche, e per giunta ha costretto i media stampati ad allinearsi, per mantenere una sufficiente tiratura. Nell’uomo che riceve la ‘realtà’ immediata comodamente cogliendola dallo schermo, col suo contorno emotigeno, si atrofizza l’elaborazione e la concettualizzazione, in favore di un pensiero regressivo, realistico-concreto (in senso piagetiano), mentre i problemi importanti, i nessi causali, i rapporti storici sono comprensibili solo concettualmente, non per immagini. Le immagini emotigene bloccano l’attenzione su ciò che è visualizzabile, e impediscono così di capire il resto. A un livello superiore, si indebolisce la facoltà, esclusiva dell’uomo, di discorrere di se stesso, del proprio pensiero, del proprio dire e rappresentare. Buona parte della minoranza leggente e pensante è finita sotto questi effetti della televisione, assimilando il modo distorto, impoverito e frammentato di percepire il mondo, a cui essa educa; e in tal modo ha perso buona parte del suo potenziale critico-creativo dei modelli socio-culturali. E’ stata politicamente neutralizzata attraverso i suoi canali emotivi.

Detta così, la cosa può sembrare circoscritta al piano teorico, ma il suo impatto sociopolitico è molto pratico, ha cambiato il sistema, ha destrutturato l’opinione pubblica e i comportamenti politici. Ha prodotto il passaggio, nel comportamento d’insieme, dall’uomo-massa di Ortega y Gasset all’uomo-folla di Gustave Le Bon, totalmente emotivo e privo di ragionamento (Di Gregorio, cit., 76 ss.): dalla dissoluzione della sintassi del pensiero alla dissoluzione della sintassi della socialità, dopo decenni di esposizione al mezzo-messaggio psico-riconfiguratore del monitor tv e pc. 

Quanto sopra rende semplicemente impossibile l’esistenza di un’opinione pubblica informata e ragionante, quindi di una partecipazione o anche una consapevolezza dal basso rispetto alle policies del potere. E, contrariamente alle ottimistiche previsioni di alcuni, internet non ha affatto prevenuto la disinformazione e il degrado cognitivo di massa. Non ha avuto un effetto ‘democratizzante’ – tutt’altro: fornisce potentissimi strumenti di disinformazione, manipolazione e profilazione, oltre a compromettere ulteriormente le funzioni psichiche, tanto che si configura una sindrome di “demenza digitale”, descritta dallo psichiatra Manfred Spitzer in Demenza digitale (Garzanti 2013), assieme a un ‘inconscio informatico’ costituito da tutti i dati e gli algoritmi con cui le persone interagiscono più o meno attivamente nei rapporti con la rete, e attraverso cui viene studiata, prevista è indirizzata nei suoi comportamenti collettivi e individuali dai padroni della rete stessa mediante tecnologie e codici privati, in totale esenzione da qualsiasi responsabilità, rendicontazione e trasparenza. Si può parlare di un radicale anti Umanesimo reale. Quanto sopra sembra completamente sfuggire all’attenzione di coloro che propongono azioni di contestazione, resistenza o rivoluzione popolari.

In conclusione: la contemporanea fine della politica pubblica, anzi la fine della possibilità a priori della politica pubblica, non è dovuta soltanto al fatto che il potere effettivo, operante in isolamento tecnocratico, non lascia più uno spazio decisionale effettivo a una politica pubblica, a porte aperte; ma anche al fatto che è venuto meno un soggetto pubblico davanti a cui la si possa fare. Restano una audience puntinistica, e una compagnia di teatranti della politica, sostanzialmente uomini di spettacolo, seguiti per le loro capacità comunicative, concentrati sui sondaggi e sull’immagine, privi di reale competenza, soggetti a rapida obsolescenza.

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