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15 gennaio 2020

 

Thomas S. Harrington parla con Quim Torra, Presidente catalano, della crisi costituzionale a Madrid e dell’eredità del regime di Franco

Traduzione di Giuseppe Volpe

 

Il 10 gennaio, un giorno dopo aver ignorato l’ordinanza delle Corte Europea di Giustizia che l’ex vicepresidente catalano Oriol Junqueras fosse rilasciato dal carcere per prendere il suo posto nel Parlamento Europeo, la Corte Suprema della Spagna ha riaffermato la decisione della Commissione Elettorale Centrale di spogliare Joaquim Torra del suo status di deputato parlamentare catalano e presidente della Catalogna.

Torra ha definito questa mossa un colpo di stato e riaffermato che questo non cambia nulla e che egli è tuttora il presidente della Catalogna.

Il conflitto catalano sta generando una crisi costituzionale a Madrid con implicazioni di vasta porta per il futuro dell’Unione Europea.

Anche se il parlamento catalano ha solidamente appoggiato Torra, i partiti spagnoli di destra Vox e PP hanno chiesto l’incarcerazione di Torre e la sospensione dello statuto di autonomia della Catalogna in forza dell’articolo 155 della Costituzione, così come fatto dopo la dichiarazione d’indipendenza della Catalogna il 27 ottobre 2017.

Il mandato turbolento del cinquantottenne Torra da presidente è iniziato nella primavera del 2018. Fino a due anni fa egli era un dirigente d’azienda e attivista culturale che non era mai stato coinvolto nella politica elettorale. Tuttavia, quando il governo centrale ha sciolto il parlamento catalano dopo il suo voto di secessione dalla Spagna e ha successivamente ordinato nuove elezioni, Torra ha proposto il proprio nome quale candidato parlamentare di Insieme per la Catalogna, il partito guidato dall’esiliato presidente Carles Puigdemont. Con sorpresa di molti e costernazione del governo spagnolo, il partito del presidente esiliato ha conquistato la maggior parte dei voti nel blocco di maggioranza filo-indipendentista, e dunque il diritto di formare un nuovo governo.

Madrid non ne ha voluto sapere. A gennaio 2018, quando il parlamento catalano stava per far giurare Puigdemont in collegamento video dal Belgio, dove era esiliato e tuttora risiede, il presidente del parlamento ha bruscamente interrotto la procedura in reazione alla minaccia di sanzioni giudiziarie ricevuta da tribunali spagnoli. Dopo che altri due candidati erano stati analogamente affossati, si è arrivati al largamente ignoto Torra, che alla fine si è insediato nel maggio del 2018. Dopo aver assunto la carica ha chiarito ripetutamente che il suo primo obiettivo era far progredire la Catalogna all’indipendenza nel modo più spedito possibile.

Non è stata una passeggiata. Il movimento per l’indipendenza della Catalogna è composto da tre principali fazioni: Junts per Catalunya, Esquerra Republicana Catalana e Candidatura d’Unitat Popular. Corrispondono grosso modo alle posizioni di centrodestra, centrosinistra ed estrema sinistra dello spettro politico e dilaniati da divisioni interne.

In un’inversione dei ruoli apparentemente strana, Torra ha visto i suoi sforzi di accelerare la marcia all’autodeterminazione costantemente frenati dal suo partner di centrosinistra nella coalizione, l’ERC, e sposati, anche se non senza riserve, al CUP di estrema sinistra. E’ anche stato ripetutamente criticato da membri della base tradizionale del suo stesso gruppo per cercare di far procedere le cose troppo in fretta.

La mia intervista a Torra, condotta in catalano alla fine dell’anno scorso e rivista in alcuni passaggi per concisione, ha avuto luogo nel Palazzo della Generalitat (il governo catalano) di Barcellona.

La città era da 16 giorni in atti diffusi e ancora in corso di disobbedienza civile, scatenati in reazione alla dura condanna da parte della Corte Suprema spagnola dei politici e degli attivisti della società civile responsabili di aver promosso il referendum del 2017 sull’indipendenza; mancavano 11 giorni alle quarte elezioni generale in altrettanti anni e 19 giorni al processo di Torra, nel quale si sarebbe dichiarato senza rimorsi colpevole di aver ignorato l’ordine del governo spagnolo di rimuovere uno striscione appeso davanti alla Generalitat che faceva riferimento a “esiliati” e “detenuti politici” catalani.

