Originale: Richardfalk.com

17 maggio 2020

 

Geopolitica delinquenziale nella giungla globale

di Richard Falk

Traduzione di Giuseppe Volpe

 

[Nota preliminare: ripubblicazione dell’articolo d’opinione pubblicato su Al Jazeera English (AJE) il 13 maggio 2020. Il collegamento è:

 https://www.aljazeera.com/indepth/opinion/gangster-geopolitics-israel-annexation-plans-200511154825347.html. Il testo pubblicato su AJE è stato leggermente modificato].

 

Preliminari di annessione

Questi sono i più strani dei tempi. Su questo quasi tutti sono d’accordo.

Vite in tutto il pianeta sono strappate o dal COVID19 o in conseguenza dei suoi devastanti sconvolgimenti sociali ed economici. In un momento simile non sorprende certo che il meglio e il peggio dell’umanità sia messo in mostra.

Tuttavia quella che pare peggiore oltre persino queste paure è la persistenza di una geopolitica delinquenziale nelle sue varie manifestazioni.

L’intensificazione delle sanzioni statunitensi nel mezzo di una crisi sanitaria contro società già gravemente colpite e popolazioni sofferenti come Iran e Venezuela è un esempio impressionante. Questo sfoggio del primato della geopolitica è evidenziato dai suoi rifiuti di numerosi appelli umanitari di alto profilo per la sospensione delle sanzioni, almeno per la durata della pandemia. Invece di sospensione ed empatia scopriamo una Washington sorda che intensifica la sua politica di “massima pressione”, cogliendo perversamente l’occasione per aumentare il livello della sofferenza.

Un’altra storia sinistra è la macabra danza israeliana intorno alla dirompente illegalità dell’impegno all’annessione che Netanyahu ha promesso di attuare già a luglio, avendo il consenso del suo rivale, partecipe del potere, Benny Gantz, per procedere senza necessità di ottenere l’assenso del co-leader della sua coalizione. Non è nemmeno controverso insistere che ogni annessione di territorio palestinese occupato viola direttamente norme fondamentali della legge internazionale. Forse a causa di ciò Israele è in procinto di annettere senza nemmeno tentare di offrire giustificazioni legali per ignorare la norma diffusamente sottoscritta e rigidamente interpretata che a uno stato sovrano non è consentito annettere territori stranieri acquisiti con la forza.

Questo esempio di annessione comporta, inoltre, un ripudio estremo della legge umanitaria internazionale come incorporata nella Quarta Convenzione di Ginevra. Corrisponde a una mossa unilaterale di Israele di cambiare lo status del territorio nella West Bank da quello di occupante, dal 1967, a quello della propria autorità territoriale sovrana. Ignora anche l’impegno legale di Oslo II (1995) di trasferire per fasi alla Palestina la giurisdizione sull’Area C della mappa amministrativa post Oslo della West Bank. E inoltre tale annessione contemplata sfida direttamente l’autorità dell’ONU, che con uno schiacciante consenso continuo considera la presenza di Israele nella West Bank, a Gerusalemme Est e a Gaza come unicamente basata sulla forza e sull’occupazione, rendendo ogni modifica dipendente dalla preventiva espressione ufficiale del consenso palestinese, che è persino difficile immaginare sia mai concessa. Non solo l’annessione è illegale, ma ha il potenziale di essere regionalmente esplosiva, agitando vicini, specialmente la Giordania e forse l’Egitto, e sfida il continuo attaccamento europeo zombie a una soluzione a due stati.

Quello che è stato generalmente trascurato nell’estesa copertura giornalistica del piano di annessione è che non solo ignora l’autodeterminazione palestinese, ma ‘dimentica’ anche che l’ONU ha la promessa non mantenuta e la responsabilità di trovare una soluzione giusta per la Palestina che ha ereditato dal Regno Unito che aveva amministrato il territorio tra le due guerre mondiali. Quella che persino nei giorni della Lega [delle Nazioni] era stata una ‘responsabilità sacra’ diviene nell’era della geopolitica delinquenziale post-coloniale un ‘gratuito disprezzo’.

 

Gli israeliani insistono che l’annessione è una questione di ‘sicurezza’

Per tutti questi motivi non sorprende che pesi massimi israeliani, tra cui ex capi del Mossad e dello Shin Bet, nonché ufficiali in pensione della sicurezza dell’esercito (IDF), stiano lanciando un allarme. A questo punto alcuni sionisti militanti si oppongono all’annessione perché smentirà l’illusione che Israele sia una democrazia e uno stato per popolo giudeo, poiché montano preoccupazioni che assorbire i palestinesi della West Bank minaccerà a tempo debito l’egemonia etnica giudea. Naturalmente nessuno di questi ‘dibattiti di ripensamento’ israeliani/sionisti si oppone all’annessione perché viola la legge internazionale, aggira e indebolisce l’autorità dell’ONU o della UE e ignora i diritti inalienabili del palestinesi. Tutte le obiezioni all’annessione dall’interno di Israele o tra i militanti sionisti sono basate esclusivamente su una varietà di preoccupazioni a proposito di presunti impatti negativi sulla sicurezza di Israele. In particolare, questi critici dall’interno della dirigenza israeliana della sicurezza nazionale sono preoccupati di turbare i vicini arabi e di alienare ulteriormente l’opinione pubblica mondiale, specialmente in Europa, e in qualche misura sono preoccupati per le reazioni di ‘sionisti liberali’ e dunque e di indebolire i legami di solidarietà con Israele degli ebrei all’estero, negli Stati Uniti e in Europa.

