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2 marzo 2020

 

Il regime cinese arresta chi rivela la verità sul virus

di Eva Fu

 

L’ultimo bersaglio della repressione del regime cinese contro la libertà di parola, nel bel mezzo dell’epidemia del nuovo coronavirus, è un ex giornalista della tv, arrestato a Wuhan il 26 febbraio.

 

Il venticinquenne Li Zehua, un ex collaboratore dell’emittente televisiva statale cinese Cctv, ha deciso di prendere un treno per Wuhan circa due settimane fa: voleva verificare le cose con i suoi occhi e le sue orecchie.

Nei giorni successivi ha visitato luoghi come la comunità di Baibuting (dove per via di un banchetto a cui hanno partecipato più di 40 mila famiglie, tutta la comunità si è ammalata), un’agenzia di pompe funebri e una stazione ferroviaria locale.

La notte del 26 febbraio, alcune ore dopo aver visitato la zona intorno al laboratorio di virologia di proprietà dello Stato, diversi agenti di polizia si sono presentati al suo hotel.
Dopo aver sentito bussare alla porta, Li ha iniziato a trasmettere in diretta il video, dove è apparso frustrato, dicendo di non aver fatto nulla di male, e raccontando un momento a suo dire molto surreale: «Prima, quando accendevo la videocamera per parlare, era sempre per altre persone. Oggi finalmente lo faccio per me, anche se dovesse essere l’ultima volta».

Alla fine, Li ha fatto entrare la polizia e poco prima che essa interrompesse il video in streaming, ha affermato: «È improbabile che io non venga portato via e messo in quarantena, ma voglio che sia chiaro: non mi vergogno di fronte a me stesso, né ai miei genitori […] né a questo Paese…».

Li è il terzo giornalista locale arrestato per aver riportato informazioni non filtrate, da Wuhan.
Il 10 febbraio, due giorni prima che Li si stabilisse a Wuhan, la polizia aveva fatto irruzione nella casa del residente locale Fang Bin, che aveva postato un video virale che mostrava otto cadaveri all’interno di un furgone parcheggiato vicino a un grande ospedale.
La stessa settimana, Chen Qiushi, un video blogger che si era recato da Pechino a Wuhan a fine gennaio, è scomparso.

 

Censura online

In un’e-mail inviata a Epoch Times, Patrick Poon un ricercatore cinese per i diritti umani di Amnesty International, ha scritto che l’arresto di Li è molto preoccupante: «Mostra la tolleranza zero del governo nei confronti delle persone che smascherano la verità, siano essi comuni cittadini o coloro che hanno operato per il governo. I video che Li ha postato hanno fatto innervosire il governo cinese che vuole coprire e non esporre la reale situazione sul campo».

 

Un uomo di nome Tu, residente nel Guangdong, è stato incarcerato per quindici giorni, per le sue «osservazioni dispregiative» sul principale esperto cinese di controllo delle epidemie, Zhong Nanshan, e sul regime cinese. I procuratori della città di Zhongshan dove Tu vive, hanno ritenuto che tali osservazioni costituissero una violazione della legge. In seguito Tu ha pubblicato delle scuse pubbliche scritte a mano e impresso le sue impronte digitali sul documento.

Il giurista e attivista per i diritti civili Xu Zhiyong, è stato arrestato nel Guangdong a metà febbraio, pochi giorni dopo aver scritto una lettera pubblica polemica che invitava il leader cinese Xi Jinping a dimettersi per la sua «incapacità di gestire le crisi», compresa l’epidemia da coronavirus.

Nelle ultime tre settimane, Huang Yang, uno schietto attivista della città di Chongqing, è stato convocato dalla polizia quattro volte per aver diffuso informazioni critiche del regime su WeChat, una popolare piattaforma cinese di social media.

In uno screenshot di una discussione su WeChat del 14 febbraio, che Huang ha fornito a Epoch Times, si legge il riferimento al dottor Li Wenliang (deceduto per aver contratto il virus da un paziente da lui curato), uno degli otto medici professionisti che hanno ricevuto un avvertimento dalla polizia per aver dato l’allarme sul pericoloso virus.

Huang ha scritto che la tragica morte di Li dimostra che la propaganda delle autorità, secondo cui la sopravvivenza e i diritti umani sono importanti, è falsa: «La libertà di parola dei cittadini è inseparabile dai loro diritti alla sopravvivenza». Huang è stato interrogato dalla polizia il giorno dopo.

Inoltre, un documento governativo ottenuto di recente da Epoch Times, mostra che la sola provincia dell’Hubei ha dispiegato più di 1.600 troll su internet per valorizzare i commenti positivi relativi all’epidemia ed eliminare le osservazioni negative.

 

Non si torna indietro

Hu Jia, un attivista con sede a Pechino e critico di spicco del Partito comunista cinese (Pcc), ha dichiarato di essere agli arresti domiciliari dal 15 gennaio, per il suo attivismo sull’epidemia e a favore degli avvocati per i diritti umani che sono stati arrestati durante la repressione di fine anno 2019 in Cina.

 

Nelle ultime settimane, la polizia ha visitato più volte i suoi genitori ottantenni in difficoltà, per fare pressione su Hu. In un incontro, gli agenti hanno detto chiaramente a Hu di tacere o la sua famiglia sarebbe stata «rovinata».

Hu ha spiegato che dopo aver saputo dell’arresto di Li Zehua, ha guardato il suo video ed è rimasto impressionato dal suo grande coraggio nell’affrontare il regime: «Lui voleva scavare la verità in prima linea nella vita e nella morte […] per registrare l’evolversi della storia. Il Pcc sta usando la polizia, il sistema di sicurezza e le prigioni per condurre una guerra asimmetrica nel sopprimere i diritti politici dei cittadini, Incatenando chiunque cerchi di dire la verità […] e rinchiudendolo in prigione: questa è la loro tipica tattica».

Hu racconta che nel video, pochi istanti prima di far entrare la polizia nel suo hotel, Li Zehua si è paragonato al protagonista di The Truman Show, un film di fantascienza del 1998, il cui protagonista vive tutta la sua vita in un reality show televisivo simulato, fino a quando non decide di scappare: «Penso che tutti siano come Truman […] quando scopri quella porta e la oltrepassi, non torni più indietro».

 

 

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