Thomas S. Harrington: Come spiegherebbe ciò che sta succedendo oggi in Catalogna a un lettore estraneo alla situazione?

Joaquim Torra: Una risposta rapida sarebbe paragonarlo a un case con cui la maggior parte dei lettori di lingua inglese ha familiarità, che è la Scozia. Ma a parte questo paragone generico, parlerei di una nazione antica del sud dell’Europa che ha sempre dimostrato una ferma dedizione al perseguimento della libertà e che, dopo aver subito numerose battute d’arresto negli ultimi 300 anni – anni durante i quali ha operato per adattarsi allo stato spagnolo e guadagnarne la fiducia – nell’ultimo decennio o giù di lì ha scelto di avviare un processo democratico mirato a conquistare l’indipendenza.

Dopo averci riflettuto molto, la gente ha deciso che questo, piuttosto che una prosecuzione dell’attuale regime di autonomia, è probabilmente il modo più praticabile per ottenere una migliore istruzione, una migliore assistenza sanitaria, e infrastrutture migliorare e, naturalmente, una maggiore protezione della lingua e della cultura del paese. Ma soprattutto si tratta di essere in grado di affrontare le sfide del ventunesimo secolo con tutti gli strumenti che qualsiasi paese moderno può aspettarsi di avere a disposizione.

Ci sono storici, come Rovira i Virgili, che definiscono la storia della Catalogna precisamente in termini della sua speciale relazione con la libertà.  Altri, come Vicens Vives, la collegano più a una “volontà di esistere”. Josep Benert, a sua volta, l’ha riassunta in una magnifica espressione come incentrata su una “lotta al servizio della speranza”. Altri, forse più fatalisti, come Ferrater Mora, dicono che un popolo non può vivere sempre sulla difensiva; che deve arrivare, o cercare di arrivare, a una condizione di pienezza vitale.

… nell’anno e mezzo dal mio giuramento siamo stati immersi in una situazione di complessità politica che è probabilmente epocale come altre viste nella storia del paese. Abbiamo persone in carcere e persone in esilio. E la repressione non si è fermata. Anziché impegnarsi in discussioni politiche, il governo spagnolo ha fatto continuamente ricorso all’uso punitivo del Codice penale, il che ovviamente non fa che aumentare la gravità della situazione e il senso di crisi che la circonda.

Harrington: Il primo ministro pro tempore della Spagna, Pedro Sánchez, ha detto che il conflitto in Catalogna è in realtà un conflitto tra catalani, nel quale una minoranza – quelli a favore dell’indipendenza – sta cercando di imporre la propria volontà a una maggioranza che desidera che la Catalogna rimanga parte della Spagna.

Torra: No, è un problema di democrazia che ha origine dal fatto che al popolo non è permesso di esprimere democraticamente i suoi desideri politici. Se una cosa è divenuta chiara negli ultimissimi anni è la capacità della nostra società di impegnarsi in un dibattito – spesso in circostanze molto difficili – pur continuando a produrre risultati economici e culturali al livello forse più elevato di sempre.

Harrington: Un’altra interpretazione della crisi catalana ascoltata spesso è che essa fa parte di una crisi più generalizzata dell’ordine costituzionale spagnolo stabilito nel 1978. Altri critici la descrivono con un sintomo di una più vasta crisi europea e forse persino mondiale di modi a lungo consolidati di governare.

 

Torra: Penso sia un misto di tutte queste cose. Credo che il movimento catalano per l’indipendenza abbia messo a nudo la realtà della transazione – non transizione – spagnolo sfociata nell’adozione della Costituzione spagnola del 1978. Questo mi è stato reso molto chiaro quando ho visitato il Portogallo e ho avuto conversazioni con membri dell’Assemblea Nazionale dell’intero spettro politico. Dalla sinistra alla destra hanno tutti accettato una rottura totale con il regime dittatoriale di [Antonio] Salazar [1932-1968].