Lo schieramento favorevole all’annessione nel dibattito politico israeliano cita anche considerazioni di sicurezza, specialmente riguardo alla Valle del Giordano e agli insediamenti, ma in misura molto minore. Diversamente dai critici, i promotori più ardenti dell’annessione sono i rivendicatori della terra. Essi invocano un diritto biblico alla Giudea e Samaria (note internazionalmente come la ‘West Bank’). Questo diritto è rafforzato facendo riferimento a profonde tradizioni culturali giudee e a secoli di collegamenti storici tra una piccola presenza giudea come continua e a questa terra trattata come una sacra custodia creata da sé. Come nel caso dei critici dell’annessione, i sostenitori non sentono alcun bisogno di spiegare, o persino di notare, il disprezzo delle rimostranze e dei diritti dei palestinesi. Gli annessionisti non osano proporre l’argomento che le rivendicazioni giudee siano più meritevoli di riconoscimento delle concorrenti rivendicazioni nazionali dei palestinesi, indubbiamente perché la loro tesi è così debole in termini di idee incontestate moderne della legge, nonché dell’etica dei diritti territoriali.

Come è stato in tutta la narrazione sionista, le rimostranze e aspirazioni palestinesi e persino la stessa esistenza di un popolo palestinese non fanno parte dell’immaginario sionista, se non come ostacoli politici e impedimenti demografici. Al tempo stesso, per tutto il tempo il sionismo è stato tatticamente opportunista riguardo alla rivelazione dell’intera portata del suo progetto, agendo invece in pubblico come se ciò che poteva guadagnare in un dato insieme di circostanze fosse tutto ciò che voleva e si aspettava di acquisire in futuro. Quando si considera l’evoluzione del principale orientamento del sionismo dal suo avvio, le aspirazioni di lungo termine di emarginare i palestinesi in un singolo stato giudeo dominante che comprendesse l’intera ‘terra promessa’ di Israele non sono mai state abbandonate. In questo senso il piano di partizione dell’ONU, anche se accettato come soluzione all’epoca dalla dirigenza sionista, è meglio interpretato come un trampolino al recupero della maggior estensione possibile della terra promessa. Nel corso degli ultimi cento anni, da una prospettiva sionista, l’utopia è diventata realtà, mentre per i palestinesi la realtà è diventata distopia.

 

La danza macabra

Il modo in cui il preludio dell’annessione è affrontato da Israele e dagli Stati Uniti è motivo di costernazione tanto quanto la sottostante cancellazione dei palestinesi, se non come popolazione insofferente da mantenere frammentata e disunita quanto più possibile, in modo che la sua resistenza e le sue obiezioni possano essere efficacemente zittite. Israele ha già privilegiato l’annessione nel governo unitario di Gantz/Netanyahu, preparando una proposta di annessione da sottoporre alla Knesset in qualsiasi momento dopo il 1° luglio. La sola precondizione accettata dall’accordo che crea il governo di unità Netanyahu/Gantz è stata la conformità dei confini dell’annessione alle porzioni territoriali incorporate nella notoriamente unilaterale proposta di Trump/Kushner “Dalla pace alla prosperità”, che sembra ragionevole considerare come corrispondente a un chiaro timbro di approvazione da parte del governo degli Stati Uniti. Anche senza la rivelazione del piano di pace di Trump, l’approvazione statunitense non è mai stata in dubbio. Fa seguito all’avallo di Trump all’annessione israeliana delle Alture del Golan nel territorio occupato siriano pochi mesi fa.

Come ci si poteva aspettare, gli Stati Uniti di Trump non stanno creando alcuna frizione, nemmeno sussurrando a Netanyahu di offrire almeno giustificazioni legali o dare una spiegazione circa gli effetti negativi dell’annessione sulle prospettive di pace palestinesi. Invece il Segretario di Stato statunitense Mike Pompeo ha dato semaforo verde all’annessione della West Bank ancor prima che Israele formalizzasse la sua pretesa, dichiarando provocatoriamente che l’annessione è una questione che devono decidere da sé gli israeliani (come se né i palestinesi né la legge internazionale avessero una qualsiasi rilevanza). Ha aggiunto che gli Stati Uniti trasmetteranno le loro opinioni privatamente al governo di Israele.