Il problema dello stato spagnolo è che tale rottura non ha avuto luogo. E’ stata attuata una riforma che ha mantenuti intatti numerosi importanti bastioni del franchismo e un modo autoritario di approcciare la vita pubblica e la politica, cosa che possiamo vedere molto chiaramente nel comportamento dei settori statali della magistratura e della polizia. Possiamo anche vederlo nella figura stessa del re, che è l’erede di prerogativa derivate direttamente dal regime di Franco e la cui presenza priva tutti gli spagnoli del diritto di decidere se desiderano vivere in una monarchia o in una repubblica. Tutto questo è diventato più evidente in seguito all’ascesa del movimento catalano per l’indipendenza, che ha fatto emergere questo franchismo non sempre visibile, che è profondamente radicato negli organi dello stato.

Detto questo, c’è un aspetto delle proteste per l’indipendenza che è collegato all’attuale onda globale di insoddisfazione politica. Eccoci nel ventunesimo secolo in un mondo globalizzato dove non viviamo più in avamposti isolati del pianeta, ma piuttosto abbiamo un flusso globale di informazioni e la gente vuole vivere in luoghi dove ci sia libertà e dove possa essere parte di un progetto sociale definito dall’adesione piuttosto che dalla repressione. Dobbiamo prestare grande attenzione alla volontà del popolo. Come ho detto, il popolo vuole partecipare alla vita pubblica. Ma oggi c’è una diffusa sfiducia nei confronti della classe politica in generale, e delle classi politiche spagnola e catalana in particolare. E questo contribuisce a spiegare le vaste proteste cui assistiamo oggi nelle strade della Catalogna.

Harrington: Come descriverebbe lo spettacolo del sistema giudiziario spagnolo nel processo recentemente concluso a Madrid contro i politi e i leader della società civile catalani?

Torra: Comincerei ricordando le parole del presidente del Consiglio Generale della Magistratura spagnola, Carlos Lesmes, che ha detto che la Costituzione spagnola è basata sull’unità sacra e indivisibile della patria e che i poteri giudiziari hanno l’obbligo di preservare tale unità sopra ogni altra cosa. Nulla riguardo a preservare la volontà del popolo.

Noi abbiamo piuttosto l’idea che la Spagna sia basata su un concetto a priori – la patria unificata – e non sui desideri della sua cittadinanza. Penso che ciò riassuma perfettamente le cose. Penso cha la magistratura spagnola si sia nominata guardia reale dell’unità indivisibile della Spagna e che per questa ragione si assegni il diritto di usare qualsiasi mezzo a questo fine, anche distorcendo sentenze e opinioni secondo convenienza.

In base a questi parametri tutto può essere dipinto come sospetto e perciò ogni cosa è considerata potenzialmente perseguibile. E quando la polizia non riesce a realizzare il fine desiderato, sono inviati i pubblici ministeri. E quando i pubblici ministeri non sono all’altezza si ricorre alla piena forza dei tribunali. E quando parliamo degli oggetti dei loro processi, stiamo parlando non solo di espressioni della volontà democratica come il voto del 1° ottobre 2017, ma anche di idee e persino di striscioni che recano messaggi che non piacciono. Ad esempio hanno vietato, sotto minaccia di incriminazione, qualsiasi discussione nelle sale del mio governo o nel parlamento catalano a proposito del diritto all’autodeterminazione.

Harrington: Da quando la Corte Suprema ha emesso il 14 ottobre la sua sentenza nel caso di sette ex ministri del governo catalano e di due leader della società civile le strade della Catalogna sono state costantemente riempite di manifestanti. Come descriverebbe ciò che sta succedendo?

Torra: Esprime un senso di enorme rabbia riguardo al fatto che politici onorevoli che rispettavano un mandato democratico – l’intero processo che ha condotto al 1° ottobre era stato approvato dalla maggioranza assoluta del parlamento catalano – trascorreranno ciascuno dai nove ai tredici anni in carcere. Ha scatenato un’ondata enorme di indignazione nella società catalana. E questo è ciò che vediamo nelle strade.

Harrington: Pedro Sánchez, il capo del governo provvisorio spagnolo, ha suggerito che queste proteste siano di carattere fondamentalmente violento e il suo ministro dell’interno, Fernando Grande-Marlaska, ha recentemente affermato, cito, “la violenza in Catalogna ha avuto un impatto maggiore di quella che ha avuto luogo nel Paese Basco”. Come reagisce a questi commenti? Lei, come hanno recentemente suggerito fonti governative spagnole e certi membri della stampa, è un apologo di questa presunta violenza?