Forse questa è una mossa subdola di Washington. In effetti lasciando a Israele la gestione di ogni contraccolpo regionale o dell’ONU derivante dalla sua attuazione di questa annessione controversa. Se ci sarà un qualche rigetto internazionale di qualche importanza, il governo israeliano dovrà assumere la responsabilità di gestire le proteste. In questo senso, forse l’amministrazione Trump sta imparando il gioco, questa volta cercando di evitare, o almeno deviare, le reazioni rabbiose dirette contro gli USA all’ONU e altrove dopo aver annunciato a dicembre 2017 l’intenzione di trasferire l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme.

 

Geopolitica delinquenziale

Nello sfondo non rivelato, l’insensibilità all’iniziativa di annessione pare mirata a neutralizzare l’ONU e a smussare la critica internazionale di Israele. Ci si aspetta che l’annessione sia accolta da una forte retorica di denunce da parte di numerosi leader europei e forse dal candidato Biden, ma non accompagnata da serie spinte a una campagna internazionale per rovesciare questo furto di terre palestinesi. Sulla base dell’esperienza del passato, pare probabile che dopo alcuni giorni di copertura mediatica l’interesse svanirà e il mondo passerà oltre. Persino i palestinesi, scoraggiati da anni di attesa infruttuosa, sembrano soffrire, almeno temporaneamente, di spossatezza nella resistenza e di iniziative inefficaci di solidarietà. Tale valutazione è meglio compresa come un ulteriore segno che le relazioni Israele/Stati Uniti sono gestite secondo la ‘geopolitica delinquenziale’ e senza prestare attenzione alla legge internazionale o all’autorità dell’ONU. Tale etichetta peggiorativa intende condannare ogni annessione come questa che spazza via legge e morale mentre lo spazio politico è liberato a forza per il furto delle terre.

Anche se la geopolitica delinquenziale può stare estinguendo gli ultimi residui delle speranze palestinesi di un compromesso politico e di una diplomazia basata su un impegno genuino all’equità e all’uguaglianza, ci sono voci di resistenza che lottano per farsi sentire. Io sottolineo il mio dissenso dall’annessione descrivendo questa reazione critica come ‘geopolitica teppista’ [gangsta], mutuando dal ‘gangsta rap’ della cultura pop che contrattacca dalle strade del mondo per conto di chi soffre per le tattiche razziste della polizia. Naturalmente questa è una metafora, tuttavia illumina uno schema incredibile di comportamento ufficiale che è difficile credere sia riconosciuto nel discorso pubblico israeliano.

Innanzitutto c’è la natura sprezzante della pretesa israeliana di annessione. In secondo luogo c’è la singola specificazione che Israele deve ottenere un sigillo geopolitico di approvazione dal governo degli Stati Uniti prima di procedere con l’annessione. In terzo luogo che il governo degli Stati Uniti pare rimandare la palla a Israele affermando che la decisione di annettere deve essere presa da Israele, tuttavia concederà a Israele il privilegio della sua opinione privata sulla questione, presumibilmente sulle tattiche dei tempi e della presentazione, senza alcuna considerazione per le questioni di principio.

C’è una melodia spettrale che accompagna questa danza macabra. Israele ammansisce il proprio unilateralismo con un gesto di deferenza geopolitica e con questo atteggiamento agisce come se l’approvazione degli Stati Uniti contasse come qualcosa di più che una manifestazione politica di sostegno. Gli Stati Uniti non mettono in discussione la logica israeliana, tuttavia non vogliono accettare la responsabilità di una manifestazione pubblica di approvazione, lasciando Israele libero di agire come desidera pur evitando, almeno per ora, qualsiasi espressione di approvazione o disapprovazione riguardo all’annessione.

Questo lascia disatteso il divario imbarazzante tra l’accordo del governo israeliano di unità con la sua richiesta di ottenere l’approvazione statunitense e la presa di distanza di Pompeo. Che questo causi un qualche problema con l’approssimarsi della data di luglio è improbabile, specialmente mentre Israele presenta l’annessione con un’attuazione parziale delle proposte di Trump. Sospetto che il messaggio privato statunitense sarà di discreta approvazione, che Netanyahu indubbiamente tratterà come soddisfacente l’accordo con Gantz.

Quella che spicca qui è l’arroganza della politica di annessione. Non solo sono messe da parte le regole e le procedure dell’ordine pubblico mondiale, ma il discorso interno sul trasferimento di diritti è condotto come se i più colpiti fossero irrilevanti, una specie di ‘orientalismo interno’. Speriamo che noi che ricorriamo al gangsta rap per porre questi sviluppi nella prospettiva che meritano, possiamo, nel momento in cui la mossa dell’annessione sarà formalizzata, fare di più che digrignare i denti in frustrazione osservando svilupparsi questo deplorevole spettacolo.

 


da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte:  https://zcomm.org/znetarticle/gangster-geopolitics-in-the-global-jungle/

 

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