Paragonare episodi che hanno avuto luogo in un determinato momento in Catalogna alle morti e agli assassinii nel Paese Basco nel corso degli anni, è assolutamente spaventoso. Ed è per questo che le associazioni spagnole delle vittime hanno sollecitato il governo a smettere questa banalizzazione della loro tragedia.

Harrington: In quale misura le continue proteste e i blocchi nelle strade della Catalogna devono essere considerate una dimostrazione del fallimento della classe politica catalana e/o della classe politica dello stato spagnolo? Possiamo parlare di qualche grosso errore commesso da una o entrambe le parti di questa equazione?

Torra: Queste critiche hanno indubbiamente una certa base di verità. Ma le radici del conflitto si possono trovare nella nostra mancanza di un’opportunità, come avrebbe dovuto essere sin dall’inizio, di decidere le cose in modo franco e onesto, consentendo a quelli a favore della permanenza nel regno di Spagna e a quelli a favore dell’indipendenza di mettere sul tavolo i loro argomenti e permettendo che i cittadini della Catalogna decidano quale soluzione sia migliore. In questo scenario tutti avrebbero voce in capitolo ed entrambe le opzioni sarebbero considerate rispettabili. Devono decidere i cittadini.

Posso assicurarle che se avessimo un simile referendum e dovesse mostrare che la maggioranza dei catalani preferisse continuare a far parte della Spagna, mi dimetterei immediatamente da presidente della Generalitat. La base del conflitto è questa. E non ce n’è realmente nessun’altra. I due milioni di catalani a favore dell’indipendenza non scompariranno. Nelle ultime quattro elezioni, contando quelle locali, catalane, spagnole ed europee, hanno vinto le forza favorevoli all’indipendenza. In poche parole, la Spagna deve rendersi conto che l’instabilità istituzionale di cui sta attualmente soffrendo proseguirà fintanto che si rifiuterà di ascoltare le voci che arrivano dalla Catalogna.

Harrington: Ma non dobbiamo parlare anche dell’instabilità presente nella sua stessa coalizione di governo?

Torra: Senza dubbio. Governare in una coalizione rende ovviamente le cose più complicate. Ma penso sia importante ricordare che i catalani sono stati all’altezza delle sfide poste da queste complicazioni. Siamo stati in grado di forgiare patti di governo tra gruppi di correnti ideologiche molto diverse. [Quando questa intervista è stata condotta la democrazia spagnola post 1978 non aveva mai avuto un governo di coalizione. Ciò è cambiato la settimana scorsa, quando Pedro Sánchez si è unito a Podemos per formare un governo].

… Naturalmente per governare in coalizione ci si deve prima sedere per arrivare ad accordi e metterli in pratica. Ovviamente, in un parlamento come quello presente in Catalogna, oscurato dalla realtà di detenuti politici ed esiliati, disaccordi e controversie sorgono. Ma nonostante questo il mio governo è stato sottoposto, sopravvivendo, a un voto di sfiducia circa un mese fa. E qui stiamo.

 

Harrington: Lei è stato incriminato dallo stato spagnolo per azioni intraprese durante il suo mandato presidenziale. Qual è il reato che lei è accusato di aver commesso?

Torra: Il mio reato è quello di aver difeso la libertà di espressione rifiutando l’ordine del governo spagnolo di rimuovere uno striscione posta sulla balconata del Palazzo della Generalitat che parlare di “detenuti politici” e che esprimeva il desiderio del ritorno degli “esuli”. E poiché io non credo esistano battaglie piccole, ho sentito il bisogno di portare questa lotta per la libertà di espressione alla sua conclusione logica. Dunque ho disobbedito alle disposizioni che mi hanno trasmesso. E ora sono coinvolto in un processo che, se perdo, determinerà il mio bando dall’occupazione di cariche pubbliche per un determinato periodo di tempo.


Thomas S. Harrington è professore di Studi Ispanici presso il Trinity College. Una versione precedente di questo articolo è stata pubblicata da The Village.

 


Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Originale: https://consortiumnews.com/2020/01/15/interview-the-embattled-catalan-president/

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